«Ci hanno circondati. Hanno capovolto il furgone. Gridavo: “Abbiamo medicine, medicine”, ma loro continuavano a lanciare pietre e molotov. All’improvviso, ho visto arrivare una bomba. Ho cercato di proteggermi la faccia, ed ecco il risultato». Oscar Carrero mostra il moncherino fasciato alla spalla. Fatica a trattenere le lacrime, ricordando il momento in cui il medico gli ha detto che aveva perso un braccio. Era il 23 febbraio del 2014 e Carrero, tecnico specializzato, stava facendo da scorta civile a un camion di medicine, quando è finito nella trappola tesa dall’opposizione oltranzista al governo di Nicolas Maduro.
Carrero è di San Cristobal, capitale dello stato Tachira, in Venezuela: l’epicentro delle violenze, alimentate dagli appetiti e dai traffici dello stato di frontiera. I morti sono stati 43, i feriti oltre 850. Carerro è venuto in Italia insieme ad altri rappresentanti del Comitato vittime delle guarimbas e del golpe continuato. A Ravenna — dove abbiamo avuto questa conversazione — il Comitato ha partecipato a un seminario sui diritti umani, organizzato dalla rete Caracas chiama. E’ in Italia anche Yendry Zulay Velasquez, tenente della Guardia Nacional Bolivariana e vedova del capitano Ramzor Ernesto Bracho Bravo, assassinato il 12 marzo del 2014. Con loro, anche l’avvocato Julio Romero, uno dei difensori che accompagna il Comitato, composto da oltre 1.000 persone.
Famigliari e scampati ai tre mesi di violenze organizzati dell’estrema destra a seguito della campagna denominada «la salida» (l’uscita), lanciata da alcuni leader di opposizione — Leopoldo Lopez, Maria Corina Machado, Antonio Ledesma, Daniel Ceballos — per cacciare con la forza Maduro dal governo. In questi giorni, sono stati ricevuti in Parlamento dal Movimento 5 Stelle, e hanno chiesto udienza anche a Sel e ai senatori del Gruppo misto. Domani e domenica sono a Napoli, ospiti dei Corpi civili di pace e di Rifondazione comunista, dell’Opg occupato e della console Amaryllis Gutierrez.
«Mio marito — racconta Yendry Velasquez — è stato ucciso nella cittadina di Manongo, nello stato Carabobo. La Gbn era stata chiamata perché i guarimberos avevano occupato una stazione di servizio della zona, che poteva saltare in aria, dato che stavano fabbricando bombe. In un’altra circostanza, uno di loro è morto così, un altro è rimasto fulminato mentre cercava di elettrificare una barricata. Quel giorno, un giovane soldato è rimasto indietro, ferito. Mio marito è tornato a soccorrerlo ma è stato accolto dagli spari. Gli ha fatto scudo col suo corpo, rimettendoci la vita. In tasca aveva una lettera con cui aveva risposto a un manifestante: invitava i giovani a non farsi strumentalizzare. Dietro agli studenti, che certo non provenivano dai quartieri popolari, c’era gente molto organizzata e con molti mezzi. Di notte, arrivavano adulti a portare materiale, alcol e rifornimenti. In poche ore tiravano su un muro. C’erano paramilitari che pagavano i ragazzi per mandarli avanti, e poi arrivavano gli armati».
Fra gli arrestati vi sono però anche alcuni esponenti delle forze dell’ordine, che sono sotto processo: «Sì — dice ancora la tenente — non facciamo sconti, chi sbaglia deve pagare, il nostro è uno stato che difende i diritti umani. La Gbn è democratica, protegge la vita della popolazione. Quello che trovo insopportabile è che, anche in Europa, si cerchi di far passare le vittime per carnefici, santificando gli artefici delle violenze come Leopoldo Lopez e uccidendo così due volte i nostri morti».
Ad aprile, al summit delle Americhe a Panama, tutti i giornali hanno parlato dello scambio di battute tra la tenente Velasquez e Lilian Tintori, moglie di Lopez: «Tuo marito è vivo, il mio è morto per colpa del tuo», le ha gridato Velasquez. Il leader di Voluntad Popular — un figlio dell’alta borghesia dai trascorsi golpisti — è stato recentemente condannato in primo grado per quelle violenze. Negli Usa e anche in Europa, viene però presentato come un «prigioniero di coscienza», vittima di una feroce dittatura, candidato al premio Sakharov. A sostenerlo, un gruppo di ex presidenti: dalla Spagna (Felipe Gonzalez), al Cile (Sebastian Pinera), alla Colombia (Andrés Pastrana), che hanno persino organizzato una manifestazione in Venezuela. A sostenerli anche alcune figure del centro-sinistra moderato, come la senatrice Isabel Allende, una delle figlie di Allende. Per questo, è insorto il nipote del presidente socialista cileno, Pablo Sepulveda Allende per dire: «Non si difenda un golpista nel nome di Allende: contro Maduro c’è una guerra simile a quella che ha portato alla caduta di Salvador Allende».
Dice l’avvocato Romero: «Abbiamo affrontato un lungo viaggio e tante spese. Quello che ci preme è dire la verità su quelle violenze, per evitare che si ripetano. Il nostro è un paese di pace, le cose si devono risolvere in democrazia: per questo ci sono le elezioni, chiunque può manifestare e dissentire. Ma destabilizzare il paese è un’altra cosa».
Guarimba, in Venezuela, è l’equivalente del nostro “nascondino”. Dal 2004, però, il termine non ha più nulla di giocoso: rimanda a una serie di tecniche violente che hanno causato morti e feriti. Le guarimbas prevedono l’impiego dei micidiali miguelitos — lunghi chiodi a tre punte intrecciati, lanciati sulle strade insieme all’olio per far perdere il controllo e provocare incidenti. Intanto, vengono erette barricate e fil di ferro da un lato all’altro della strada, mentre i guarimberos lanciano molotov o bombe artigianali costruite con esplosivo C4. Ma poi arrivano anche le pallottole. Uno dei “teorici” di queste tecniche è Roberto Alonso, un cubano anticastrista nella cui tenuta — la finca Daktari — nel 2004 vennero catturati 150 paramilitari colombiani, pronti ad assaltare Miraflores.
Il problema del paramilitarismo proveniente dalla Colombia, è emerso con forza durante la chiusura delle frontiere, decisa dal governo Maduro: per contrastare l’emorragia di alimenti sottratti al mercato sussidiato, e il miliardario traffico di benzina e dollari di contrabbando. Nonostante la drastica riduzione del prezzo del petrolio e il sabotaggio dei poteri forti, Maduro ha deciso un nuovo aumento del salario minimo e delle pensioni: di oltre il 30%, a cui vanno aggiunte altre sovvenzioni alimentari. Dal primo novembre, i lavoratori percepiranno 9.648,18 bolivar, più altri 6.750 in alimenti. Il salario più alto dell’America latina. Ma, secondo un video reso pubblico, l’imprenditore Lorenzo Mendoza sta negoziando con il Fondo monetario il ritorno dei piani di aggiustamento strutturale: convinto che, il 6 dicembre, il chavismo perderà le elezioni parlamentari e le destre potranno rialzare la testa.