Un discorso del Che per la Cuba di oggi

https://lapupilainsomne.wordpress.com

che fidel maceoSu questo discorso del Comandante Ernesto Che Guevara su Antonio Maceo, Fernando Martínez Heredia espresse in un testo pubblicato ieri.


“tutto quello ha la rilevanza, la grandezza e la forza straordinaria di chi seppe comprendere il fondamentale e sempre agire come un rivoluzionario conseguente, e ha scoperto che, tutto fino all’ultima riga di quel discorso del Che su Maceo, nel 1962, sembra scritto per la Cuba attuale, per aiutarci in questo momento cruciale, per essere pubblicato oggi in uno dei nostri mezzi di comunicazione. “

Fu pronunciato dal Che il 7 dicembre 1962, 66° anniversario della morte in combattimento del ‘Titano di Bronzo’ e qui ci sta parlando del presente e del futuro.

Compagni:

maceo macheteOggi si compie un ulteriore anno, il 66° anniversario della caduta del Titano di Bronzo nella lotta per la liberazione di Cuba. Come ogni anno, il popolo di Cuba accorre a rendergli il suo omaggio.

Attraverso questi anni di ricordo si sono visto sfilare davanti al suo monumento sempre lo stesso popolo, ma su questa tribuna, i rappresentanti di molte diverse tendenze sociali. Oggi, qui siamo nel compito di costruire il socialismo a Cuba, che iniziamo una nuova tappa della storia d’America, il ricordo di Antonio Maceo acquisisce luce propria. Comincia ad essere più strettamente legato al popolo, e tutta la storia della sua vita, delle sue meravigliose lotte e della sua morte eroica, acquista senso completo, il senso del sacrificio per la liberazione finale del popolo. Maceo non era solo in quella lotta. Fu uno dei tre grandi pilastri su cui si consolidò tutto lo sforzo di liberazione del nostro popolo. Con Maximo Gomez e Marti costituirono le forze più importanti, le espressioni più alte della Rivoluzione di quell’epoca.

Quando Maceo, con Panchito Gómez Toro -il figlio di Gomez- a lato, dava la sua vita per la liberazione di Cuba, già Martí lo aveva fatto un anno prima; già la testa più determinata e più profonda delle forze rivoluzionarie aveva smesso di pensare, e non si vedevano all’orizzonte dirigenti capaci di condurre la guerra rivoluzionaria a Cuba fino agli estremi della liberazione totale da tutti i poteri coloniali; anche quelli che furono i suoi eredi non ebbero nemmeno la sufficiente penetrazione per comprendere la portata dei piani yankee e tutta la maligna manovra che era racchiusa nel Maine de in ciò che seguì.

E’ così che quella guerra di liberazione, che formalmente terminò nel 98 e anche raggiunse un culmine formale nel 1902, con l’indipendenza, non era per nulla terminata.

Quello che oggi abbiamo è la continuazione diretta, ma anche possiamo dire che, disgraziatamente, oggi neppure è terminato il compito della liberazione di Cuba. Mentre il nemico imperialista mantiene i suoi forti artigli, mantiene il suo appetito, il suo desiderio di distruggere la nostra Rivoluzione, dobbiamo continuare sul piede di guerra, e continua per noi, così vivo e così presente come nei giorni della gloriosa gesta del 68 o del 95, la storia e gli esempi di Antonio Maceo e di tutti gli uomini di quell’epoca, che lottarono per trenta lunghi anni per lasciare le basi di quello che oggi stiamo costruendo.

Antonio Maceo ha due momenti, i più importante della sua vita, quelli che lo definiscono come uomo e come un genio militare.

Il primo è quando contro tutte le correnti, contro ogni conformismo, contro tutti i disperati che volevano raggiungere un qualche tipo di pace, dopo 10 anni di lotta, quando si disintegra l’Esercito di Liberazione e si firma la pace di Zanjón, Antonio Maceo esprime la Protesta di Baraguá e solo cerca di continuare la lotta in condizioni impossibili. Quel piccolo esercito della selva era, tuttavia, strutturato come una parodia di un qualsiasi paese che possedesse tutto il territorio, aveva Congresso, Presidente, Delegati, Ministri e totale separazione tra la forza combattente e la forza civile.

