Bertha Mojena http://www.cubadebate.cu
Il cosiddetto Libro Bianco del Comando delle Operazioni Speciali dell’Esercito USA sviluppa ed unifica due concetti storicamente opposti: “guerra” e “politica”. Gli offriamo alcuni frammenti di un ampio dialogo che abbiamo avuto con il giovane storico cubano Elier Ramirez Cañedo su questo tema e la sua relazione con il contesto attuale di Cuba ed America Latina.
Come capire tale concetto di “Guerra Politica”?
Non c’è tanta distanzia, almeno storicamente, benché sì linguisticamente perché tutte le guerre hanno un forte sottofondo politico. Ciò che mette allo scoperto questo Manuale o Libro Bianco è non stabilire una marcata differenza tra due parole molto distanziate, guerra e pace.
(…) Sostiene che gli USA hanno bisogno di volgere un poco il loro sguardo alla guerra politica. Anche se, nella sua introduzione, dicono che con la fine della Guerra Fredda gli USA hanno abbandonato un poco la guerra politica e fanno allusione ad un documento, del 1948, di George Kennan, che fu qualcosa come l’architetto del contenimento del comunismo e che disegnò, in gran parte, la guerra politica contro il campo socialista. (…) Gli USA richiedono, necessitano collocare la guerra politica nella massima priorità all’interno della strategia di sicurezza nazionale e riprendono quelle idee che già stavano nel documento di Kennan come che la guerra è permanente o che adotta strumenti diversi. La guerra convenzionale, usando le forze armate, sta diventando sempre meno efficace per gli interessi egemonici USA. Ci sono molte forme di fare la guerra per vie non convenzionali che hanno dimostrato di essere più efficaci (…)
(…) Questo concetto di guerra politica non è poi così distante da quello che potremmo classificare come guerra culturale, guerra non convenzionale o la guerra di quarta generazione; vale a dire, ci sono piccole sfumature concettuali che lo differenziano ma, alla fine, si riferiscono, in qualche modo, allo stesso: come utilizzare, ogni volta meno, le forze militari dirette, le ostilità, e fare la guerra con altri mezzi, ora non saranno i soldati con fucili ma usare lo stesso Internet, le reti sociali, l’influenza politica e ciò anche aiuta – come suggerisce il documento- a rendere invisibile la presenza diretta della struttura di potere USA in determinati scenari internazionali e le dà più possibilità di poter affrontare tutte le sfide che oggi sta affrontando l’egemonia USA a livello internazionale.
Loro sono in un momento di sovradimensionamento imperiale, cioè, che hanno più sfide alla loro egemonia che in altre epoche e che la loro capacità di fare una guerra di questo tipo – convenzionale – si stanno riducendo sempre più e sono sempre meno efficaci. Pertanto, queste varianti di guerra non convenzionale danno loro la possibilità di affrontarlo, secondo le circostanze ed il terreno dove si sviluppano, ottenere un maggiore successo.
Nel contesto attuale, come s’implementa?
E’ impressionante la quantità di elementi che si stanno realizzando ed in qualche modo si pensi a Cuba. Qualcuno potrebbe pensare che sono strategie diverse, che non ci sia coerenza nel disegno della strategia che gli USA stanno portando avanti rispetto a Cuba e quello che stanno facendo in America Latina, (…) risponde tutto alla stessa logica. Incluso nel documento utilizzano i termini diplomazia coercitiva, diplomazia persuasiva e poi uno si rende conto come ciò che è successo in Brasile, in Argentina, ciò che sta accadendo in Venezuela, in Bolivia, evidentemente, gli USA sono dietro molti di questi processi ma, in quanto sono strategie molto più intelligenti, molto più sofisticate, di guerra politica, di guerra culturale, si tratta di rendere invisibile la presenza USA in tali circostanze.
