di Geraldina Colotti – il manifesto
Venezuela. Intervista al presidente della Repubblica bolivariana
«Siamo il popolo delle difficoltà, una trincea di pace per tutta l’America latina», dice al manifesto Nicolas Maduro, che abbiamo incontrato durante il nostro ultimo viaggio in Venezuela.
Ex militante della Lega socialista, ex autista del metro e sindacalista, Maduro ha ricoperto vari incarichi nei governi Chavez, di cui è stato ministro degli Esteri, viceministro e poi presidente della Repubblica dopo la sua morte, eletto il 14 aprile del 2013.
Violenze, scontro di poteri, referendum revocatorio, sanzioni internazionali. Tre anni vissuti pericolosamente…
Gruppi economico-politici che dipendono dal finanziamento e dall’appoggio della destra internazionale vogliono imporre al paese una direzione esterna. Se arrivassero al potere, governerebbero per i loro finanziatori.
Considerano il governo del paese un bottino, lottano fra loro per accreditarsi a livello internazionale.
Sono sostanzialmente quattro: il vecchio gruppo economico degli “adeco” della IV Repubblica, quello di Ramos Allup e di Accion democratica, che ha prodotto nel Zulia il gruppo di Manuel Rosales, la cui influenza è però diminuita e serve da zerbino alle nuove destre.
Il terzo gruppo è quello della borghesia “amarilla”, tradizionalmente parassitaria. Un nucleo di potere ambiguo e chiuso che si contende l’appoggio della destra imperialista mondiale, di cui è uno dei preferiti. E’ stato attivo in tutti i golpe ma non lo ha mai rivendicato, presentando sempre una facciata legale, dicendosi a favore delle elezioni. Ora, non essendo riuscito a realizzare i propri obiettivi nei tempi che si era prefisso, si sta spostando verso la violenza criminale e il bachaquerismo, il traffico illegale di alimenti e prodotti.
Il quarto gruppo è il più violento, è legato al paramilitarismo colombiano di Alvaro Uribe. Nel 2002 e nel 2003 ha organizzato il colpo di stato e poi l’occupazione militare della Plaza Altamira. E’ coinvolto in tutte le azioni violente, e per quanti sforzi faccia per assumere una parvenza legale, non riesce a nascondere l’odore di fascismo che emana. E’ il gruppo di Leopoldo Lopez.
E’ vero, ho dovuto affrontare ogni genere di attacco in un tempo più concentrato rispetto a quelli a cui ha dovuto far fronte il Comandante Chavez, ma i pericoli che lui ha dovuto correre sono stati molti di più e ne siamo sempre venuti fuori. Quando è stato eletto, gli avevano dato solo due anni di luna di miele con il suo popolo, invece nonostante il golpe e la serrata petrolifera padronale abbiamo recuperato il prezzo del barile, avviato i piani sociali, costruito l’Alba, la Unasur, la Celac.
Dopo la mia elezione, anche alcune componenti della sinistra internazionale hanno pensato che il proceso bolivariano non sarebbe sopravvissuto senza Chavez.
La destra ha scommesso che sarei caduto nel 2013, nel 2014, nel 2015… Invece siamo ancora qui: siamo gli eredi di Bolivar, che era l’uomo delle difficoltà.
Questo sarà un anno determinante, ma il nostro popolo si rafforza nelle difficoltà. Nessuno riuscirà a riportarci al rango di colonia.
Nel 2002, se il golpe avesse trionfato, non ci avrebbe lasciato altra strada che il ricorso alle armi. Tutta la regione si sarebbe trasformata in zona di guerra, perché abbiamo molti alleati, in America latina e nei Caraibi. E anche oggi, il governo Maduro – lo dico in tutta umiltà – è il solo che può garantire la stabilità, la pace con giustizia sociale.
Ma il quadro internazionale – con il ritorno delle destre in Argentina e in Brasile e con la caduta del prezzo del petrolio – sta rimettendo in forse i rapporti sud-sud. Fin dove è disposto a spingersi per difendere questa rivoluzione?
Oggi siamo di fronte a nuove sfide, diverse da quelle che hanno attraversato il secolo scorso: il secolo di Lenin, di Mao, del Che, di Allende e di Chavez, che ha proiettato con forza il suo progetto nel secolo XXI, dando però inizio a un percorso costituente, verso il socialismo ma in modo pacifico e democratico.
Nel XX secolo, tutte le rivoluzioni socialiste e anticoloniali sono state armate.
L’anno prossimo saranno 100 anni dalla vittoria bolscevica del ’17 che ha cambiato il corso dell’umanità. Una lotta durissima per un nuovo mondo.
Bastano alcune date: il colpo di stato in Guatemala nel 1954, quello del ’64 in Brasile, la seconda occupazione statunitense della Repubblica Dominicana, nel ’65 con l’Operazione Power Pack, passando per l’invasione della Baia dei Porci a Cuba, nel ’61. E poi Allende in Cile, nel ’73, l’Argentina… fino al golpe contro Chavez del 2002.
