F. Stonor Saunders https://lapupilainsomne.wordpress.com
Il legame tra la CIA ed i suoi media era il denaro, e quel denaro poté, spesso, comprare un certo controllo, e talvolta giunse a comprare il pieno controllo. “No riuscivamo a spenderlo tutto”, ha ricordato un agente “Non c’erano limiti, e nessuno doveva rendere conto di nulla”.
Al fine di coprire la sua gestione, la CIA progettò un modo di far arrivare il denaro, da differenti canali, per raggiungere la sua destinazione finale. La CIA creò una falsa fondazione, poco più di una casella postale, che avrebbe fornito fondi ad una fondazione legittima, e quest’ultima si sarebbe incaricata di distribuire il denaro alle organizzazioni che la CIA avrebbe voluto favorire.
Decine di agenzie di stampa e giornali in lingue straniere rispondevano a questa modalità di finanziamento e funzionamento. Il Rome Daily American, controllato dalla CIA dal 1956 al 1964, fu rilevato dall’Agenzia al fine di evitare che cadesse nelle mani dei comunisti italiani e, una volta che fu passato il pericolo, lo rivendettero. Anche così fu amministrato, per anni, da un ufficiale in pensione della CIA, che fu di nuovo contrattato. La CIA aveva investimenti nell’ Okinawa Morning Star, nel Times di Manila, El Mundo di Bangkok e Noticias de la tarde di Tokyo. “Allora avevamo a disposizione almeno un quotidiano in ogni capitale”, ha detto un ufficiale della CIA. Si posizionarono agenti nel Correo del Pacífico Sur (Santiago), nella Crónica de Guyana, El Sol di Haití, il Tiempos de Japón, La Nación di Rangoon, il Diario de Caracas, il Bangkok Post, e prima della Rivoluzione cubana, il Tiempos de La Habana. La CIA finanziava il Foreign News Service che diffondeva articoli scritti da un gruppo di giornalisti dell’Europa dell’Est che vivevano in esilio. Si ebbe una forte infiltrazione nel Servizio della Stampa degli Editori d’ America Latina. Era proprietà della CIA il Continental Press Service, con sede a Washington, diretto da un ufficiale della CIA, e che aveva tra i suoi compiti principali quello di fornire aspetto ufficiale, e fornire di credenziali stampa gli operativi che avevano bisogno di una urgente copertura ufficiale. C’era anche Vision, la rivista settimanale di notizie che era distribuita in tutta Europa e America Latina.
Nel 1958, poco dopo che il presidente Nixon ricevesse il rifiuto di una folla a Caracas, Jose Figueres (che proprio allora aveva concluso il mandato) visitò Washington per spiegare le cause di questo incidente. “Non si può sputare su una politica internazionale”, manifestò ad un funzionario della Casa Bianca “che è quello che vollero fare”. Figueres insistette sul fatto che l’America Latina sosteneva gli USA nella Guerra Fredda, ma domandò; “Se voi parlate alla Russia di dignità umana, perché esitano tanto nel parlare di dignità umana alla Repubblica Dominicana? Figueres affermò che gli USA dovevano cambiare la loro politica in America Latina e non potevano sacrificare i diritti umani a causa degli “investimenti”.
Più tardi, l’anno stesso, Figueres fece appello alla CIA per far avanzare la sua agenda. La CIA gli diede fondi per pubblicare una rivista politica, Combate, e per patrocinare l’incontro per la fondazione dell’Istituto di Istruzione Politica in Costarica, nel novembre 1959. L’Istituto si creò come centro per la formazione e la collaborazione politica dei partiti politici della sinistra democratica; principalmente costaricani, cubani (in esilio),domenicani (in esilio), guatemaltechi, honduregni, nicaraguensi (in esilio), panamensi, peruviani e venezuelani. La CIA occultò il suo agire alla maggior parte dei partecipanti, ad eccezione di Figueres. I suoi fondi (più di un milione tra il 1961 ed il 1963) passarono prima ad una fondazione-facciata, poi al Kaplan Fund di New York, dopo all’Institute for International Labor Research (ILLR), anche a New York, e, infine, a San Jose.
