Dieci contro uno: il dibattito ‘plurale’ su Cuba alla Televisione Coloniale Spagnola
José Manzaneda, coordinatore Cubainformación
“Sto parlando della libertà delle persone, vale a dire, a pensare. (…) Qui abbiamo un esempio, in questo dibattito che abbiamo avuto un momento fa: le persone che opinano -tutti- in modo completamente differente e non succede nulla”. Erano le parole di Elena Larrinaga, presidentessa dell’ “Osservatorio Cubano dei Diritti Umani” nel programma “Il dibattito della 1”, sulla figura di Fidel Castro (1). Il suo messaggio: la Spagna è l’esempio per Cuba in materia di libertà di espressione.
Ma è vero che lì si ebbe un “dibattito” tra persone che opinavano in modo “completamente diverso”? Controlliamo: “Fidel Castro è stato un dittatore, senza dubbio” (Ruben Moreno, Partito Popolare). “E’ diventato un dittatore” (Javier Lasarte, PSOE). “E’ stato un dittatore che per 60 anni ha governato con mano ferrea” (Saul Ramirez, Ciudadanos). “E’ diventato un tiranno a capo di una dittatura” (Francisco Rosell, giornalista de El Mundo). “Un regime con mancanza di libertà che io conosco bene perché sono stato molte volte lì” (Fernando Jáuregui, analista politico).
A questo coro si univa, a sorpresa, il rappresentante di Unidos Podemos Segundo González, per dire più, o meno, lo stesso: “(Fidel era) il capo di una dittatura e di un regime che in materia di democrazia è discutibile” .
Cioè, che il “dibattito” in cui “tutti” pensavano “completamente differente” in realtà fu un dialogo riaffermativo tra 10 persone che esprimono la stessa cosa: che Cuba è una dittatura. Quattro politici, due giornalisti, il rappresentante di un gruppo “dissidente” ed il presentatore del programma, con il supporto di due corrispondenti a L’Avana e Miami.
Il programma, questo sì, ebbe la gentilezza d’invitare un difensore della Rivoluzione, il cubano Lazaro Oramas, membro di Cubainformación e dell’associazione Euskadi-Cuba (2). “Fidel (…) è stato un uomo che ha lavorato instancabilmente per i diritti umani, non solo per il popolo cubano, ma per i popoli del mondo, per i popoli diseredati, impoveriti, sfruttati”.
Il presentatore -e direttore del programma- Julio Somoano ha adottato il ruolo di pubblico ministero nel processo politico sia a Fidel Castro come allo stesso invitato: “So che i cubani votano -rivolgendosi a Lazaro Oramas- ma anche nella dittatura di Francisco Franco gli spagnoli votavano. (…) Possiamo confrontare la figura dei due dittatori”.
Ha provato, sì, a vendere l’idea che quello era un vero “dibattito” ed esempio che Cuba può apprendere: “Si tratta in questo dibattito che tra tutti, spassionatamente, apportiamo dati affinché gli telespettatori giungano alle loro conclusioni. (…) Come direttore di questo dibattito, dico che il trucco è che le persone pensino in modo diverso affinché ci sia dibattito. Andiamo a Miami”.
Lì si sono ascoltati i soliti luoghi comuni su Cuba. Ad esempio, sulla sua emigrazione. “Se questo presunto paradiso fosse così, la gente non vorrebbe lasciare quel paese, vorrebbe rimanere lì”, ha detto il giornalista di El Mundo. “Non mi può dire che (Cuba) è una società utopica quando centinaia di migliaia di suoi connazionali, che anche sono cubani sono andati in esilio, hanno dovuto andare in esilio” si dirigeva a Oramas il politico di Ciudadanos. Tre falsità in una: in primo luogo, in alcun momento Lazaro Oramas aveva descritto il suo paese come un “paradiso” o un’ “utopia”. In secondo luogo, l’attuale emigrazione cubana è economica, identica a quella del resto della regione, ma l’unica che è chiamata “esilio” grazie alla propaganda (3). E terzo, le cifre dell’emigrazione cubana sono nella media della regione, nonostante i privilegi della Legge di Aggiustamento Cubano degli USA: El Salvador, per esempio, ha -in relazione al suo censimento- più del doppio della popolazione negli USA di Cuba (4).
