di Alfredo A. Torrealba – http://www.aporrea.org
Qui di seguito si presenta un breve riassunto composto di dieci idee generali concernenti l’evoluzione del significato di “Fuga dei Cervelli” in Venezuela. Il documento è stato sviluppato in questo modo, poiché negli ultimi anni “l’informazione tascabile”, ovvero succinta, è diventata più popolare “di quella approfondita”.
- Originariamente il termine “Fuga dei Cervelli” sorse in Messico agli inizi del XX secolo. In quell’occasione si faceva riferimento al fatto che la manodopera qualificata delle istituzioni dell’America Latina lasciava il posto di lavoro per farsi assumere nelle ditte private. Alcuni politici e pensatori messicani si resero conto di questa tendenza, interpretandola come un allontanamento dettato da fattori quali i bassi salari o dai benefici se confrontati con quelli che offriva il settore privato. Quest’ultimo, infatti, perseguiva degli obiettivi di produzione e profitto ben precisi per sentire l’esigenza di annoverare tra le sue fila a figure di professionisti che svolgessero le diverse mansioni negli ambiti industriale, commerciale tecnologico e amministrativo.
- Il termine “Fuga di Cervelli” giunse in Venezuela (fino a dove si è potuto appurare) agli inizi del decennio degli anni ’20 dello scorso secolo quando un gruppo di politici e pensatori fece notare la loro inquietudine sui giornali e i libri dell’epoca, riguardante la scarsità di manodopera giovane e qualificata nella regione centrale del paese. La maggior parte di questi giovani emigrava a Caracas, la capitale del paese, alla ricerca di migliori opportunità come conseguenza dei negoziati che si erano aperti con l’avvento del “boom” petrolifero. Inoltre in quegli anni e allo stesso modo che in Messico, la “Fuga di Cervelli” colpiva ampi settori dell’amministrazione pubblica, ma con la differenza che questa non convergeva necessariamente solo verso il settore privato, ma vedeva coinvolto anche l’esercito venezuelano.
- Dal 1967 la “Fuga di Cervelli” fu riscoperta dalla comunità accademica nordamericana come un vero e proprio problema, definendola “Brain drain”. Da allora questo tema è diventato d’attualità negli scenari politici e nei mezzi di comunicazione di tutta l’America Latina, poiché viene descritto come un processo d’emigrazione che coinvolge professionisti e scienziati con titolo universitario che si sposta verso altri paesi, principalmente spinti dalla mancanza di opportunità di sviluppo nei settori della ricerca, per motivi economici o per conflitti politici nel loro paese di origine e che, in genere, si caratterizza come senza ritorno. Nonostante questo processo è maggiormente presente nei paesi in via di sviluppo, in molti casi si manifesta nei paesi industrialmente sviluppati, dovuto a fattori come differenze salariali o impositive.
- Dal 1971 la “Fuga di Cervelli” in Venezuela si associa con l’idea che sempre con maggiore frequenza gli studenti venezuelani e i professionisti neolaureati se ne vanno altrove per cercare un futuro migliore. Questa tendenza si è mantenuta fino agli inizi degli anni ottanta quando la parità di cambio tra bolívar e dollaro rese possibile a un’ampia fascia di venezuelani di spostarsi principalmente verso l’America del Nord e l’Europa. Tuttavia anche se molti venezuelani decisero di andare a un altro paese con i propri mezzi, in questo periodo la principale rampa di lancio erano le istituzioni del governo venezuelano. L’espansione delle ambasciate e dei consolati, lo sviluppo di PDVSA e di alcune banche nazionali rese possibile a molte famiglie venezuelane di stabilirsi all’estero con un certo successo, fino a che nel 1983 sopraggiunse la svalutazione del bolívar, segnando la fine dell’era del “Venezuela Saudita”.
- Dal 1987 la “Fuga di Cervelli” diventa una questione di classe. L’elevato costo dei biglietti di viaggio, il soggiorno all’estero, così come le nuove imposizioni politiche contro gli emigranti adottate dai governi dell’Europa e dell’America settentrionale, rese difficile alla classe media alta e bassa venezuelana di raggiungere l’obiettivo di uscire o rimanere all’estero. Perciò le famiglie con grandi risorse economiche erano le uniche che potevano finanziare i propri familiari all’estero. Contemporaneamente in quest’epoca in tutta l’America Latina fa presa il paradigma che studiare e vivere all’estero era sinonimo di successo, progresso e qualità della vita.
- Dal 1990 fino al 2010 il numero di venezuelani deportati in tutto il mondo è in progressivo aumento. Impossibilitati di provvedere al proprio sostentamento all’estero, sono respinti per diversi motivi: droga, prostituzione (maschile e femminile), furti, evasione fiscale, truffe, irregolarità, così come per aver incappato nel commercio di matrimoni combinati in Europa e in America del Nord, ecc.