Naturalmente, la maggior parte di queste operazioni clandestine della CIA, in America Latina durante gli anni sessanta, ebbero luogo nel contesto delle conquiste della Rivoluzione cubana, e erano concepite per persuadere l’emisfero contro Fidel Castro. “Non più Cuba” era una politica concreta per la CIA che, con questo obiettivo, possedeva diverse riviste di qualità che faceva circolare dopo Tortilla Curtain, Cuadernos (a cura di Julian Gorkin e, successivamente, da German Areiniegas), ed il suo successore Mundo Nuevo (a cura dallo scrittore uruguaiano Rodriguez Monegal, e mirata a promuovere il tema del “Fidelismo senza Fidel”). D’altronde, la CIA creò una divisione, a New York, chiamata Foreign Publications Inc, per sovvenzionare varie pubblicazioni anti-castriste, molte delle quali provenienti da Miami. Si utilizzò l’Agenzia di Informazione USA anche per creare un fronte newyorkese chiamato Foreign Publications Inc. al fine di sovvenzionare molteplici pubblicazioni anti-castriste, molte di esse radicate a Miami.
In Argentina, per esempio, mentre l’USIA produceva, apertamente, film per soddisfare quei gruppi interessati nei vari aspetti della vita negli USA, gli agenti clandestini della CIA travisavano i reportage che sugli eventi internazionali erano esibiti nei teatri locali; operazione che cercava, secondo un agente della CIA, “imporre negli emisferi l’ottica USA su Castro. Gli argentini non credevano che Castro costituisse una minaccia, così abbiamo iniziato con i film e creiamo quello stato d’animo”.
Queste operazioni di guerra culturale erano state concepite come supporto ad una serie di stratagemmi della CIA. Nella Guyana Britannica (che dichiarò la sua l’indipendenza nel 1966), la CIA si appoggiò al movimento sindacale internazionale per indebolire il governo filo-comunista del primo ministro Cheddi Jagan. Nei primi anni Sessanta, Jagan aveva mostrato simpatia verso Castro e aveva deciso di controllare i sindacati come parte dei suoi sforzi per raggiungere il potere assoluto. Nel 1963 o 1964, l’American Federation of Labor (AFL) ed i suoi alleati internazionali, Inter-American Regional Labor Organization (ORIT) e la International Confederation of Free Trade Unions (ICTFU) sostennero lo sciopero generale di 80 giorni che impedì che Jagan conseguisse il controllo dei sindacati e che condusse al conseguente rovesciamento del presidente.
La CIA anche operava su proprie stazioni radio. Di tutte, quella di maggior successo fu Radio Free Europe (RFE), ma c’erano anche Radio Free Asia, Free Cuba Radio e Radio Swan. Quest’ultima trasmetteva da una piccola isola dei Caraibi, ed era una stazione molto potente. I suoi programmi potevano essere sentiti nella maggior parte dell’emisfero occidentale, ed era gestita da una compagnia di navigazione che per lungo tempo non aveva posseduto alcuna barca. La stazione era assediata da potenziali propagandisti pronti ad approfittare del suo potente e chiaro segnale. Dopo molti mesi rigettando i consumatori, la CIA, infine, fu costretta a iniziare ad accettare alcune aziende per preservare quelle che avevano abbandonato la copertura di Radio Swan.
Radio Free Asia, oltre ad impiegare un gruppo di giornalisti asiatici che erano stati accuratamente selezionati (anche se loro non lo sapevano) dalla CIA e inviati un anno ad Harvard, fu praticamente un disastro. Solo dopo che i trasmettitori di Radio Free Asia cominciarono a funzionare, la CIA scoprì che in Cina quasi non c’erano ricevitori radio privati. Spesso inviava, da Taiwan, palloni aerostatici che trasportavano piccole radio, ma il piano fu abbandonato perché i palloni ritornavano a Taiwan a causa dei venti dello Stretto di Formosa. La stazione cessò le trasmissioni nel 1955.
