Edelberto Lòpez Blanch (*) http://ciptagarelli.jimdo.com
Come una benedizione per i ricchi – da una parte – e una maledizione per i poveri – dall’altra – giunse la cosiddetta globalizzazione capitalista dell’economia mondiale che ha costantemente aumentato la disuguaglianza tra le persone e i paesi del mondo.
La selezionata riunione di politici e imprenditori conosciuta come “Foro di Davos”, svoltosi nelle Alpi svizzere a metà gennaio, ha dovuto ascoltare il rapporto compilato dall’organizzazione non governativa (ONG) Oxfam Internacional, dove vengono confermate le grandi iniquità esistenti sul pianeta.
Oxfam ha denunciato in un particolareggiato documento che solo le 62 persone più ricche del mondo accumulano più capitali della metà più povera.
Negli ultimi 5 anni (2011-2015) questi 62 ricconi hanno aumentato le loro ricchezze del 44%, mentre quelle della metà più povera si sono ridotte del 41%, ovvero di un milione di milioni (un bilione).
I dati puntualizzano che, dall’anno 2000, questa edulcorata globalizzazione che le nazioni potenti e le società multinazionali hanno imposto all’economia del pianeta ha fatto sì che la metà più povera della popolazione ricevesse solo l’1% dell’incremento della ricchezza mentre nei portafogli dell’1% delle persone più ricche è andata a finire la metà della ricchezza generata nel mondo.
Il rapporto dell’OXFAM a Davos, presentato dalla responsabile della ricerca dell’organizzazione Deborah Hardoon, riafferma che la disuguaglianza è “fuori controllo” e che la crescita economica, in molti paesi, non è sinonimo di miglioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione.
Il documento, pieno di cifre accumulate anno dopo anno da accurati ricercatori, segnala che il sistema economico è sempre più orientato a favorire i potenti e in questa direzione a rendere loro facile nascondere i loro capitali nei cosiddetti paradisi fiscali, le cui fortune ascendono già a 7,6 bilioni di dollari, una cifra che supera i PIL di regno Unito e Germania insieme.
I paradisi fiscali si sono trasformati in uno dei principali meccanismi perché i ricchi evadano gli obblighi impositivi fiscali che potrebbero esser loro richiesti nei loro rispettivi paesi.
Ci sono paesi che per decenni sono diventati famosi per avere sul loro territorio paradisi e Centri Finanziari Extraterritoriali (CFE) come la Svizzera, ma questi enti finanziari proliferano e oggi si trovano in diversi paesi.
Varie ONG che si sono dedicate a monitorare questi buchi neri finanziari assicurano che un valore equivalente a circa un terzo del PIL mondiale è depositato in queste banche extraterritoriali e che gran parte del capitale mobile fa uso di questi enti.
Dato l’ermetismo di queste entità, è quasi impossibile fare una stima del denaro coinvolto in queste transazioni. Calcoli aggiornati ipotizzano la quantità in 7 trilioni di dollari e la maggior parte, circa 4 trilioni, sono “risparmi” di persone di grandi entrate depositati all’estero.
Nei decenni precedenti la Svizzera era l’impero internazionale dove finivano i capitali di un enorme numero di persone e società desiderosi di mantenere nel più assoluto segreto la provenienza del loro denaro.
Paradisi fiscali si trovano anche alle Isole Cayman e a Gibraltar, dipendenti dal Regno Unito, così come negli Stati Uniti, nel Lichtenstein, a Monaco, Andorra e San Marino.
Svizzera e Gibraltar appaiono nella lista come due dei paradisi fiscali tradizionali più importanti. A Gibraltar sono registrate circa 42.000 compagnie e società attive secondo un rapporto del Fondo Monetario Internazionale (FMI).
In questa colonia inglese si creano annualmente 3.000 nuove società con una permanenza in media di 5 anni. Più di 8.500 imprese sono esenti da tasse e i soli depositi nelle banche che si dedicano agli affari fuori dalle frontiere si calcolano in 2.000 milioni di lire sterline.
Secondo l’ultimo rapporto OXFAM è soprattutto il settore bancario quello che beneficia dei paradisi fiscali, visto che tutta questa ricchezza è gestita da solo 50 di queste entità. L’ONG aggiunge che – delle 200 più grandi società del mondo – nove su dieci stanno nei paradisi fiscali, il che ha contribuito al fatto che l’investimento in questi luoghi si sia moltiplicato per quattro dal 2001.
La globalizzazione capitalista dell’economia mondiale ha spinto, negli ultimi 30 anni, la disuguaglianza tra gli abitanti delle 34 nazioni appartenenti all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE).
Questa istituzione assicura che la breccia tra ricchi e poveri si è allargata a seguito ai tagli fiscali, alla salita delle tasse e dei tagli sociali il che fa sì che fra i suoi membri il 10% dei favoriti possegga il 50% della ricchezza, mentre il 40% dei poveri ne possiede solo il 3%.
Gli abitanti di Spagna, Grecia, Irlanda, Portogallo e Messico, paesi membri dell’OCSE, hanno sofferto per la mancanza di posti di lavoro e per i tagli fiscali che colpiscono i sussidi di disoccupazione, l’educazione e l’accesso alla sanità.
Mentre i ricchi accumulano montagne di capitali, la povertà mondiale è allarmante. Si stima che in Asia meridionale la popolazione che sopravvive con 1 dollaro sia di 535 milioni di persona. In Asia orientale, sudorientale e nel Pacifico sono 466 milioni e negli Stati arabi 15 milioni. Nell’Africa sub-sahariana sono 280 milioni. In America Latina e nei Caraibi 120 milioni di persone sopravvivono con 2 dollari al giorno. In Europa orientale e nei paesi dell’Asia centrale 160 milioni vivono con 4 dollari al giorno e negli Stati Uniti ci sono 56 milioni di poveri.
Questi sono solo alcuni dei disastri causati da questa globalizzazione senza controllo, che i suoi propagandisti definiscono come un fenomeno a carattere mondiale la cui azione consiste principalmente nell’ottenere una penetrazione mondiale dei capitali finanziari, commerciali e industriali perché il pianeta apra spazi alla de-nazionalizzazione dei mercati, delle leggi e della politica.
Il mondo potrà continuare a sopportare questa disuguaglianza tra pochi ricchi e l’immensa maggioranza di chi ha più bisogno?
(*) Giornalista cubano, è stato corrispondente permanente di Juventud Rebelde in Nicaragua; da: rebelion.org; 1.2.2016