Alessandra Riccio https://nostramerica.wordpress.com
Pensate che assurdo: dopo aver sopportato per decenni gravose limitazioni alla possibilità di viaggiare, imposte da una storia singolare e spietata, i cittadini cubani hanno adesso la libertà assoluta di andare dove vogliono e quando vogliono. Sempre che ne abbiano i mezzi e che ci siano paesi disposti ad accoglierli senza visto.
Dunque, non in Europa, non negli Stati Uniti, non i quasi tutti i paesi del mondo. Però c’è un’eccezione: l’Ecuador di Rafael Correa che, con una decisione coerente con il desiderio di integrazione latinoamericana e con la sua solidarietà verso Cuba, ha abolito il visto di entrata per i cittadini cubani. Ma, fatta la legge, trovato l’inganno.
Qualche migliaio di quei cittadini, preoccupati di perdere l’ultima occasione per approfittare delle leggi scandalosamente preferenziali verso chi abbandona l’isola e mette piede fortunosamente nel paradiso USA non a bordo di un aereo o di un traghetto di linea ma attraverso una peripezia che può costare la vita, quei cittadini hanno deciso di andare in Ecuador e da lì affidarsi ai “coyote”, ai passatori, alle gang criminali che, in cambio di una tariffa che varia dai 7mila a i 10mila dollari, promettevano di lasciarli, sani e salvi, alla frontiera con il “paradiso”.
Fra questi cittadini vi sono intere famiglie con bambini e anziani e una parte di questi emigranti sono medici inviati in missione dal governo cubano, allettati dalla Legge Speciale per Medici Cubani, voluta nel 2006 da George Bush, che garantisce la possibilità di esercitare la professione a chi è disposto ad abbandonare la sua brigata medica e chiedere asilo. Questa eterogenea carovana ha trovato una strozzatura in Costarica, a Puerto Canoas, alla frontiera con il Nicaragua. Poco a poco è cresciuto il numero di cubani lasciati là dai coyotes, una volta che il governo del Costarica, invece di chiudere gli occhi, come d’uso, ha ordinato un blitz contro i trafficanti, smantellando l’organizzazione. Ha poi distribuito un lasciapassare ai cubani affinché abbandonassero il Costarica e penetrassero in Nicaragua. E lì, altra sorpresa sgradita: il Nicaragua ha schierato l’esercito per evitare di ritrovarsi fra le mani la patata bollente di questi emigrati sui generis, forniti di documenti e di lasciapassare. Passa un giorno, passa l’altro, la cosa non si risolve. Il governo cubano ascolta le ragioni di tutti, invita i suoi cittadini a rientrare in patria, se così lo desiderano, avverte della strumentalizzazione che questo caso implica e non manca di accusare gli Stati Uniti di tenere aperti negoziati per la normalizzazione delle relazioni fra i due paesi, ma non elimina tutte le anomalie e i meccanismi messi in essere per ostacolare il normale sviluppo della vita della popolazione cubana.
L’affare si è ingrossato e, temo, sarebbe arrivato anche in Europa come una prova ulteriore dello scontento dei cubani verso il loro regime, se i gravissimi fatti di queste settimane in Europa non lo avessero impedito. Ma in Centroamerica è notizie e, addirittura, un ministro del Costarica prima e lo stesso Presidente, poi, hanno scritto al cantautore Silvio Rodríguez delle cortesi e ammirate lettere, lamentando che il poeta e musicista non sembrava aver apprezzato le premure costarricensi verso le famiglie degli emigrati. Ma Silvio, che ha un blog di grande intelligenza ed equilibrio, aveva solo, sommessamente, proposto a quel governo propenso ad affittare una nave per condurre gli emigranti in Messico, a fare un piccolo sforzo in più per portarli fin negli Stati Uniti. In questo caso, toccherebbe a Obama decidere cosa fare, visto che gli USA non riconoscono privilegi ai cubani se non arrivano alle loro coste “con i piedi bagnati”.
Come sempre quando di Cuba si tratta, il caso è politico e ci giocano gli interessi di vari attori: Costarica e Nicaragua che hanno varie pendenze su questioni di frontiera; il grande business delle organizzazioni clandestine per il passaggio dei migranti da sud a nord e, naturalmente, gli Stati Uniti e Cuba che, a quasi un anno dalla dichiarazione della riapertura delle relazioni fra i due paesi hanno fato pochi, pochissimi passi avanti.
Un articolo di Juventud Rebelde, il quotidiano della gioventù comunista, mette le carte in tavola con equanimità. Ma per i cubani la notizia dei più di duemila compatrioti concentrati alla frontiera con il Nicaragua, assistiti dalla Croce Rossa, e incerti sul proprio avvenire, è una notizia doloroso. Sono in molti a chiedere loro di tornare a casa. Scrive Ricardo Ronquillo:
“Davanti alla certezza che l’immensa maggioranza dei cubani non abbandonerebbe il progetto della Rivoluzione, nonostante la durezza del blocco economico, la Ley de Ajuste serve –con quelli che per libera volontà o stanchi di tanti anni di resistenza abbandonano l’arcipelago- a dare l’immagine di un popolo infelice, alla ricerca disperata di un nuovo destino. La logica è tanto semplice come diabolica: non può essere felice chi se ne va a qualunque costo.
La ley de Ajuste crea, inoltre, un’ambivalenza nella psicologia o nella percezione sociale all’interno di Cuba. Non sono pochi coloro che se ne sono beneficiati, e ancora si soffre per quelli che ne hanno pagato il prezzo con la vita.
L’aspetto più evidente della sua cattiveria e a volte più difficile da scoprire, è il fatto che non è stata promulgata per salvare qualcuno, ma per accompagnare l’annegamento di molti. Altrimenti, invece di questa, esisterebbe la Ley de Ajuste internacional, per proteggere i milioni di disperati senza speranza di questo mondo che più di una volta hanno invocato qualcosa di simile”. (Ricardo Ronquillo Bello in Juventud Rebelde, 21.11.2015)