Radio Free questo e Radio Free quello. Congresso per la Libertà Culturale. Crociata per la libertà. Comitato Nazionale per un’Europa libera. Università Libera di Europa. A metà degli anni sessanta, si diceva per scherzo che se qualche organizzazione filantropica o culturale USA portava le parole ‘libera’, ‘privata’ o ‘indipendente’ nella sua sigla, sicuramente rispondeva alla CIA.
Il grado di dominio che gli USA esercitò sulla cultura di altri paesi, tra cui i suoi alleati, giunse a manipolare gli intellettuali e le loro opere come se fossero pezzi di scacchi in piena giocata magistrale, ed è ancora una delle sue eredità più provocatorie. Ancora tra i circoli intellettuali di Europa e America rimane la disposizione ad accettare l’argomento, della CIA, che i suoi ingenti investimenti finanziari erano disinteressati, e che il suo scopo era quello di ampliare le possibilità di una libera e democratica espressione culturale. “Solo aiutavamo a dire quello che, in ogni modo, si sarebbe detto” è una sorta di assegno in bianco con cui l’Agenzia si difende; se gli intellettuali beneficiavano dei fondi della CIA, senza saperlo, allora i loro atteggiamenti non ricevevano influenza alcuna, quindi la loro indipendenza come pensatori critici non poteva essere pre-condizionata da questo fatto.
In qualsiasi maniera, documenti relazionati alla Guerra Fredda Culturale negano, sistematicamente, questo mitico altruismo; ricordiamo una frase citata sopra, detta da un ufficiale CIA che intervistai: “ciò che l’Agenzia si proponeva era formare persone che, a partire dal proprio ragionamento, fossero convinte che tutto ciò che faceva il governo USA era corretto”. Abbiamo una frase cruciale, “a partire dal loro ragionamento”. Nulla di più diretto e poco sottile che costringere i cervelli, di una generazione, ad equiparare la pace USA con l’ideale di libertà. “Non si trattava di comprare o sovvertire scrittori e intellettuali, ma di creare un sistema di valori arbitrario e artificiale con cui gli accademici furono promossi; gli editori, designati; e gli studiosi, sovvenzionati e pubblicati; non per i loro meriti -che a volte erano notevoli- ma per la loro appartenenza”.
In altre parole, gli individui e le istituzioni sovvenzionati dalla CIA dovevano operare come parte di una vasta campagna di persuasione, di una guerra propagandistica dove ‘Propaganda’ significava “qualsiasi azione o sforzo organizzato per diffondere informazione o qualche dottrina specifica attraverso notizie, polemiche o speciali incentivi, progettati per influenzare le idee e gli atti di un determinato gruppo”. Una componente chiave di questa politica era la “guerra psicologica”, definita come “l’attuazione in forma pianificata da parte di una nazione, di propaganda e attività non belliche che promuoveranno idee ed informazioni destinate ad influenzare le opinioni, atteggiamenti, emozioni e comportamenti di gruppi stranieri, in un modo che favorirebbe i risultati e gli obiettivi nazionali”. La “forma di propaganda più efficace” era quella in cui “l’individuo agiva nella direzione in cui si prevedeva, per ragioni che credeva fossero le proprie”. Non ha senso discutere queste definizioni si basano su documenti governativi e forniscono i principali argomenti della strategia della Guerra Fredda Culturale.
Evidentemente, l’Agenzia mascherava i suoi investimenti, perché supponeva che agendo apertamente le sue agevolazioni sarebbero state respinte? Che tipo di libertà può essere promossa con tali espedienti? “Non simpatizzano il segreto con un governo libero e democratico”, disse, prima della sua morte, Harry Truman, sotto la cui presidenza fu istituita la CIA. L’agenda dell’Unione Sovietica non prevedeva libertà di alcun tipo, in cui gli scrittori ed intellettuali che non erano inviati ai campi di lavoro forzato, erano legati agli interessi dello Stato. Naturalmente era corretto opporsi a tale oppressione. Ora, come? Era coerente il governo USA con i suoi elevati ideali di libertà, tali come venivano espressi nel manifesto del Congresso per la Libertà della Cultura?
