di Geraldina Colotti – il manifesto
Guerra civile in Venezuela? La denuncia arriva anche da settori democratici dell’opposizione, preoccupati per il rischio di un bagno di sangue. Le destre hanno annunciato per il 1° settembre «la presa di Caracas» e la tensione è alta. I leader di opposizione hanno mobilitato tutti i loro sponsor all’estero, dagli USA, all’Europa, passando per l’Organizzazione degli Stati americani (OSA), nella persona del Segretario generale Luis Almagro.
Sul modello di quelle cubane, le «dame in bianco», capitanate da Maria Machado e da Lilian Tintori (moglie del leader di Voluntad Popular, Leopoldo Lopez, in carcere), hanno cominciato a marciare in alcune città del paese: ma con scarso seguito, benché circolino le laute «tariffe» pagate a comparse e figuranti pronti per l’occasione.
Sono stati diffusi falsi appelli alla diserzione di alti circoli militari. L’intelligence ha avuto un gran daffare nel prevenire tentativi di travestire da chavisti alcuni giovani paramilitari. Una coppia di oppositori, impiegati nella grande impresa Polar, e conosciuta per i frequenti incitamenti a uccidere il presidente, è stata fermata con il portabagagli pieno di divise delle Forze armate e armi. All’ex sindaco Daniel Ceballos – fotografato con il passamontagna a capo delle violenze di piazza del 2014 – sono stati revocati gli arresti domiciliari.
Dati i precedenti – dalla provocazione dei cecchini durante il golpe contro Chavez del 2002 a Puente Llaguno, alle violenze post-elettorali del 2013 e alle «guarimbas» dell’anno successivo – potrebbe succedere di tutto. E’ cominciata una settimana di allarme e incertezze. Nel suo editoriale della settimana, Miguel Salazar, un oppositore «indipendente», ha invitato l’opposizione «moderata e maggioritaria» nella Mud a denunciare i piani sovversivi, lasciando di lato l’opzione violenta anche quando questa sembra la via più rapida di fronte «al fallimento della via istituzionale». Il progetto per il 1° settembre – ha scritto – è analogo a quello del 2014, e prevede «che la marcia venga appoggiata da uno sciopero dei camionisti, da Fedecamaras e Confcommercio e dalla trasformazione delle code per la spesa in polveriere». Un modello già visto durante il colpo di stato di Carmona Estanga, capo della locale Confindustria, durato solo 48 ore per la reazione di massa che ha riportato al timone il presidente eletto. Allora fu un golpe di palazzo e delle élite, supportato dal silenzio dei grandi media privati.
Anche in questo caso si tratta di un’azione delle classi agiate e dei settori che ne appoggiano gli interessi, dentro e fuori il paese. E che contano, come hanno dimostrato con la vittoria elettorale alle parlamentari del 6 dicembre. La differenza è, però, che questa volta si cerca di mettere in scena una rappresentazione di piazza, per indicare all’esterno che la «dittatura» è al collasso e richiede un intervento forte. Nuovamente, il modello è quello descritto dal famigerato manuale di Gene Sharp che ha ispirato le «rivoluzioni arancione» e che abbiamo visto anche durante le violenze di piazza del 2014: gruppi di «pacifici manifestanti» provocano le forze dell’ordine, poi entrano in campo i professionisti armati e all’occorrenza i cecchini (43 morti e oltre 850 feriti da proiettili, prevalentemente tra le forze armate, nel 2014).
Intanto, impazza la guerra dei media e, tra un pubblico appello «alla pace», un’intervista ai media stranieri, e un’intercettazione in cui i toni cambiano radicalmente, capita che qualcuno confermi quanto detto dagli analisti di sinistra in merito alla «guerra economica» e agli attacchi contro l’economia venezuelana. Ha affermato Freddy Guevara, dirigente di Voluntad Popular: «Il boicottaggio economico fa parte di un insieme di azioni. Chi nega che qui ci sia una guerra economica, mente».