“Consideratemi uno di voi”, disse una volta il Comandante in Capo parlando ai giornalisti cubani, e in un’altra scrisse che con loro si sentiva in famiglia.
Queste espressioni in qualcuno che in tutta la sua vita ha professato un rispetto indeclinabile per la verità e un profondo disprezzo per la demagogia, esprimono un sentimento sincero, che possiamo misurare quando ricordiamo che la comunicazione e la stampa sono state parte inseparabile della pratica politica alla quale Fidel Castro si dedicò da quando era molto giovane.
Questa famiglia crebbe attorno al leader rivoluzionario partendo dai primi compagni che lo appoggiavano nei radio-meeting e nella distribuzione di decine di migliaia di lettere indirizzate a membri del Partito Ortodosso; nei reportage d’investigazioni e denunce che per il loro impatto venivano pubblicati da media della stampa cubana di grande circolazione; più tardi per le sue dichiarazioni appena arrivato al Vivac di Santiago di Cuba, il primo agosto del 1953 e nella successiva stampa e distribuzione.
Questa famiglia crebbe con Radio Rebelde nella Sierra Maestra, con la stampa rivoluzionaria che seguì dopo il trionfo del gennaio del 1959 e si estese ad altre latitudini con l’Operazione Verità in quello stesso anno e incluse colleghi che lavoravano per la televisione e si fece più forte e numerosa scontrandosi con l’imperialismo yankee e gli affari mediatici in Cuba, opposti alle misure di beneficio popolare che liquidavano grandi privilegi, vecchie ingiustizie sociali e vergognose dipendenze straniere.
Senza dubbio nei momenti trascendentali della storia del processo rivoluzionario cubano, Granma fu lo stesso scenario da dove s’impartivano simultaneamente gli orientamento alle direzioni delle organizzazioni di massa e alle istituzioni dello Stato e al popolo, mediante editoriali, articoli e notizie relazionate con determinati avvenimenti. Uno di quei momenti il compagno Juan Marrero lo stese in dettagli perchè fu protagonista di un’intensa mobilitazione in Cuba, diretta dallo sforzo di Fidel dal giornale per solidarizzare con il fraterno popolo del Perù, vittima di un forte terremoto nel giugno del 1970.
“Ci vuole sangue per aiutare i peruviani” intitolò Fidel uno dei due editoriali che scrisse e nell’altro di dieci giorni dopo informava sulle 104.594 donazioni volontarie di sangue da parte dei cubani. Altre situazioni eccezionali fecero trasferire la direzione politica del paese nella sede del quotidiano Granma, come per esempio dopo gli avvenimenti scatenati con la provocazione dell’ambasciata del Perù a L’Avana, nel maggio del 1980, e le risposte che vennero poi, come la Marcia del Popolo Combattente e l’autorizzazione per l’emigrazione dei cubani dalla baia di Mariel.
La famiglia di Gramma ha ricevuto molte lezioni di etica, storia politica e anche di giornalismo da parte del Comandante in Capo.
Per me la più importante di tutte, forse per la la sua drammaticità e l’impatto nella nazione e che reitera la rettitudine del suo carattere fu quando informò in una manifestazione che non era possibile raggiungere i dieci milioni di tonnellate di canne da zucchero nel raccolto del 1970.
A mezzanotte giunse al giornale e scrisse in rosso e in stampatello sul rovescio di un dispaccio la parola “Disfatta” che era la sua proposta del grande titolo della prossima edizione. Noi che eravamo là non eravamo d’accodo su questo titolo per la notizia del giorno, anche perchè si conosceva il suo straordinario sforzo personale e la sfida di milioni di cubani che seppure non avevano raggiunto la meta prefissata, avevano realizzato una produzione di zucchero mai ottenuta dal paese.
Ci opponemmo con distinte ragioni, ma lui si manteneva fermo.
Il suo principale argomento, di un’onestà impressionante, era che il giorno prima, data in cui erano stati liberati dei pescatori sequestrati da un commando terrorista, il principale quotidiano di Cuba era uscito per le strade con un titolo di quasi mezza pagina che diceva *Vittoria* e se ne andà dalla redazione senza poterlo convincere.
Già veniva l’alba del maggio di quell’anno e Fidel ritornò e disse: “Mettiamo un titolo diverso”. La prima pagina del giorno 20 fu molto istruttiva, coraggiosa e giusta, e in lei si esprimeva autocritica con onore e chiamava alla battaglia. Non raggiungeremo i dieci milioni. Abbiamo lavorato come mai, abbiamo dedicato sino all’ultimo atomo della nostra energia, del nostro pensiero, del nostro sentimento e la sola cosa che mi resta da dire a qualsiasi cubano, a quello che soffre nel profondo per questa notizia, che il suo dolore è lo stesso dolore che proviamo tutti noi compagni”. “Più coraggio e più valore di prima!” E come conclusione il pensiero che guidò verso le azioni future: “Dobbiamo avere tutta la fermezza rivoluzionaria e trasformare il rovescio in vittoria”.
Il quotidiano Granma in quei giorni era formato da un collettivo molto più numeroso che l’attuale e ci lavoravano tipografi, stampatori e altri che si occupavano della distribuzione e che anni dopo passarono ad altre entità,
Non pochi tra quei compagni conoscevano Fidel dai suoi primi vincoli con alcuni importanti media della stampa; e dopo anche nel laboratorio dove il giovane rivoluzionario sceglieva la misura dei tipi di lettere per i titoli dei suoi lavori.
Anni dopo, già da statista, continuò a visitare questa importante area che le tecnologie attuali hanno fatto sparire.
Salutava i vecchi conoscenti, si preoccupava delle loro condizioni di lavoro, della loro alimentazione e conversava lungamente con loro come con vecchi amici. Ricordo Silvio Rayón, il direttore che veniva da Alerta, un quotidiano che pubblicò importanti lavori scritti da Fidel e anche ovviamente i giornalisti che formavano la redazione che erano stati suoi compagni di Radio Rebelde, come Jorge Enrique Mendoza, direttore del giornale, Ricardo Martínez e Orestes Valera.
Altri testimoni di quelle notti e albe, redattori fotografi, caricaturisti, correttori, disegnatori, dirigenti segretarie, lavoratori d’archivio e dei servizi possono raccontare passaggi, aneddoti e ricordi che costituiscono momenti memorabili della su vita, perchè coincidiamo nel tempo e nello spazio con un uomo eccezionale, conduttore di un popolo e di una rivoluzione più grande della storia universale, che a 90 anni dalla sua nascita è fedele ai suoi principi, alle sue idee, ed è esempio di dedizione al lavoro a beneficio degli altri.