Questo manifesto, pubblicato nel 1950, era diretto a “tutti quegli individui decisi a recuperare quelle libertà perdute, e a preservare e ad ampliare le disponibili”. “Sosteniamo che è evidente che la libertà intellettuale è uno dei diritti inalienabili dell’uomo … tale libertà significa in primo luogo e prima di tutto, il diritto di esprimere e mantenere le proprie opinioni, e particolarmente quelle opinioni diverse da quelle dei governanti. Quando ad un uomo si priva del diritto di dire ‘no’, lo si converte in uno schiavo”. Il documento definiva la pace e la libertà come “inseparabili” ed avvertiva che “solo è possibile mantenere la pace se ogni governo sottopone i suoi atti al dominio e alla considerazione di coloro che governa”. Inoltre sottolineava che una condizione per la libertà era “la tolleranza delle opinioni divergenti. Il principio della tolleranza non necessariamente permette la pratica dell’intolleranza”. Nessuna “razza, nazione, classe o religione può arrogarsi il diritto esclusivo di rappresentare l’ideale della libertà né il diritto di limitare la libertà di altri gruppi o confessioni, in nome di alcun elevato ideale o motivo, qualsiasi esso sia”.
Molto bene, ma quale era il posto assegnato alla politica e alla propaganda nel contesto di questo sogno di libertà? È che la propaganda non è una oscura mistificazione che colloca i creatori, o gli scienziati, al servizio dello Stato o di coloro che la controllano? Inoltre, quali erano gli eventi che l’Agenzia USA assumeva come interferenza nei processi di espressione culturale? Non suggerisce, la presenza della CIA, che i requisiti di sicurezza degli USA si erano concettualmente ampliati sino ad includere un mondo sostanzialmente fatto a loro propria immagine?
Possiamo percepire gli echi de “Il secolo americano” nel discorso inaugurale di George W. Bush quando promise che la questa nuova era sarebbe “Il secolo delle Americhe”. Fu sulla base che era il destino degli USA responsabilizzarsi per il secolo che si costruì il mito principale della Guerra Fredda. Questa fu e continua ad essere una base falsa. “La Guerra Fredda è una battaglia di falsità tra veri interessi” scrisse il critico d’arte Harold Rosenberg nel 1962. “La battuta della Guerra Fredda è che ogni rivale è cosciente che le idee dell’altro sarebbero irresistibili se fossero realmente messe in pratica … l’Occidente vuole la libertà al livello in cui la libertà è compatibile con la proprietà privata ed i profitti; i sovietici vogliono la libertà a livello in cui questa sia compatibile con la dittatura della burocrazia comunista … (In realtà) le rivoluzioni nel secolo XX hanno come obiettivo la libertà ed il socialismo … è essenziale una politica realistica, una politica che si liberi una volta e per sempre della frode della libertà in opposizione al socialismo”.
Nel 1993, George Kennan, uno degli architetti della politica della Guerra Fredda, fece una dichiarazione straordinaria: “Devo chiarire” disse “che sono totalmente e fortemente in disaccordo con qualsiasi concetto messianico del ruolo degli USA nel mondo, ciò che significa in disaccordo con la nostra immagine di guida e redentori del resto dell’umanità, in disaccordo con l’illusione che abbiamo una virtù unica e superiore, il discorso sul Destino Manifesto o il ‘Secolo Americano’.
In altre parole, è necessario che si comprenda che la complessa matassa delle questioni internazionali, non può essere ridotta a slogan o imperativi dottrinali e che i meccanismi della libertà intellettuale, culturale e politica sono molto più complessi di quanto implicito nelle lodi al liberalismo degli USA. La vera libertà degli intellettuali ed artisti deve radicare nel fatto che questi siano motivati dai propri principi, piuttosto che dai dettami di governi o strateghi, e che invece di essere costretti a prendere partito, devono avere la libertà di calciare le barriere erette intorno alle idee. Solo in questo modo potrà, secondo le parole di Milan Kundera, sorgere “la saggezza del dubbio”.