Ma 100 anni, sul piano della storia, sono un tempo breve. La lotta per l’autodeterminazione dei popoli e per la loro emancipazione dallo sfruttamento è ancora giovane, ha subito sconfitte e progressi. Oggi siamo di fronte a un altro mondo, a dinamiche più complesse…
Una nuova realtà multipolare su cui cerca di imporsi un nuovo, devastante, progetto imperiale. Che invade e distrugge.
Cos’ha prodotto la cosiddetta lotta al terrorismo dopo l’attacco alle Torri gemelle? Hanno distrutto l’Afghanistan, che oggi è un paese esportatore di rifugiati e terrorismo. Hanno distrutto la Libia, e guardate i risultati. Vorrebbero fare lo stesso con la Siria…
Vogliono minare i Brics, che hanno messo in relazione nuove forze emergenti.
La Nato minaccia in modo irresponsabile la Russia, che invece è un fattore di pace anche per l’Europa. Cercano di screditare Putin, che ha saputo governare sapientemente la fase seguita alla caduta dell’Unione sovietica e porta avanti la lotta contro il terrorismo.
Provocano la Cina… Vogliono seminare guerra anche in questa nuova America latina che ha iniziato, con Chavez, cambiamenti profondi che travalicano la geografia del continente: una nuova epoca di rivoluzioni democratiche, popolari, pacifiche ma in una prospettiva socialista, che ha saputo unire tutte le forze progressiste sulla via della pace, della sovranità: fidando sul consenso, la cultura, i diritti, sulla forza delle donne.
Siamo una trincea di questi valori. Non lasceremo che li azzerino, ma nemmeno vogliamo deviare dal cammino intrapreso. Siamo nel momento più difficile, ma la nuova America latina è viva: nella forza del suo popolo, della piazza, dell’amore, che è la grande causa dell’umanità, come diceva il poeta Che Guevara.
Fin dove siamo disposti a spingerci? Fino a dare la vita per questo: per costruire la vita ogni giorno.
Il presidente ecuadoriano Rafael Correa ha recentemente denunciato l’esistenza di un nuovo Piano Condor contro il socialismo del XXI secolo. E’ d’accordo?
La prima che ha parlato dell’esistenza di un nuovo piano Condor è stata la compagna Cristina Kirchner, l’anno scorso al vertice delle Americhe di Panama. Allora, il Venezuela ha ricevuto l’appoggio unanime di tutti i paesi latinoamericani contro le sanzioni imposte dagli Stati uniti. Mi sono trovato d’accordo con lei.
Certo, oggi non ci sono più i Pinochet, i Videla, gli Stroessner, ma persistono le oligarchie che li sostennero, e che alimentano le destre modello marketing e i pupazzetti impomatati che vediamo agire anche in Venezuela.
Siamo di fronte a un nuovo tipo di sicariato, politico economico e mediatico, che ci attacca sia a livello nazionale che internazionale. E, per quanto riguarda il Venezuela, cerca di impedire che passiamo dalla fase della difesa a quella del recupero, nella guerra economica e petrolifera.
I sicari economici organizzano il sabotaggio interno, seminano odio e razzismo, credono di poter ingannare e truffare a piacimento. I sicari mediatici conducono una guerra psicologica per uccidere la speranza e la stabilità, intossicando soprattutto le reti sociali. Quelli politici finanziano e guidano da fuori campagne destabilizzanti.
Avete visto cos’è successo durante la campagna elettorale spagnola? Le destre hanno usato la rivoluzione bolivariana per fini interni. Una vera ossessione.
Se la magistratura spagnola aprisse un’inchiesta, non le ci vorrebbe molto per scoprire le filiere di finanziamento illegale miliardario che partono da Madrid, dirette alle destre venezuelane. Usano la Spagna come piattaforma per cospirare contro il nostro governo.
Siamo un paese pacifico e sovrano, che non si immischia negli affari interni di altri paesi. Abbiamo le nostre difficoltà, cerchiamo di superarle alla nostra maniera.
E’ nostro diritto costruire il socialismo, adottare il modello che il nostro popolo ha scelto. E quanta pazienza abbiamo avuto per continuare sulla via pacifica e democratica, mantenendo sempre aperta la porta del dialogo, promosso dalla Unasur e da tre ex presidenti, José Zapatero, Martín Torrijos e Lionel Fernandez, a dispetto di tutti gli attacchi.
Ma i nuovi sicari vogliono far fuori i leader progressisti della nostra America. Guardate il golpe parlamentare contro Dilma, in Brasile. Un governo che in tre settimane ha visto dimettersi tre ministri per corruzione accusa di disonestà una donna integerrima.
Contro di noi, cercano di attivare la cosiddetta Carta democratica interamericana, di imporre sanzioni. E’ un attacco che viene da lontano.
Siamo i custodi della grande storia e della terra dei libertadores. Stiamo nuotando controcorrente.