Nell’anno 78, le profonde crisi che dividevano il campo patriota si erano accentuate tanto che l’unità di comando e l’autorità si erano completamente perse. E la Protesta di Baraguá fu l’ultimo tentativo di uno spirito nobile di continuare una lotta alla quale si era già dedicato dieci anni prima. Fu infruttuosa in quel momento, ma continuò nell’idea. E tutti i grandi patrioti, alcuni a Cuba, altri sparsi per i Caraibi o per altri paesi dell’America, ostinatamente, mentre invecchiavano nello sforzo, tentavano, ripetutamente, di tornare alla Patria per darle la sua libertà.

Nell’anno 95 l’ottennero, finalmente. Dopo le prime scaramucce si organizzò un esercito con tali caratteristiche, sotto il comando di Maximo Gomez. E poi si perparò la seconda delle imprese che definiscono la vita di Maceo: l’Invasione.

Organizzandole pazientemente, le sue truppe, alimentandole con una forte cavalleria, protette dalla scarsa potenza di fuoco della fanteria dell’epoca, con movimenti continui, con marce e contromarce, combattendo senza fine, quasi tutti i giorni, attaccando fulmineamente la maggior parte delle volte, resistendo con fermezza agli attacchi altre, Antonio Maceo attraversò l’isola da un capo all’altro e portò il fuoco rivoluzionario alle province, che non lo aveva conosciuto nella fase anteriore della guerra di liberazione.

Per fare questo che oggi si può riferire in poche parole, bisognava avere un immenso potere di organizzazione, una immensa fede nella vittoria, e nella capacità di lotta dei suoi uomini ed un potere di comando straordinario per esercitarlo ogni giorno, durante anni di combattimenti in condizioni estremamente difficili, con costanti perdite, dove i feriti correvano il rischio di essere immediatamente uccisi se cadevano nelle mani degli spagnoli, dove gli eserciti spagnoli con capacità di mobilità già alla fine del XIX secolo, capacità e mobilità sufficiente per concentrare gruppi di esercito grandi, cercavano di circondarlo costantemente e lo vessavano più volte. Quando Maceo lascia l’Esercito dell’Occidente, attraversa la Trocha e raggiunge la zona in cui avrebbe perso la vita, si era completato il suo compito fondamentale;, la Rivoluzione era accesa su tutto il territorio di Cuba.

Ma è anche vero che già in quel momento, tatticamente, le truppe spagnole stavano imparando a combattere contro la nuova modalità, contro l’inaspettata avanzata delle forze patriottiche e si stava neutralizzando i loro sforzi.

La morte di Maceo praticamente siglò il destino delle truppe di Occidente come potere combattente, e rimasero, in sostanza, le truppe di Las Villas, personalmente guidate da Gomez, e le truppe d’Oriente guidate da Calixto Garcia, sostenendo il peso principale della la lotta.

Poi venne il Maine, arrivarono i nordamericani, venne l’Emendamento Platt, vennero cinquanta anni di penombra nella nostra vita, di preparazione per le nuove battaglie, di ripetuti tentativi da parte di vari patrioti che fallirono e, talvolta, morivano nello sforzo, come Guiteras, Julio Antonio Mella, come molti altri, che tracciarono la storia della lotta rivoluzionaria del nostro paese. Ma abbiamo raggiunto un momento in cui il machete di Maceo ritorna a stare presente e torna a riacquistare la sua antica dimensioni. Siamo passati attraverso la prova più dura che possa accadere a qualsiasi popolo, siamo stati di fronte alla distruzione atomica, abbiamo visto il nemico preparare il suo immenso flusso di razzi, di armi di distruzione di tutti i tipi, e abbiamo visto come, tutto questo arsenale, era puntato verso Cuba, abbiamo sentito le loro minacce e abbiamo visto i loro aerei, solcando il nostro spazio aereo. E questo popolo, degno di Maceo, della stirpe di Maceo, di Marti, di Maximo Gomez, non tremò, nemmeno esitò. E il mondo moderno ha visto lo straordinario spettacolo di un intero popolo che si prepara alle peggiori delle catastrofi con un’incredibile morale.

Tutte le storie delle grande lotte eroiche dell’umanità potrebbero sintetizzarsi -senza esagerare, senza pensare che si tratta di “sciovinismo” eccessivo- in questi momenti della storia di Cuba.

Tutto il nostro popolo fu un Maceo, tutto il nostro popolo stette disputandosi la prima linea di combattimento in una battaglia che, forse, non avrebbe presentato linee definite, in una battaglia in cui tutto sarebbe fronte e dove saremmo stati attaccati dal cielo, dal mare, da terra, adempiendo il nostro ruolo d’avanguardia del mondo socialista in questo momento, in questo posto preciso della lotta.