Una historia actual: La CIA y la Guerra Fría Cultural
Por Frances Stonor Saunders
El lazo entre la CIA y sus medios era el dinero, y ese dinero a menudo pudo comprar cierto control, y muchas veces hasta llegó a comprar todo el control. “No podíamos gastarlo todo”, recordaba un agente “No había límites, y nadie tenía que dar cuentas de nada”. Con el objetivo de cubrir sus manejos, la CIA diseñó una manera de hacer llegar el dinero por diferentes canales hasta llegar a su destinatario final. La CIA creó una fundación falsa, poco más que un buzón postal, que proporcionaría fondos a una fundación legítima, y esta última sería la encargada de distribuir el dinero a las organizaciones que la CIA quisiera favorecer.
Docenas de agencias de prensa y periódicos en lenguas extranjeras respondían a este modo de financiamiento y operación. El Rome Daily American (Diario Americano de Roma), controlado por la CIA de 1956 a 1964, fue asumido por la Agencia a fin de evitar que cayera en manos de los comunistas italianos y, una vez que pasó el peligro, lo vendieron otra vez. Aún así fue administrado por varios años por un oficial retirado de la CIA, que fue vuelto a contratar. La CIA tenía inversiones en el Okinawa Morning Star, en el Times de Manila, El Mundo de Bangkok y el Noticias de la tarde, de Tokio. “En aquel entonces teníamos disponible por lo menos un periódico en cada capital”, declaró un oficial de la CIA. Se situaron agentes en el Correo del Pacífico Sur (Santiago), en el Crónica de Guyana, El Sol de Haití, el Tiempos de Japón, La Nación de Rangoon, el Diario de Caracas, el Bangkok Post, y antes de la Revolución cubana, el Tiempos de La Habana. La CIA financiaba el Foreign News Service (Servicio de noticias internacionales), que difundía artículos escritos por un grupo de periodistas de Europa del Este que vivían en el exilio. Hubo una fuerte infiltración en el Servicio de Prensa de Editores de América Latina. Era propiedad de la CIA el Continental Press Service (Servicio de prensa continental), con sede en Washington, dirigido por un oficial de la CIA, y que tenía entre sus principales tareas la de proveer apariencia oficial, y proveer de credenciales de prensa a operativos que necesitaran una cobertura oficial urgente. También estaba Visión, la revista noticiosa semanal que era distribuida en toda Europa y América Latina.
En 1958, poco después de que el presidente Nixon recibiera el rechazo de una multitud en Caracas, José Figueres (quien entonces justo había terminado el mandato) visitó Washington para explicar las causas de este incidente. “No se puede escupir sobre una política internacional”, manifestó a un funcionario de la Casa Blanca, “que es lo que quisieron hacer”. Figueres insistió en que América Latina apoyaba a los Estados Unidos en la Guerra Fría, pero cuestionó; “Si ustedes le hablan a Rusia de dignidad humana, ¿por qué titubean tanto para hablarle de dignidad humana a la República Dominicana? Figueres afirmó que los Estados debían cambiar su política en Latinoamérica y que no podían sacrificar los derechos humanos a causa de las ”inversiones”.
Más tarde, el propio año, Figueres apeló a la CIA para hacer avanzar su agenda. La CIA le concedió fondos para publicar una revista política, Combate, y para patrocinar el encuentro para la fundación del Instituto de Educación Política en Costa Rica, en noviembre de 1959. El Instituto se creó como centro para el entrenamiento y la colaboración política de los partidos políticos de la izquierda democrática; fundamentalmente los costarricenses, los cubanos (en el exilio), los dominicanos (en el exilio), los guatemaltecos, los hondureños, los nicaragüenses (en el exilio), los panameños, los peruanos y los venezolanos. La CIA ocultó su actuación a la mayoría de los participantes, excepto a Figueres. Sus fondos (más de un millón entre 1961 y 1963) pasaron primero a una fundación-fachada, luego al Kaplan Fund of New York (Fondo Kaplan de Nueva York), después al Institute for International Labor Research (ILLR) (Instituto para las Labores de Investigación Internacional), también en Nueva York, y finalmente a San José.