E’ ritornare alla fase di Eisenhower in cui loro parlavano della negazione plausibile, cercare, con tutti i mezzi, che la mano USA non appaia e tutti interpretino che si deve a fenomeni interni che stanno accadendo in quel paese (… ) una strategia molto chiara verso questi paesi dell’America Latina, ma anche verso la Russia, verso la Cina, verso tutte quelle realtà che, in qualche modo, sfidano l’egemonia USA a livello globale.
Nel processo di normalizzazione delle relazioni tra Cuba e USA, come comprendere la guerra politica?
Si adatta perfettamente a ciò che sta succedendo con Cuba a partire dagli annunci del 17 dicembre 2014. Sempre più ha ragione Esteban Morales quando dice che Obama divideva il blocco in due: quello che danneggia direttamente il governo cubano ed in questo mantiene in qualche modo la pressione, non vi è cambiamento significativo ed in tutto ciò che riguarda più direttamente il cittadino comune cubano si cerca fare le flessibilizzazioni con una molto chiara motivazione politica, dietro, che sostiene gli interessi della guerra politica (…) E’ un modo d’implementare sia la diplomazia coercitiva che sarebbe il blocco e gli altri strumenti della struttura di ostilità che ancora permangono insieme alla Legge di aggiustamento cubana ed altri programmi che politicizzano il tema migratorio, la presenza USA a Guantanamo, il finanziamento alla sovversione interna che attenta contro l’ordine Costituzione di Cuba.
(..) Uno può vedere come i pacchetti di misure hanno avuto una volontà politica molto chiara che va verso quello che loro chiamano “potenziare” la società civile cubana, in particolare diretto verso il settore privato, e come in quegli aspetti del governo cubano per sviluppare la sua strategia economica mantengono una gran pressione. Sono piccole flessibilizzazione. Una delle più significative è quella dei voli diretti. Trascendente sarebbe stato che Cuba potesse utilizzare il dollaro nelle sue transazioni finanziarie. Ciò, fino a questo momento, non si è potuto realizzare, continua la persecuzione finanziaria, continuano le sanzioni e gli USA continuano a dare un’immagine, un buon viso al concetto che loro hanno di società civile che, ovviamente, è molto distante da quello che gestiamo noi.
(…) Ciò che stanno facendo contro il Venezuela, contro la Bolivia, contro l’Argentina, contro il Brasile, è anche contro noi stessi puntando al 2018, il cambio che aspettano, dove prevedono che Cuba non abbia il contesto che teneva nel 1999 o il 17 dicembre e ci troveremmo in una posizione negoziale più debole e mentre possono continuare a fare pressione sul tavolo dei negoziati con Cuba lo continueranno a fare in funzione che noi cediamo su quegli aspetti che hanno a che fare con la nostra sovranità, con l’ordine politico che abbiamo deciso sovranamente per il nostro paese. E’ una tattica che hanno usato altre volte. Continuano a gestire questa idea della pressione e del contatto che non è nuova e che riprende questo documento perché raggiungono, con l’amministrazione Obama, la sua maggiore maturità, maggiore consenso all’interno della classe dominante.
Perché allora il rifiuto del Congresso per porre fine al blocco contro Cuba?
Alcuni congressisti dell’estrema destra USA non sono neppure sostenitori della guerra politica, ma dell’isolamento totale, che non si abbia nessun tipo di contatto, nessun tipo d’influenza e considerano che il blocco economico, mantenendolo intatto, senza alcun tipo di cambio, è funzionale alla guerra politica, alla sovversione.
Ci sono altri, nel Congresso e dell’amministrazione Obama, che considerano il contrario, che il blocco e la politica precedente nei confronti di Cuba senza il minimo cambiamento non è funzionale alla guerra politica e che bisogna cercare una migliore attuazione di tale blocco: flessibilibizzare quegli aspetti che possono dare una migliore immagine degli USA all’interno della società cubana ed a livello internazionale e, dall’altro, mantenere la pressione su quegli aspetti che rendono difficile lo scenario al governo cubano per il suo sviluppo.
Il termine più popolare è quello del bastone e della carota che lo stesso Obama ha usato due giorni dopo il 17 dicembre, cioè, starebbero, con questo nuovo approccio, in grado di utilizzare con Cuba sia i bastoni come le carote.