Pertanto, le sue parole, le sue carissime frasi risuonano così profondamente nel cuore dei cubani, ed è doveroso ricordare quella frase incisa sul lato del monumento: “Chi tenti d’impadronirsi di Cuba, raccoglierà la polvere del suo suolo intriso nel sangue, se non perisce nella lotta”. Questo è stato lo spirito di Maceo e questo è stato lo spirito del nostro popolo.

Siamo stati degni di lui, in questi momenti difficili, che sono appena passati, in questo confronto in cui siamo stati a millimetri della catastrofe atomica.

Questo è quello che oggi possiamo mostrare con orgoglio davanti alla sua memoria e al mondo, e ripetere ogni frase di Maceo, esempio di un rivoluzionario che lotta per la liberazione del suo paese, e ripeterle oggi con la stessa fede, con stessa raggiante fede nel futuro dell’umanità, nel futuro di tutto il nobile dell’umanità, nel futuro socialista dell’umanità, e ripetere anche -modificando, forse, lievemente le sue frasi- che mentre ci sia al mondo un aggravio da disfare, un’ingiustizia da riparare, la Rivoluzione Cubana non può fermarsi, deve andare avanti e deve sentire in sé i mali di questo mondo oppresso in cui ci è toccato vivere, deve fare sue le sofferenze dei popolo che, como il nostro pochi anni fa, alzano la bandiera della libertà e si vedono massacrati, distrutti dalla potere coloniale.

E non solo qui in America dove tanti legami ci uniscono, in Africa, in Asia, ovunque un popolo in armi sollevi qualsiasi arma -che può essere il simbolo del machete di Maceo o di Massimo Gómez- dove i dirigenti nazionali dei loro popoli alzino la voce -che può essere il simbolo della voce di Marti- lì, il nostro popolo deve andare con il suo affetto, con la sua immensa comprensione. Un popolo che esce dall’esperienza da cui è uscito il nostro, non può rimanere indifferente davanti a qualsiasi ingiustizia, in qualsiasi parte del mondo; smetterebbe di essere martiano, inoltre, se rimanesse indifferente quando, in qualche parte del mondo, i poteri repressivi massacrano il popolo.

Per ciò, oggi eleviamo il pensiero dei nostri grandi eroi, dei combattenti di quella guerra gloriosa, e lo facciamo nostro e lo ripetiamo, ripetutamente, perché non sono state altro che fasi della stessa lotta dell’umanità per liberarsi dallo sfruttamento. Perché tutte le frasi di Antonio Maceo, Marti e Gomez, sono applicabili oggi in questa tappa della lotta contro l’imperialismo, perché tutta la sua vita e tutta la sua opera, e la fine della sua vita, non è altro che una pietra miliare che segna lo stesso lungo cammino di liberazione dei popoli.

E su quel cammino ha marciato il popolo di Cuba. Sul sentiero della lotta, della lotta cruenta, senza sosta, contro il potere coloniale, stanno marciando molti popoli del mondo e, giorno dopo giorno, si alzano nuovi macheti in diverse parti di vari continenti, per dirgli all’imperialismo che, quando le ragioni non bastano, vi è anche la forza del popolo, e per insegnare all’imperialismo che, quando il popolo si unisce nessuna forza militare può fermarlo. Lo fermerà in una battaglia, lo liquiderà ad un certo punto, sfrutterà i suoi momenti di debolezza, sfrutterà, a volte, la loro credulità, come nel caso dello sfortunato eroe del Congo, Patrice Lumumba; ma non potrà mai fermare il progresso dei popoli.

E di fronte al suo bestiale superbia, di fronte alla sua volontà di annichilire tutto ciò che è puro nel mondo, si alzano gli uomini diretti da persone che innalzano le bandiere di Martí, Maceo e Gomez.

E in qualsiasi parte del mondo, dove quelle bandiere sventolino, lì dovremmo indirizzare i nostri sguardi e il nostro saluto.

E di fronte all’imperialismo che ci minaccia oggi, con tanta furia come ieri, con tanta voglia di distruggerci, come ieri, che prepara in silenzio il suo nuovo astuto attacco, tiriamo fuori l’arsenale di tutte le nostre forze e di tutta la nostra fede; mostriamo le frasi di tutti i nostri grandi combattenti che rappresentano la volontà del popolo e aggiungiamo il nuovo, l’ultimo, ciò che il nostro popolo ha creato in questa ultima fase della sua esperienza storica, per lanciarlo, ripetutamente, in faccia all’imperialismo.