Ma c’è di più. Il giornalista del quotidiano “El Mundo” osava esaltare i presunti “successi economici” della dittatura di Batista: “La Cuba prima di Castro era Cuba che aveva più reddito pro capite della stessa Spagna” (5). Vero o falso questo dato macroeconomico, poco riflette le gigantesche sacche di povertà del paese, con un 35% della popolazione attiva impiegata solo la metà dell’anno, o sulla terribile situazione dei contadini: il 43% era analfabeta, il 60% viveva in baracche senza acqua corrente, il 90% senza elettricità e solo l’8% riceveva l’assistenza sanitaria pubblica (6) (7).
Ma che l’unico difensore della Rivoluzione cubana sul set abbia dovuto affrontare, tra costanti interruzioni, dieci avversari non ha impedito le costanti lezioni, a Cuba, sulla libertà di stampa: “Questo dibattito si potrebbe fare, in questo momento, a Cuba, io le chiedo?” ha rimproverato all’ospite.
Ovviamente, nella Televisione Cubana un tale dibattito non sarebbe possibile. In primo luogo, perché nessun paese sottomesso al blocco economico ed alla permanente ingerenza di una superpotenza darebbe voce a chi appoggia questo blocco ed è finanziato da detta superpotenza, come cercava di spiegare, tra interruzioni, Lazaro Oramas. “Lei dirige l’Osservatorio Cubano dei Diritti Umani -si rivolge a Elena Larrinaga- e Lei non divulga le sue fonti di finanziamento. Il finanziamento viene dal governo USA attraverso il NED (National Endowment for Democracy), che è una copertura della CIA” (8) (9). “Questo è un dibattito di idee – si è lanciato il presentatore a difendere Larrinaga-. Io a Lei non le dico da dove provengono i suoi fondi, io non le dico se qualcuno la paga. L’importante è che qui mostri le sue idee”.
In secondo luogo, perché nessun paese che difende la sua sovranità darebbe il minimo spazio televisivo a messaggi neocolonialisti, indegni di questo secolo, pieni di arroganza, paternalismo e palese ingerenza: “Quale deve essere, quindi, il ruolo dell’Europa e della Spagna nel futuro di Cuba?”, introduceva il presentatore. “La Spagna deve svolgere un ruolo fondamentale in questa transizione che deve prodursi sull’isola”, diceva il portavoce di Ciudadanos. “La Spagna deve guidare, guidare, attento a quello che dico, l’aiuto al processo di democratizzazione di Cuba”, ha sottolineato Fernando Jauregui. “Ciò che deve cercare di fare (la Spagna) è facilitare questa transizione”, ha ripetuto il rappresentante del PP.
Di fronte a questa sfacciata dimostrazione di neocolonialismo, la giustificazione di Elena Larrinaga non ha paragoni. “Quando loro parlano di aiutare, non parlano di tutelare. Quando un insegnante, in una scuola, insegna ad un bambino, gli insegna la sua esperienza e le informazioni acquisite. E poi il bambino decide”. “Ma noi non siamo bambini, non siamo minorenni”, le ha risposto Oramas. “In materia di democrazia sì”, sentenziava Larrinaga.
Lazaro Oramas ha chiarito allora qual è il sentimento di qualsiasi cubano/a che valuti il prezzo della sua sovranità. “Ciò di cui stanno parlando e commentando qui, con tutto il mio rispetto, è agli antipodi del sentimento del popolo cubano. Totale. In primo luogo non accettiamo alcuna tutela: né dalla Spagna né dall’Unione Europea, né dagli USA, negli affari interni di Cuba. (…) Cuba è un paese libero, sovrano e indipendente ed il popolo lo è. (…) Non vogliamo la democrazia borghese occidentale, non la vogliamo. Vogliamo la democrazia che abbiamo, che la costruisce la maggior parte del popolo cubano. (…) Inoltre, non lasceremo mai morire le idee di (Carlos Manuel de) Céspedes, di (Ignacio) Agramonte, di (José) Marti, di Mariana (Grajales) di (Julio Antonio) Mella, di Fidel (Castro ), del Che (Guevara). Questo è il nostro cammino. E non altri”.