Claro está, la mayor parte de estas operaciones clandestinas de la CIA en América Latina durante los años sesenta, tuvieron lugar en el contexto de los logros de la Revolución cubana, y estaban concebidas para persuadir al hemisferio contra Fidel Castro. “No más Cubas” era una política concreta para la CIA que, con este objetivo, poseía varias revistas de calidad que hacía circular tras Tortilla Curtain, Cuadernos (editada por Julian Gorkin y, más tarde, por Germán Areiniegas), y su sucesor Mundo Nuevo (editada por el literato uruguayo Rodríguez Monegal, y diseñada para promover el tema del “Fidelismo sin Fidel”). Por otra parte, la CIA también creó una división en Nueva York llamada Foreign Publications Inc. (Publicaciones extranjeras inc.) para subsidiar varias publicaciones anticastristas, muchas de las cuales procedían de Miami. También se utilizó la Agencia de Información de los Estados Unidos para crear un frente neoyorquino llamado Foreign Publications Inc. con el fin de subsidiar múltiples publicaciones anticastristas, muchas de ellas radicadas en Miami.
En Argentina, por ejemplo, mientras la USIA producía abiertamente películas para satisfacer a aquellos grupos interesados en las diversas facetas de la vida en los Estados Unidos, los agentes clandestinos de la CIA tergiversaban los reportajes que sobre los sucesos internacionales eran exhibidos en teatros locales, operación que intentaba, según un agente de la CIA, “imponer en los hemisferios la óptica norteamericana sobre Castro. Los argentinos no creían que Castro constituyera una amenaza, así que comenzamos con las películas y creamos ese estado de opinión”.
Estas operaciones de la guerra cultural habían sido concebidas como respaldo a una serie de artimañas de la CIA. En la Guyana Inglesa (que declaró su independencia en 1966), la CIA se apoyó en el movimiento sindical internacional para debilitar el gobierno pro comunista del Primer Ministro Cheddi Jagan. A principios de los sesenta, Jagan había dado muestras de cordialidad hacia Castro y había decidido controlar los sindicatos obreros como parte de sus esfuerzos por alcanzar el poder absoluto. En 1963 ó 1964, la American Federation of Labor (AFL) (Federación americana del trabajo) y sus aliados internacionales, la Inter-American Regional Labor Organization (ORIT) (Organización regional interamericana para la organización del trabajo) y la International Confederation of Free Trade Unions (ICTFU) (Confederación internacional de sindicatos libres) respaldaron la huelga general de 80 días que impidió que Jagan consiguiera el control de los sindicatos y que condujo al ulterior derrocamiento del mandatario.
La CIA también operaba sus propias emisoras radiales. De todas, la más exitosa fue Radio Free Europe (Radio Europa Libre), pero también estaban Radio Free Asia (Radio Asia libre), Free Cuba Radio (Radio Cuba libre), y Radio Swan. Esta última transmitía desde una pequeña isla del Caribe, y era una estación muy potente. Sus programas podían ser escuchados en la mayor parte del hemisferio occidental, y era operada por una compañía naviera que por un buen tiempo no había poseído barco alguno. La emisora era asediada por potenciales propagandistas prestos a obtener ventajas de su potente y clara señal. Luego de muchos meses rechazando a los consumidores, la CIA finalmente se vio forzada a comenzar a aceptar algunos negocios para preservar lo que había abandonado la cobertura de Radio Swan.
Radio Free Asia, amén de emplear a un grupo de periodistas asiáticos que habían sido cuidadosamente seleccionados (aunque ellos no lo sabían) por la CIA y enviados un año a Harvard, fue prácticamente un desastre. Solo después de que los transmisores de Radio Free Asia comenzaran a funcionar, la CIA descubrió que en China casi no había radio receptores privados. Con frecuencia enviaban desde Taiwan globos aerostáticos que portaban pequeños radios, pero el plan fue abandonado porque los globos regresaban a Taiwán a causa de los vientos del estrecho de Formosa. La estación dejó de transmitir en 1955.