Patria o morte! Vinceremo!

Fonte: Che Guevara, Ernesto: Obras. 1957-1967, la Casa de las Americas, L’Avana 1970.

Un discurso del Che para la Cuba actual

Sobre este discurso del Comandante Ernesto Che Guevara acerca de Antonio Maceo, Fernando Martínez Heredia planteó en un texto que publicamos ayer.

todo él tiene la pertinencia, la grandeza y la fuerza extraordinaria de quien supo comprender lo fundamental y actuar siempre como revolucionario en consecuencia, y comprobé que todo, hasta la última línea de aquel discurso del Che a Maceo en 1962 parece escrito para la Cuba actual, para ayudarnos en esta hora crucial, para ser publicado hoy en alguno de nuestros principales medios de comunicación”

Fue pronunciado por el Che el 7 de diciembre de 1962, aniversario 66 de la caída en combate del Titán de bronce y aquí está hablándonos sobre el presente y el futuro.

Compañeros:

Hoy se cumple un año más, el 66 aniversario de la caída del Titán de Bronce en la lucha por la liberación de Cuba. Como todos los años, el pueblo de Cuba acude a rendirle su homenaje.

A través de estos años de recordación se ha visto desfilar ante su monumento siempre al mismo pueblo, pero en esta tribuna, representantes de muy diversas tendencias sociales. Hoy, que estamos en la tarea de la construcción del socialismo en Cuba, que empezamos una nueva etapa de la historia de América, el recuerdo de Antonio Maceo adquiere luces propias. Empieza a estar más íntimamente ligado al pueblo, y toda la historia de su vida, de sus luchas maravillosas y de su muerte heroica, adquiere el sentido completo, el sentido del sacrificio para la liberación definitiva del pueblo. Maceo no estuvo solo en esa lucha. Fue uno de los tres grandes pilares en que se asentó todo el esfuerzo de liberación de nuestro pueblo. Con Máximo Gómez y Martí, constituyeron las fuerzas más importantes, las expresiones más altas de la Revolución de aquella época.

Cuando Maceo, con Panchito Gómez Toro -el hijo de Gómez- al lado, rendía su vida par la liberación de Cuba, ya Martí lo había hecho un año antes; ya la cabeza política más firme y más profunda de las fuerzas de liberación había dejado de pensar, y no se veían en el horizonte los dirigentes capaces de llevar la guerra revolucionaria en Cuba hasta los extremos de liberación total de todos poderes coloniales; más aún quienes fueron sus herederos ni siquiera tuvieron la penetración suficiente para comprender el alcance de los planes yanquis y toda la maligna maniobra que estaba encerrada en el Maine y en lo que siguiera.

Es así como aquella guerra de liberación, que formalmente terminara en el 98 y que llegara también a una culminación formal en 1902, con la independencia, no había acabado ni mucho menos.

Lo que hoy tenemos es su continuación directa, pero más aún, podemos decir que desgraciadamente hoy tampoco ha acabado la tarea de liberación de Cuba. Mientras el enemigo imperialista mantenga sus garras fuertes, mantenga su apetito, sus deseos de destruir nuestra Revolución, tenemos que seguir en pie de guerra, y sigue para nosotros, tan viva y tan presente como en los días de la gesta gloriosa del 68 o del 95, la historia y los ejemplos de Antonio Maceo y de todos los hombres de aquella época, que lucharon treinta largos años por dejar los cimientos de lo que hoy estamos construyendo.

Antonio Maceo tiene dos momentos, los más importantes de su vida, los que lo definen como hombre y como genio militar.

El primero de ellos es cuando contra todas las corrientes, contra todos los conformismos, contra todos los desesperados que querían alcanzar algún tipo de paz después de 10 años de lucha cuando se desintegra el Ejército de Liberación y se firma la Paz del Zanjón, Antonio Maceo expresa la Protesta de Baraguá y solo trata de seguir la lucha en condiciones imposibles. Aquel pequeño ejército de la manigua estaba, sin embargo, estructurado como un remedo de cualquier país que poseyera todo el territorio, tenía Congreso, Presidente, Delegados, Ministros y separación total entre la fuerza combatiente y la fuerza civil.

