Honduras dimenticato

A. Riccio https://nostramerica.wordpress.com

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Quel che accade in Honduras, paese centroamericano tradizionalmente noto come “la portaerei di Washington”, non interessa a nessuno, come se fosse un non-paese, senza storia, senza passato e senza futuro: una tabula rasa.

Qualche anno fa, nel 2009, è stato teatro di un colpo di stato che ha spazzato via il presidente eletto, Manuel Zelaya, sostituito dall’imprenditore di origine italiana, Micheletti. Ristabilito il rispetto per la volontà di Washington, l’Honduras è sprofondato di nuovo nel nulla fino alla morte di Berta Cáseres, ambientalista di etnia lenca, assassinata nel suo letto dai sicari della compagnia statale DESA costruttrice della diga sul fiume sacro del popolo lenca. Nella sua straordinaria e intensa vita, Berta aveva collaborato alla fondazione del COPINH (Consejo Cìvico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras), a difesa dell’ambiente e dei popoli indigeni e ne era stata l’anima. Oggi, il Consiglio vive e lotta, denuncia e mobilita in nome di quella grande leader. Qui di seguito la denuncia per l’arbitraria detenzione e il rimpatrio di Luis Díaz, ambientalista spagnolo e solidale, e il ricordo struggente di Laura Zuñiga Cáceres, una delle figlie di Berta.

Arbitraria detenzione e il rimpatrio di Luis Díaz

 

f64b0864e862d3c122851be4770d6e9a_l-jpg-defensor-ddhh-luis-diaz-2610-16_bigLuis Díaz è stato fermato all’aeroporto Tocotin di Tegucigalpa il 25 ottobre, mentre tornava dalla Spagna, suo paese d’origine, dove aver fatto visita alla sua famiglia e aveva raccolto materiali donati al COPINH. Il viaggio aveva lo scopo di proseguire nel suo lavoro di accompagnatore internazionale e di osservatore dei diritti umani.

Al suo arrivo, senza dare nessuna spiegazione, è stato arrestato da agenti di emigrazione che lo hanno addirittura ammanettato perché si rifiutava di farsi portar via senza le spiegazioni del caso. Gli è stata negata l’assistenza giuridica delle organizzazioni che si erano presentate all’aeroporto non appena ci siamo resi conto di quanto era successo al suo arrivo; ma in modo davvero irresponsabile è stato rimandato al suo paese sbandierando argomenti che dimostrano la sfacciataggine di questa istituzione nel violare i diritti dei difensori dei diritti umani.

Dobbiamo correggere versioni male intenzionate e scandalistiche che indicano in Luis un testimone dell’assassinio della nostra coordinatrice generale Berta Cáceres, cosa del tutto falsa. Però, nel suo lavoro di osservatore internazionale, è stato testimone delle minacce e delle aggressioni rivolte dai lavoratori della DESA contro di lei, contro il coordinamento generale e contro la comunità di Río Blanco. Questa operazione è stata eseguita in franca violazione del diritto di difendere diritti umani da parte di organizzazioni o di qualunque persona e sancito in trattati internazionali vincolanti firmati dallo Stato dell’Honduras.

L’osservatore internazionale Luiz Díaz ha accompagnato l’organizzazione facendo video e diffondendo l’informazione sulla violazione dei diritti umani di cui sono oggetto i processi comunitari del COPINH, specialmente nella comunità lenca di Río Blanco. Ha accompagnato pure le azioni di mobilitazioni che l’organizzazione ha sviluppato ed è stato testimone e vittima della repressione contro il popolo lenca da parte dello Stato e del governo dell’Honduras.

Il diritto di protestare è un diritto fondamentale soprattutto quando si vive in un paese governato da una dittatura sanguinaria, narcotrafficante e corrotta. Gli accompagnatori internazionali sono stati testimoni delle azioni di questo governo e delle sue istituzioni e hanno diffuso i risultati delle loro indagini, per questo vengono perseguitati e criminalizzati. Ricordiamoci dei fatti del maggio scorso quando è stata resa pubblica l’informazione personale di un’accompagnatrice italiana, mettendo a rischio la sua vita.

Questa azione arbitraria è la risposta alle azioni intraprese dagli organismi e dagli operatori internazionali dei diritti umani al fine di denunciare la situazione di criminalizzazione, stigmatizzazione, persecuzione e assassinio di cui sono vittime le organizzazioni sociali e popolari in Honduras.

Questi fatti sono una prova della mancanza di garanzie minime e di volontà politica per proteggere le organizzazioni che difendono i diritti dei popoli indigeni. Si tratta di un pessimo antecedente che deteriora, ancora una volta, l’immagine dello Stato honduregno, che dimostra la sua paura che vengano verificate le sistematiche violazioni contro i popoli indigeni.