Radio Free esto y Radio Free lo otro. Congreso por la Libertad Cultural. Cruzada por la libertad. Comité Nacional por una Europa Libre. Universidad Libre de Europa. A mediados de los sesenta, se decía en broma que si alguna organización filantrópica o cultural de los Estados Unidos llevaba las palabras ‘libre’, ‘privada’ o ‘independiente’ en su literatura, de seguro respondía a la CIA.
El grado de dominio que Estados Unidos ejerció sobre la cultura de otros países, incluidos sus aliados, llegó a manipular a los intelectuales y sus obras como si fueran piezas de ajedrez en plena jugada maestra, y es todavía una de sus herencias más provocadoras. Aún entre los círculos intelectuales de Europa y América se mantiene la disposición a aceptar el argumento de la CIA de que sus sustanciales inversiones financieras eran desinteresadas, y que su propósito era ampliar posibilidades para una libre y democrática expresión cultural. “Solamente ayudábamos a decir lo que de todos modos se iba a decir”, es una especie de cheque en blanco con que la Agencia se defiende; si los intelectuales se beneficiaban de los fondos de la CIA sin saberlo, entonces sus actitudes no recibían influencia alguna, así que su independencia como pensadores críticos no podía estar precondicionada por este hecho.
De cualquier manera, documentos relacionados con la Guerra Fría cultural sistemáticamente desmienten este mítico altruismo; recordemos una frase citada anteriormente, dicha por un oficial de la CIA que entrevisté: “lo que la Agencia se proponía era formar personas que, a partir de sus propios razonamientos, estuvieran convencidas de que todo lo que hacía el gobierno de los Estados Unidos era correcto”. Tenemos una frase crucial, “a partir de sus propios razonamientos”. Nada más directo o poco sutil que forzar a los cerebros de una generación a que equiparen la paz de los Estados Unidos con el ideal de la libertad. “No se trataba de comprar o subvertir a escritores e intelectuales, sino de crear un sistema de valores arbitrario y artificial con el que los académicos fueran promovidos; los editores, designados; y los estudiosos, subsidiados y publicados; no por sus méritos –que en ocasiones eran considerables—sino por su filiación”.
En otras palabras, los individuos e instituciones subsidiados por la CIA debían funcionar como parte de una amplia campaña de persuasión, de una guerra propagandística donde ‘propaganda’ quería decir “cualquier acción o esfuerzo organizado para difundir información o alguna doctrina en específico, por medio de noticias, polémicas o incentivos especiales, concebidos para influir las ideas y los actos de un grupo dado”. Un componente fundamental en esta política era la “guerra sicológica”, definida como “la puesta en práctica de forma planificada por parte de una nación, de propaganda y actividades no bélicas que promocionaran ideas e informaciones dirigidas a influir las opiniones, actitudes, emociones y comportamientos de grupos extranjeros, de un modo que favoreciera los logros y objetivos nacionales”. La “forma de propaganda más efectiva” era aquella en que “el individuo actuaba en la dirección en que se esperaba, por razones que creía eran las suyas propias”. No tiene sentido discutir estas definiciones, están basadas en documentos del gobierno y proporcionan los principales argumentos de la estrategia de la Guerra Fría cultural.
Evidentemente, la Agencia disfrazaba sus inversiones porque suponía que de actuar abiertamente sus facilidades serían rechazadas. ¿Qué tipo de libertad se puede promover con semejantes artimañas? “No congenian el secreto con un gobierno libre y democrático” dijo, antes de su muerte, Harry Truman, bajo cuya presidencia fue instituida la CIA. La agenda de la Unión Soviética no incluía libertad de ningún tipo, allí donde los escritores e intelectuales que no eran enviados a los campos de trabajo forzado, estaban amarrados a los intereses del Estado. Claro está que era correcto oponerse a semejante opresión. Ahora bien, ¿de qué manera? ¿Era coherente el gobierno de los Estados Unidos con sus propios elevados ideales de libertad, tal como se expresaban en el manifiesto del Congreso para la Libertad Cultural?