Guerra…¿Política?
Por: Bertha Mojena
El llamado Libro Blanco del Comando de Operaciones Especiales del Ejército de EE.UU. desarrolla y unifica dos conceptos históricamente contrapuestos: “guerra” y “política”. Les ofrecemos algunos fragmentos de un extenso diálogo que sostuvimos con el joven historiador cubano Elier Ramírez Cañedo sobre este tema y su relación con el contexto actual de Cuba y América Latina.
¿Cómo entender ese concepto de “Guerra Política”?
No hay tanta distancia, al menos históricamente, aunque sí lingüística porque todas las guerras tienen un fuerte trasfondo político. Lo que pone de manifiesto este Manual o Libro blanco es no establecer una diferencia marcada entre dos palabras muy distanciadas, guerra y paz.
(…) Plantea que Estados Unidos necesita volver un poco su mirada a la guerra política. Incluso, en su introducción dicen que con el fin de la guerra fría Estados Unidos abandonó un poco la guerra política y hacen alusión a un documento de 1948 de George Kennan, que fue algo así como el arquitecto de la contención del comunismo y quien diseñó en gran medida la guerra política contra el campo socialista. (…) Estados Unidos requiere, necesita colocar la guerra política en la máxima prioridad dentro de la estrategia de seguridad nacional y retoman esas ideas que estaban ya en el documento de Kennan como que la guerra es permanente o que adopta distintos instrumentos. La guerra convencional, utilizando las fuerzas armadas es cada vez menos efectiva a los intereses hegemónicos de los Estados Unidos. Hay muchas formas de hacer la guerra por vías no convencionales que han demostrado ser más efectivas (…)
(…) Ese concepto de guerra política no está tan distante de lo que pudiéramos catalogar como guerra cultural, guerra no convencional o la guerra de cuarta generación; es decir, hay pequeños matices conceptuales que lo diferencian pero al final están refiriéndose de alguna manera a lo mismo: cómo utilizar cada vez menos las fuerzas militares directas, las hostilidades, y hacer la guerra con otros medios, ya no serían los soldados con fusiles sino utilizar el propio internet, las redes sociales, la influencia política y eso ayuda también – como plantea el documento- a invisibilizar la presencia directa de la estructura de poder de los Estados Unidos en determinados escenarios internacionales y le da más posibilidad de poder enfrentar todos los retos que está enfrentando hoy la hegemonía norteamericana a nivel internacional.
Ellos están en un momento de sobredimensionamiento imperial, es decir, que tienen más desafíos a su hegemonía que en otras épocas y que sus capacidades para hacer una guerra de este tipo – convencional- se están reduciendo cada vez más y están siendo cada vez menos efectivas. Por tanto, estas variantes de guerra no convencional le dan la posibilidad de enfrentarlo, de acuerdo a las circunstancias y el terreno donde se desarrollen, obtener mayor éxito.
En el contexto actual, ¿cómo se implementa?
Es impresionante la cantidad de elementos que se están llevando a la práctica y de alguna manera se piensa en Cuba. Algunos podrían pensar que son estrategias distintas, que no hay coherencia en el diseño de la estrategia que Estados Unidos está llevando adelante respecto a Cuba y lo que está haciendo en América Latina, (…) responde todo a la misma lógica. Incluso, en el documento utilizan los términos diplomacia coercitiva, diplomacia persuasiva y entonces uno se da cuenta como lo que ha pasado en Brasil, en Argentina, lo que está pasando en Venezuela, en Bolivia, evidentemente Estados Unidos está detrás de muchos de estos procesos, pero como son estrategias mucho más inteligentes, mucho más sofisticadas, de guerra política, de guerra cultural, se trata de invisibilizar la presencia norteamericana en esas circunstancias.
