Ricardo Alarcón de Quesada
Il 17 dicembre si compie il primo anniversario dell’annuncio della ripresa delle relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti. Lo hanno fatto contemporaneamente a La Habana e a Washington i Presidenti Raúl Castro e Barak Obama. Entrambi hanno ammesso che era solo il primo passo in un processo verso lo smantellamento di una politica ostile che durava già da oltre mezzo secolo e il cui fallimento è stato riconosciuto dall’inquilino della Casa Bianca.
Da allora sono state riaperte le rispettive Ambasciate, alcuni alti funzionari hanno visitato La Habana, si sono risolte varie questioni minori o di relativa importanza e rappresentanti dei due Governi hanno tenuto riunioni per discutere il fitto programma di questioni fondamentali, tra cui il blocco economico che prosegue intatto, la continua usurpazione di territorio cubano a Guantánamo e i progetti sovversivi per minare la Rivoluzione cubana che vengono ancora mantenuti. Finché Washington non cambierà radicalmente la sua politica – eliminando completamente il blocco, restituendo Guantánamo e ponendo fine alle sue pratiche ingerentiste – la relazione diplomatica “normale” sarà uno scherzo di cattivo gusto.
C’è un argomento, comunque, che sembra essere il favorito della parte nordamericana e al quale hanno dedicato la loro attenzione varie delle più lette pubblicazioni di quel paese nelle ultime settimane. Si tratta dei reclami presentati là per le perdite che sostengono di aver subito alcune società e persone in conseguenza delle leggi di nazionalizzazione cubane del 1960.
La questione dovrebbe essere discussa insieme ai reclami di Cuba per i danni e gli svantaggi causati dalla guerra economica e dalle aggressioni di mezzo secolo, che sono incomparabilmente maggiori e colpiscono gravemente tutta la popolazione dell’isola. C’è un documento ufficiale, che era segreto ma non lo è più, che riconosce che lo scopo di quella politica era “far soffrire” il popolo cubano, causandogli “fame e disperazione”. Il testo, approvato nella primavera di quell’anno, è precedente alle nazionalizzazioni cubane e le sue parole corrispondono letteralmente a quello che la Convenzione di Ginevra definisce come “reato di genocidio”.
Le leggi rivoluzionarie hanno sempre previsto il diritto a una giusta compensazione agli ex proprietari. Di ciò hanno beneficiato, senza alcuna eccezione, tutte le imprese straniere che hanno rispettato la sovranità cubana e hanno accolto la nostra legislazione e hanno mantenuto legami normali includendo affari e nuovi investimenti. Lo hanno anche fatto certamente, le persone residenti a Cuba che hanno assunto lo stesso comportamento.
Le imprese nordamericane sono state le uniche che si sono auto-escluse perché il loro Governo l’ha impedito con il suo rifiuto della legislazione cubana e con l’aggressione economica contro l’isola.
C’è un punto della questione che i media degli Stati Uniti ignorano accuratamente. È da molto tempo che coloro che sono stati espropriati a Cuba hanno ricevuto un trattamento speciale, privilegiato, che ha permesso loro di rifarsi di quello che presuntamente avevano perso in conseguenza delle misure rivoluzionarie. Dal 1964 e durante quel decennio e quello successivo, là hanno modificato regolamenti e hanno adottato norme legislative uniche, esclusive per quel gruppo, che ha permesso loro di compensare le loro perdite mediante sostanziali riduzioni dei loro obblighi fiscali. Benefici simili non sono stati concessi ad altri contribuenti nordamericani. È stato un trattamento eccezionale paragonabile, in materia fiscale, a quello che fanno all’emigrazione con la Ley de Ajuste Cubano (Legge di Accomodamento Cubano) e del quale si sono avvalsi anche individui che nel 1960 non avevano ancora acquisito la cittadinanza statunitense ma hanno ricevuto anche loro quei vantaggi che hanno aiutato a costruire la leggenda di un’imprenditorialità cubano americana di successo.
Chi non ha mai ricevuto alcuna compensazione è il popolo cubano. Il blocco è stato ed è non solo il principale ostacolo allo sviluppo dell’isola ma anche la maggiore causa di sofferenze per tutta la sua popolazione. È una politica genocida, il genocidio più prolungato della Storia. Gli Stati Uniti hanno l’obbligo di eliminarlo, immediatamente e senza condizioni e se desiderano una relazione con i loro vicini che meriti di essere considerata “normale” dovranno cercare di risarcire le sue vittime.
Traduzione: Redazione di El Moncada
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