En el año 78, las profundas crisis que dividían el campo patriota se habían acentuado tanto que la unidad de mando y la autoridad se habían perdido totalmente. Y la Protesta de Baraguá fue el último intento de un espíritu noble por continuar una lucha a la cual ya venía dedicado desde diez años antes. Fue infructuosa en ese momento, pero se continuó en la idea. Y todos los grandes patriotas, algunos en Cuba, otros diseminados por el Caribe o por otros países de América, tercamente, mientras envejecían en el empeño, iban tentando una y otra vez volver a la Patria para darle su libertad.

En el año 95 lo lograron por fin. Tras las primeras escaramuzas se organizó un ejército, con características de tal, bajo la jefatura de Máximo Gómez. Y entonces se preparó la segunda de las hazañas definitorias de la vida de Maceo: la Invasión.

Organizándolas pacientemente, a sus tropas, nutriéndolas con una fuerte caballería, amparados en el escaso poder de fuego de la infantería de aquella época, con movimientos continuos, con marchas y contramarchas, combatiendo sin cesar casi día a día, atacando fulminantemente la mayoría de las veces, resistiendo a pie firme los ataques otras, Antonio Maceo cruzó la Isla de una punta a la otra y llevó el fuego revolucionario a provincias que no lo habían conocido en la anterior etapa de la guerra de liberación.

Para hacer esto que hoy se puede referir en pocas palabras, se necesitaba un inmenso poder de organización, una inmensa fe en la victoria, y en la capacidad de lucha de sus hombres, y un poder de mando extraordinario para ejercerlo día a día durante años de lucha en condiciones extremadamente difíciles, con bajas constantes, donde los heridos corrían el peligro de ser muertos inmediatamente si caían en poder de los españoles, donde los ejércitos españoles con capacidad de movilidad ya a fines del siglo XIX, capacidad y movilidad suficientes como para concentrar grupos de ejército grandes, trataban de cercarlo constantemente y lo acosaban una y otra vez. Cuando Maceo deja el Ejército de Occidente, cruza la Trocha y llega a esta zona donde perdiera la vida, se había cumplido su tarea fundamental, la Revolución estaba encendida en todo el territorio de Cuba.

Pero también es cierto que ya en ese momento, tácticamente, las tropas españolas estaban aprendiendo a luchar contra la nueva modalidad, contra el avance inesperado de las fuerzas patriotas y se estaba neutralizando su empeño.

La muerte de Maceo prácticamente selló la suerte de las tropas de Occidente como poder combatiente, y quedaron, en lo fundamental, las tropas de Las Villas, dirigidas personalmente por Gómez, y las tropas de Oriente dirigidas por Calixto García, sosteniendo el peso fundamental de la lucha.

Después vino el Maine, vinieron los norteamericanos, vino la Enmienda Platt, vinieron cincuenta años de penumbra en nuestra vida, de preparación para las nuevas batallas, de intentos repetidos por distintos patriotas que fracasaban y a veces morían en el empeño, como Guiteras, como Julio Antonio Mella, como tantos otros, que fueron jalonando la historia de la lucha revolucionaria de nuestro país. Pero hemos llegado a un momento donde el machete de Maceo vuelve a estar presente y vuelve a adquirir su antigua dimensión. Hemos pasado por la prueba más dura que puede pasar pueblo alguno, hemos estado frente a la destrucción atómica, hemos mirado al enemigo preparar su inmenso caudal de cohetes, de armas de destrucción de todo tipo, y hemos visto cómo apuntaba todo ese arsenal hacia Cuba, hemos oído sus amenazas y hemos visto sus aviones, surcando nuestros aires. Y este pueblo, digno de Maceo, de la estirpe de Maceo, de Martí, de Máximo Gómez, no tembló, ni siquiera vaciló. Y el mundo moderno ha visto el espectáculo extraordinario de un pueblo entero que se preparaba a la peor de las catástrofes con una moral increíble.

Todas las historias de las grandes luchas heroicas de la humanidad podían resumirse -sin exagerar, sin pensar que es un “chovinismo” excesivo- en estos momentos de la historia de Cuba.

Nuestro pueblo todo fue un Maceo, nuestro pueblo todo estuvo disputándose la primera línea de combate en una batalla que no presentaría quizás líneas definidas, en una batalla donde todo sería frente y donde seríamos atacados desde el aire, desde el mar, desde la tierra, cumpliendo nuestra función de vanguardia del mundo socialista en este momento, en este lugar preciso de la lucha.

