Ricardo Alarcon de Quesada http://www.cubadebate.cu
A metà dello scorso secolo la diplomazia USA segnò uno dei suoi più grandi trionfi. Fece credere al mondo che Portorico aveva smesso di essere una colonia per trasformarsi in un ente inconsueto che chiamarono “Stato Libero Associato (SLA)”. Si diceva, allora, che l’isola dopo aver pienamente raggiunto la sua autonomia decise sottoscrivere, con la sua antica metropoli, un patto liberamente concordato tra eguali.
Al momento la mostruosità fu presentata come un punto di riferimento, come modello, per gli altri, da seguire. Il territorio fu invaso da capitale USA che vennero beneficiati da privilegi ed esenzioni fiscali ed esibì notevoli tassi di crescita. Si parlava, anche, del “miracolo” economico portoricano.
La realtà profonda andava in modo diverso. Le produzioni autoctone -agricoltura, industria, servizi- furono schiacciate da quelle del potente “socio”. Per molti emigrare negli USA fu l’unica via d’uscita, mentre la sua terra si stranierizzava irrimediabilmente. L’incessante esodo mostra eloquenti cifre, rimangono nell’isola circa 3 milioni di abitanti mentre sono già 5 milioni coloro che, a malapena, sopravvivono in Nord America, che li discrimina e disprezza.
Per imporre il proprio modello, Washington, perseguitò brutalmente nazionalisti e indipendentisti. La “vetrina democratica” negava al popolo il suo inalienabile diritto alla libertà e per questo fece ricorso a tutti i metodi, tra cui non mancò la violenza repressiva
I patrioti non smisero mai la loro lotta per l’indipendenza e si impegnarono a smascherare la farsa coloniale e ottenere l’indispensabile solidarietà internazionale. Lo fecero con ammirevole tenacità all’ONU, da che l’ONU, nel 1960, proclamò il diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione ed all’indipendenza. Ottennero, dal 1973, che il Comitato per la Decolonizzazione favorisse il loro reclamo, anno dopo anno.
Nel frattempo, il disegno economico SLA entrò in una sempre più profonda crisi e ora affronta la bancarotta e l’insolvenza. Le autorità locali -il Governatore e l’Assemblea Legislativa- hanno cercato di trovare soluzioni immaginando che avessero la potestà per farlo e che potessero contare sul sostegno di chi, si supponeva, era proprio “socio”.
La verità, però, s’impose in modo sorprendente e brutale. In pochi giorni, quasi nello stesso momento, la Corte Suprema USA, il Congresso Federale ed il presidente Obama hanno detto forte e chiaro affinché tutti capissero: Portorico manca di propria sovranità, non è altro che un territorio coloniale ed è integralmente sottomesso alle decisioni del suo padrone. E perché nessuno si confonda promulgarono una legge che istituisce la Giunta di Controllo Fiscale. I suoi sette membri, nominati da Washington, s’incaricheranno di amministrare e dirigere la colonia.
La diffusa indignazione esplose con forza, questa estate, nel corso della sessione del Comitato ONU. Là c’erano decine di rappresentanti di tutte le tendenze e di tutti i settori della società, tra cui il governatore García Padilla.
Il Comitato ha inoltre approvato, ancora una volta, la Risoluzione che sostiene il diritto all’indipendenza di Portorico, ha fatto un passo avanti e all’unanimità ha deciso di incaricare il Presidente che promuova un dialogo tra Washington ed i portoricani per ottenere la decolonizzazione dell’isola. Così si offre un’uscita costruttiva che Obama dovrebbe cogliere. Avendo riconosciuto che ingannò il mondo e che Portorico è ancora la principale colonia del pianeta, gli USA hanno l’obbligo ineludibile di porre fine ad una situazione in violazione del Diritto Internazionale. che dura da troppo tempo.
Puerto Rico: la hora de la verdad
Por: Ricardo Alarcón de Quesada
A mediados del pasado siglo la diplomacia estadounidense se anotó uno de sus mayores triunfos. Hizo creer al mundo que Puerto Rico había dejado de ser una colonia para transformarse en un ente extraño al que nombraron “Estado Libre Asociado (ELA)”. Se dijo entonces que la isla después de alcanzar plenamente su autonomía decidió suscribir con su antigua metrópolis un pacto libremente convenido entre iguales.
En su momento el engendro fue presentado como punto de referencia, como modelo a seguir por otros. El territorio fue invadido por capitales norteños que se beneficiaron de privilegios y exenciones impositivas y exhibió índices de crecimiento notables. Se hablaba incluso del “milagro” económico puertorriqueño.
La realidad profunda iba por otros caminos. Las producciones autóctonas -la agricultura, la industria, los servicios- fueron aplastadas por las del poderoso “socio”. Para muchos emigrar a Estados Unidos fue la única salida mientras su tierra se extranjerizaba sin remedio. El incesante éxodo muestra cifras elocuentes, quedan en la isla alrededor de 3 millones de habitantes mientras ya son 5 millones los que malviven en la Norteamérica que los discrimina y desprecia.
Para imponer ese modelo Washington persiguió con saña a los nacionalistas e independentistas. La “vitrina democrática” negaba al pueblo su derecho inalienable a la libertad y para ello recurrió a todos los métodos entre los que no faltó la violencia represiva
Los patriotas no cesaron nunca en su lucha por la independencia y se empeñaron por desenmascarar la farsa colonial y alcanzar la indispensable solidaridad internacional. Lo hicieron con tenacidad admirable en la Organización de Naciones Unidas desde que la ONU, en 1960, proclamó el derecho de todos los pueblos a la autodeterminación e independencia. Consiguieron desde 1973 que el Comité de Descolonización favoreciera su reclamo año tras año.
Entretanto el diseño económico del ELA entró en una crisis cada vez más profunda y encara hoy la bancarrota y la insolvencia. Las autoridades locales -el Gobernador y la Asamblea Legislativa- trataron de encontrar soluciones imaginando que tenían potestad para hacerlo y que podrían contar con el apoyo de quien se suponía era su “socio”.
La verdad, sin embargo, se impuso de modo sorprendente y brutal. En pocos días, casi al mismo tiempo, el Tribunal Supremo de Estados Unidos, el Congreso Federal y el Presidente Obama lo dijeron alto y claro para que todos lo entiendan: Puerto Rico carece de soberanía propia, no es más que un territorio colonial y está completamente sometido a las decisiones de su dueño. Y para que nadie se confunda promulgaron una ley creando la Junta de Control Fiscal. Sus siete miembros, designados por Washington, se encargarán de administrar y dirigir la colonia.
La indignación generalizada estalló con fuerza este verano en la sesión del Comité de la ONU. Allá fueron decenas de representantes de todas las tendencias y todos los sectores de la sociedad incluyendo al Gobernador García Padilla.
El Comité además de aprobar una vez más la Resolución que sostiene el derecho a la independencia de Puerto Rico, dio un paso adelante y por unanimidad decidió encargar a su Presidente que promueva un diálogo entre Washington y los boricuas para lograr la descolonización de la isla. De ese modo se ofrece una salida constructiva que Obama debería aprovechar. Habiendo reconocido que engañó al mundo y que Puerto Rico es aun la principal colonia del planeta, Estados Unidos tiene la obligación ineludible de poner fin a una situación violatoria del Derecho Internacional que ha durado ya demasiado tiempo.