- Dal 1993 e fino al 2010 un cospicuo numero di venezuelani residenti all’estero per sopravvivere inizia a lavorare nel settore dei servizi, svolgendo lavori a bassa remunerazione. Parrucchieri, spazzini, benzinai, cassieri, venditori, ecc., sono le attività più comuni dei nostri “talenti” per evitare le deportazioni.
- Tra il 1998 e il 2001 quasi il 91% dei venezuelani emigrati nel decennio degli anni settanta, ottanta e novanta era tornati in Venezuela perché deportati, per altre ragioni o emigrati in un altro paese. In questo stesso periodo lo Stato venezuelano smette di essere il principale trampolino dei venezuelani. Organizzazioni internazionali, ditte private e università a livello mondiale iniziano a pubblicare su Internet le loro offerte, offrendo o domandando servizi e lavori ai latinoamericani. Condizione che non è stata sprecata da alcuni soggetti delle classi alte, medie o medio basse del Venezuela. In questa maniera, a partire del 2001, sempre più venezuelani cominciano a interessarsi a cercare fortuna all’estero con l’appoggio dei servizi offerti da Internet.
- Parallelamente, nel 2003, si avvia una forte emigrazione di venezuelani all’estero per ragioni politiche e con lo sviluppo del mercato dell’asilo e del rifugio politico a livello internazionale. Da quella data alcune “Organizzazioni Non Governative” (ONG) in America Latina, iniziano a offrire i loro servizi per consentire agli emigranti di poter viaggiare agli Stati Uniti o in Europa, in qualità di rifugiati o richiedenti asilo. Ad esempio, gruppi politici avversi al governo venezuelano si avvalsero delColpo di Stato del 2002 figurando come perseguitati politici al cospetto di alcuni paesi europei e dell’America del Nord. Questi paesi concessero l’asilo politico o lo status di rifugiato a centinaia di venezuelani i quali, a loro volta, percepivano aiuti statali o governativi che oscillavano tra gli 800 e i 5.000 dollari mensili, senza obbligo di lavoro o dichiarazione dei redditi. Con questo meccanismo ne hanno beneficiati anche i loro familiari più stretti. Dato che questo sostentamento si percepiva con la qualifica del “richiedente asilo o rifugiato politico” e grazie alle facilità amministrative del paese che concedeva questi diritti, numerosi venezuelani in alcuni di questi paesi hanno dato vita a delle ONG con l’obiettivo di aiutare a emigrare ad altri venezuelani come se fossero dei perseguitati politici. Per raggiungere questo scopo, le ONG offrono svariati servizi: la pubblicazione retribuita di false notizie nella stampa nazionale, dossier politici, false denunce non dichiarate, avvocati, ecc. In questo modo i beneficiati che non hanno mai avuto un percorso politico riescono a emigrare e ottenere lo status di richiedente asilo o di rifugiato politico. Questa condizione giuridica gli consente se non altro di godere il diritto di vivere per otto mesi in uno di questi paesi, percependo un salario minimo e, poi, di ottenere un lavoro, oppure sussistere con quanto offerto da alcune ONG caritative.
- Tra il 2010 e il 2013 i dati del CNE annunciavano che circa 45 mila venezuelani erano legalmente registrati nei consolati del Venezuela a livello mondiale. Ciò consentiva loro non solo di esercitare il diritto al voto, ma potevano anche dar prova di essere “legali” in quel paese. Parallelamente, per difetto, gli altri 750 mila venezuelani che vivevano all’estero (la cifra dei venezuelani all’estero non ha mai superato i 900 mila) si trovavano in qualità di turisti o in condizioni d’illegalità nel paese ospitante. Altri si segnalavano come richiedente asilo o rifugiato, con residenza temporanea, sposati, o con un rapporto apolitico nei confronti del governo venezuelano in vista di ottenere una nuova cittadinanza. In questo stesso periodo si calcola che 121 milioni di dollari sono entrati in Venezuela a titolo di rimessa familiare, il che significa che pressappoco 45 mila venezuelani inviavano denaro alle loro famiglie in Venezuela. Una cifra molto di sotto i 21 miliardi di dollari che ogni anno riceve il Messico per le stesse ragioni. Infine nel 2012 l’incremento delle deportazioni di giovani e donne venezuelane per prostituzione raggiunse cifre record in Europa, America Centrale e Sudamerica. In modo particolare in Spagna, dove la prostituzione online dei nostri “talenti” viene denominata “scorts”.
Per finire, la “Fuga di Cervelli” in Venezuela è una realtà che non dovrebbe destare tanto allarme, giacché giudicando gli indici di deportazioni, inevitabilmente, la stragrande maggioranza dei venezuelani dovrà tornare a casa controvoglia.
[Trad. dal castigliano per ALBAinformazione di Vincenzo Paglione]