Este manifiesto, publicado en 1950, estaba dirigido a “todos aquellos individuos decididos a recuperar aquellas libertades perdidas, y a preservar y ampliar las disponibles”. “Sostenemos que es evidente que la libertad intelectual es uno de los derechos inalienables del hombre… tal libertad significa en primer lugar y por encima de todo, el derecho a expresar y mantener las opiniones propias, y particularmente aquellas opiniones que difieren de las de los gobernantes. Cuando a un hombre se le priva del derecho a decir ‘no’, se le convierte en un esclavo”. El documento definía la paz y la libertad como “inseparables”, y advertía que “solo es posible mantener la paz si cada gobierno somete sus actos al dominio y a la consideración de aquellos a quienes gobierna”. También hacía énfasis en que una condición para la libertad era “la tolerancia de opiniones divergentes. El principio de la tolerancia no necesariamente permite la práctica de la intolerancia”. Ninguna “raza, nación, clase o religión puede arrogarse el derecho exclusivo a representar el ideal de la libertad, ni el derecho a restringir la libertad de otros grupos o credos, en nombre de ningún ideal o motivo elevado cualquiera que sea”.
Muy bien, ¿pero cuáles era el lugar asignado a la política y a la propaganda en el contexto de este sueño de libertad? ¿Es que la propaganda no constituye una oscura mistificación que coloca a los creadores, o a los científicos, al servicio del Estado o de quienes la controlan? Además, ¿cuáles eran los asuntos que la Agencia de Inteligencia de los Estados Unidos asumían como una interferencia en los procesos de expresión cultural? ¿No sugiere la presencia de la CIA que los requerimientos de seguridad de los Estados Unidos se habían ampliado conceptualmente hasta incluir un mundo sustancialmente hecho a su propia imagen?
Podemos percibir los ecos de “El siglo americano” en el discurso inaugural de George W. Bush, cuando prometió que esta nueva era sería “El siglo de las Américas”. Fue sobre la base de que era el destino de los Estados Unidos responsabilizarse por el siglo que se construyó el mito principal de la Guerra Fría. Esta fue y sigue siendo una base falsa. “La Guerra Fría es una batalla de falsedad entre verdaderos intereses”, escribió el crítico de arte Harold Rosenberg en 1962. “La broma de la Guerra Fría es que cada rival está consciente de que las ideas del otro serían irresistibles si fueran realmente llevadas a la práctica… Occidente quiere libertad al nivel en que la libertad es compatible con la propiedad privada y las ganancias; los soviéticos quieren libertad al nivel en que esta es compatible con la dictadura de la burocracia comunista… (De hecho) las revoluciones en el siglo XX tienen como objetivo la libertad y el socialismo… es esencial una política realista, una política que se libre de una vez y para siempre del fraude de la libertad en oposición al socialismo.”
En 1993, George Kennan, uno de los arquitectos de la política de la Guerra Fría, hizo una afirmación extraordinaria: “Debo aclarar”, expresó, “que estoy total e insistentemente en desacuerdo con cualquier concepto mesiánico acerca del papel de los Estados Unidos en el mundo, lo que significa en desacuerdo con nuestra imagen de guía y redentores del resto de la humanidad, en desacuerdo con la ilusión de que tenemos una virtud única y superior, el discurso sobre el Destino Manifiesto o el ‘Siglo Americano’.
En otras palabras, es necesario que se entienda que la complicada madeja de las cuestiones internacionales no puede ser reducida a slogans ni a imperativos doctrinales, y que los mecanismos de la libertad intelectual, cultural y política son más complejos de lo que está implícito en las loas al liberalismo de los Estados Unidos. La verdadera libertad de los intelectuales y artistas debe radicar en que estos estén motivados por sus propios principios, más que por los dictados de gobiernos o estrategas, y que en vez de ser forzados a tomar partido, deben tener libertad para patear las barreras erigidas alrededor de las ideas. Solo de esta manera podrá, como dijera Milan Kundera, surgir “la sabiduría de la duda”.