Es volver a la etapa de Eisenhower en la que ellos hablaban de la negación plausible, tratar por todos los medios de que la mano de Estados Unidos no aparezca y todo el mundo interprete que se debe a fenómenos internos que están pasando en eso países (…) una estrategia muy clara hacia estos países de América Latina pero también hacia Rusia, hacia China, hacia todas aquellas realidades que de alguna manera desafíen la hegemonía norteamericana a nivel global.
En el proceso de normalización de relaciones entre Cuba y Estados Unidos, ¿cómo entender la guerra política?
Se adecua perfectamente a lo que está pasando con Cuba a partir de los anuncios del 17 de diciembre de 2014. Cada vez más tenía razón Esteban Morales cuando dijo que Obama dividía el bloqueo en dos: lo que afecta directamente al gobierno cubano y en eso mantiene de alguna manera la presión, no hay cambio significativo y en todo aquello que afecta más directamente al ciudadano común cubano se busca hacer las flexibilizaciones con una motivación política detrás muy clara que respalde los intereses de guerra política (…) Es una manera de implementar tanto la diplomacia coercitiva que sería el bloqueo y otros instrumentos de la estructura de hostilidad que todavía permanecen junto a Ley de juste cubana y otros programas que politizan el tema migratorio, la presencia norteamericana en Guantánamo, el financiamiento a la subversión interna que atenta contra el orden constitucional de Cuba.
(..) Uno puede ver como los paquetes de medida han tenido una intención política muy clara que va hacia lo que ellos llaman “empoderar” a la sociedad civil cubana, sobre todo dirigido hacia el sector privado y como en aquellos aspectos del gobierno cubano para desarrollar su estrategia económica mantienen una gran presión. Son pequeñas flexibilizaciones. Una de las más significativas es la de los vuelos directos. Trascedente hubiera sido que Cuba pudiera usar el dólar en sus transacciones financieras. Eso hasta este minuto no se ha podido llevar a la práctica, continua la persecución financiera, continúan las sanciones y Estados Unidos sigue tratando de dar una imagen, una buena cara hacia el concepto que ellos tienen de sociedad civil que, por supuesto, es muy distante al que manejamos nosotros.
(…) Lo que están haciendo contra Venezuela, contra Bolivia, contra Argentina, contra Brasil, también es contra nosotros mismos apostando al 2018, el cambio que esperan, donde prevén que Cuba no tenga el contexto que tenía en 1999 o el propio 17 de diciembre y estaríamos en una posición negociadora más débil y mientras puedan seguir presionando en la mesa de negociación con Cuba lo seguirán haciendo en función de que cedamos en aquellos aspectos que tienen que ver con nuestra soberanía, con el orden político que hemos decidido soberanamente para nuestro país. Es una táctica que han empleado en otros momentos. Siguen manejando esta idea de la presión y el contacto que no es nueva y que retoma este documento porque alcanzan con la administración Obama su mayor madurez, mayor consenso dentro de la clase dominante.
¿Por qué entonces la negativa del Congreso de poner fin al bloqueo a Cuba?
Algunos congresistas de la extrema derecha norteamericana ni siquiera son partidarios de la guerra política sino del aislamiento total, que no haya ningún tipo de contacto, ningún tipo de influencia y consideran que el bloqueo económico manteniéndolo intacto, sin ningún tipo de cambio, es funcional a la guerra política, a la subversión.
Hay otros dentro del Congreso y de la administración Obama que consideran que no, que el bloqueo y la política anterior respecto a Cuba sin el mas mínimo cambio no es funcional a la guerra política y que hay que buscar una mejor instrumentación de ese bloqueo: flexibilizar aquellos aspectos que puedan dar una mejor imagen de los Estados Unidos a lo interno de la sociedad cubana y también a nivel internacional y por otro lado, mantener la presión en aquellos aspectos que dificulten el escenario al gobierno cubano para su desarrollo.
El termino más popular es el del garrote y la zanahoria que el propio Obama lo empleó dos días después del 17 de diciembre, es decir, estarían con este nuevo enfoque en condiciones de emplear con Cuba tanto palos como zanahorias.