La deportazione dell’accompagnatore del COPIN dimostra ancora una volta la campagna sistematica da parte del governo e delle autorità contro il COPINH, allo scopo di fermare il procedere dei processi di resistenza contro la realizzazione del modello estrattivo nei nostri territori e lo sviluppo di alternative per le comunità lenca, fuori dal modello capitalista neoliberale.

Vogliamo che si indaghi e si correggano queste azioni.

Chiediamo alle organizzazioni nazionali e internazionali di solidarietà di denunciare questo nuovo sopruso contro il COPINH.

Con la forza ancestrale di Berta, di Lempira, di Mota, di Etempica, di Iselaca, si alzano le nostre voci piene di vita, di giustizia, di libertà, di eguaglianza e di pace.

Me l’ha già detto il fiume

Laura Zuñiga Cáceres

bertaBerta Cáceres, mia madre, la mia mami, era la lotta in marcia, carica di tutte le oppressioni, portava sulle sue spalle i dolori di questo sistema che si impone sui poveri, sugli indigeni poveri, sulle donne indigene povere. Berta, capace di indignarsi di fronte alle ingiustizie del mondo, di ribellarsi e di combatterle. Grazie a questo, ha raggiunto un’integrità nel suo pensiero, ha pienamente compreso che capitalismo, patriarcato e razzismo si combattono in modo congiunto.

Ricordo, come se l’avessi vissuto, la bambina dai capelli lunghi, a cui facevano male i denti, che portava con sé segretamente le lettere con le informazioni utili per le lotte dell’America Centrale, nello specifico la lotta in El Salvador negli anni ’70. Ricordo pure la giovinetta, senza cibo da mettere sotto i denti, alla ricerca di un lavoro negli stabilimenti di assemblaggio, lavoro che le fu negato perché incinta. La ricordo quasi bambina, senza nulla da mangiare, incinta, in un quartiere marginale di una città sconosciuta sostenendo la lotta come poteva. Il capitalismo si manifestò nella sua pienezza. Ricordo anche la donna che decise di non avere più figli, ma il sistema le disse che lei non poteva decidere sul suo corpo, che doveva partorire di nuovo.

Il patriarcato si fece manifesto. La ricordo con un braccio livido, di questo ricordo sono davvero protagonista, la polizia l’aveva picchiata. Lei e gli indigeni non hanno il diritto di lottare per la loro terra. Il razzismo si era manifestato.

La ricordo forte, potente, immensa, infinita, in lotta contro i megaprogetti che si impossessano dei territorio indigeni Lenca, contro i picchiatori e aggressori di donne, in lotta contro i governi corrotti, contro il colpo di stato, offrendo solidarietà a chi ne aveva bisogno. La ricordo in tanti modi, senza paura, ridendo, scherzando, umana, mettendo alle corde tutti quelli che la volevano bloccare.

Questo paese così provato, con basi militari statunitensi, col 30% del territorio dato in concessione a multinazionali, compagnie che si impossessano dei territorio ancestrali con progetti come quello delle zone di sviluppo – ZEDES – che sono le nuove forme del colonialismo; con la vendita dell’ossigeno – RED PLUS – che sono la privatizzazione dei boschi; con gli indici più alti di povertà, violenza, femminicidio. A questo Paese il dolore fa scaturire la rabbia, perché hanno rubato le braccia di Berta, hanno rubato le braccia della mia mami. Questo Paese, che è l’umanità stessa, rifiuta di rassegnarsi a questo assassinio.

Per questo paese ha lottato Berta Cáceres, perché mamma lottava per il mondo. Si è appassionata alla sua terra, dove vivono i Lenca, dove ci sono le sue radici; ed è inorridita di fronte alle forme sinistre e violente con le quali l’imperialismo agisce qui, con gli esperimenti che si portano a termine.

Mia mamma, la mia compagna di lotta, Berta Cáceres, era d’intralcio per il sistema, perché la sua trasparenza politica, la crescita costante del suo discorso e dei suoi progetti non avrebbero permesso, non permettono all’estrattivismo saccheggiatore, al capitalismo sfruttatore, al razzismo schiavizzante, al patriarcato violento, all’imperialismo assassino di muoversi con libertà.

LEI, mia mamma, la signora, la comandante, la mia mami, Berta Cáceres con tutte le oppressioni addosso si ribella alla morte, giace nel bel mezzo del cuore di un popolo che non ha frontiere, Berta si è moltiplicata e nessun assassinio la può uccidere.

Berta la moltiplicata, Berta il seme, Berta seminata, Berta eterna, Berta immensa, mami infinita: ce l’ha già detto il fiume, VINCEREMO.

(Traduzione di Lucia Cupertino per La macchina sognante)

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