Por eso, sus palabras, sus frases tan queridas resuenan tan hondo en el corazón de los cubanos, y es de obligada recordación esa frase que está inscripta al costado del monumento: “Quien intente apoderarse de Cuba, recogerá el polvo de su suelo anegado en sangre, si no perece en la lucha”. Ese fue el espíritu de Maceo y ese fue el espíritu de nuestro pueblo.

Hemos sido dignos de él en estos momentos difíciles que acaban de pasar, en esta confrontación donde hemos estado a milímetros de la catástrofe atómica.

Eso es lo que hoy podemos mostrar con orgullo ante su recuerdo y ante el mundo, y repetir cada una de las frases de Maceo, ejemplo de un revolucionario que lucha por la liberación de su país, y repetirlas hoy con la misma fe, con misma encendida fe en el porvenir de la humanidad, en el porvenir de todo lo noble de la humanidad, en el porvenir socialista de la humanidad, y repetir también -cambiando quizás levemente sus frases – que mientras quede en América, o tal vez mientras quede en el mundo un agravio que deshacer, una injusticia que reparar, la Revolución Cubana no puede detenerse, debe seguir adelante y debe sentir en sí los males de este mundo oprimido en que nos ha tocado vivir, debe hacer suyos los sufrimientos de pueblos que, como el nuestro hace pocos años, levantan la bandera de la libertad y se ven masacrados, destruidos por el poder colonial.

Y no solo aquí en América donde tantos lazos nos unen, en el África, en el Asia, dondequiera que un pueblo en armas levante cualquier arma -que puede ser el símbolo del machete de Maceo o del machete de Máximo Gómez- donde los dirigentes nacionales de sus pueblos levanten su voz –que puede ser el símbolo de la voz de Martí-, allí nuestro pueblo debe ir con su cariño, con su comprensión inmensa. Un pueblo que sale de la prueba de la que ha salido el nuestro, no puede mantenerse indiferente ante ninguna injusticia en ningún lugar del mundo; dejaría de ser martiano, además, si permaneciera indiferente cuando en algún lugar del mundo los poderes represivos masacran al pueblo.

Por eso hoy levantamos el pensamiento de nuestros grandes héroes, de los luchadores de aquella guerra gloriosa, y lo hacemos nuestro y lo repetimos una y otra vez, porque no han sido nada más que fases de la misma lucha de la humanidad por deshacerse de la explotación. Porque todas las frases de Antonio Maceo, de Martí o de Gómez, son aplicables hoy en esta etapa de la lucha contra el imperialismo, porque toda su vida y toda su obra, y el final de su vida, no es nada más que un jalón que marca el mismo largo camino de liberación de los pueblos.

Y por ese camino ha marchado el pueblo de Cuba. Por el camino de la lucha, de la lucha cruenta, sin descanso, contra el poder colonial, están marchando muchos pueblos del mundo y, día a día, se levantan nuevos machetes en distintas partes de distintos continentes, para decirle al imperialismo que, cuando las razones no bastan, también está la fuerza del pueblo, y para enseñarle al imperialismo que cuando el pueblo se une no hay fuerza de las armas que pueda detenerlo. Lo parará en una batalla, lo liquidará en algún momento, aprovechara sus momentos de debilidades, aprovechará a veces su credulidad, como el caso del infortunado héroe del Congo, Patricio Lumumba; pero nunca podrá detener el avance de los pueblos.

Y frente a su soberbia bestial, frente a su afán de aniquilar a todo lo que es puro en el mundo, se alzan los hombres, se alzan los hombres dirigidos por gente que levanta las banderas de Martí, de Maceo y de Gómez.

Y en cualquier lugar del mundo, donde esas banderas tremolen, allí debemos dirigir nuestras miradas y nuestro saludo.

Y frente al imperialismo que nos amenaza hoy, con tanta furia como ayer, con tanto deseo de destruirnos como ayer, que prepara en silencio su nuevo artero ataque, sacamos el arsenal de todas nuestras fuerzas y de toda nuestra fe; mostramos las frases de todos nuestros grandes combatientes que representan la voluntad del pueblo y agregamos lo nuevo, lo último, lo que nuestro pueblo ha fabricado en esta última etapa de su experiencia histórica, para lanzarlo una y otra vez a la cara del imperialismo.

¡Patria o muerte! ¡Venceremos!

Fuente: Che Guevara, Ernesto: Obras. 1957-1967, Casa de las Américas, La Habana, 1970.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.