Poco altro da aggiungere. Salvo che visto quanto visto – la spada di Antonio Maceo con cui combatté l’Esercito spagnolo deve continuare … ben affilata.
Diez contra uno: el debate `plural´ sobre Cuba en la Televisión Colonial Española
José Manzaneda, coordinador de Cubainformación
“Yo estoy hablando de la libertad de las personas, a decir, a pensar. (…) Aquí tenemos un ejemplo, en este debate que hemos tenido hace un momento: personas que opinan –todo el mundo– completamente diferente y no pasa nada”. Eran las palabras de Elena Larrinaga, presidenta del “Observatorio Cubano de Derechos Humanos”, en el programa “El debate de la 1”, sobre la figura de Fidel Castro (1). Su mensaje: España es el ejemplo para Cuba en materia de libertad de expresión.
Pero, ¿es cierto que allí hubo un “debate” entre personas que opinaban “completamente diferente”? Vamos a comprobarlo: “Fidel Castro ha sido un dictador, de eso no cabe la menor duda” (Rubén Moreno, Partido Popular). “Se convirtió en un dictador” (Javier Lasarte, PSOE). “Ha sido un dictador que durante 60 años ha gobernado con mano férrea” (Saúl Ramírez, Ciudadanos). “Se convirtió en un tirano al frente de una dictadura” (Francisco Rosell, periodista de El Mundo). “Un régimen de falta de libertades que yo conozco bien porque he ido muchas veces allí” (Fernando Jáuregui, analista político).
A este coro se unía, de manera sorprendente, el representante de Unidos Podemos Segundo González, para decir, más o menos, lo mismo: “(Fidel fue) el líder de una dictadura y de un régimen que en materia de democracia es cuestionable”.
Es decir, que el “debate” en el que “todo el mundo” pensaba “completamente diferente” en realidad, fue un diálogo reafirmativo entre 10 personas que expresaban lo mismo: que Cuba es una dictadura. Cuatro políticos, dos periodistas, la representante de un grupo “disidente” y el presentador del programa, con el apoyo de dos corresponsales en La Habana y Miami.
El programa, eso sí, tuvo la gentileza de invitar a un defensor de la Revolución: el cubano Lázaro Oramas, miembro de Cubainformación y de la asociación Euskadi-Cuba (2). “Fidel (…) ha sido un hombre que ha trabajado incansablemente por los derechos humanos no solo para el pueblo cubano sino para los pueblos del mundo, para los pueblos desposeídos, esquilmados, explotados.”
El presentador –y director del programa- Julio Somoano adoptó el papel de fiscal en un juicio político tanto a Fidel Castro como al propio invitado: “Yo sé que los cubanos votan –se dirigía a Lázaro Oramas–, pero en la dictadura de Francisco Franco también votaban los españoles. (…) Podemos comparar la figura de los dos dictadores”.
Trató, eso sí, de vender la idea de que aquello era un verdadero “debate” y ejemplo del que Cuba puede aprender: “Se trata en este debate de que entre todos aportemos desapasionadamente datos para que los telespectadores lleguen a sus conclusiones. (…) Como director de este debate, le digo que el truco es que las personas piensen diferente para que haya debate. Nos vamos a Miami”.
Allí se escucharon los habituales tópicos sobre Cuba. Por ejemplo, sobre su emigración. “Si ese supuesto paraíso fuera así, la gente no querría salir de ese país, querría mantenerse allí”, decía el periodista de El Mundo. “No me puede decir que (Cuba) es una sociedad utópica cuando cientos de miles de compatriotas suyos, que también son cubanos, se han exiliado, se han tenido que exiliar”, se dirigía a Oramas el político de Ciudadanos. Tres falsedades en una: primero, en ningún momento Lázaro Oramas había descrito a su país como un “paraíso” o una “utopía”. Segundo, la emigración cubana actual es económica, idéntica a la del resto de la región, pero la única que es denominada “exilio” gracias a la propaganda (3). Y tercero, las cifras de emigración cubana están en la media de la región, a pesar de los privilegios de la Ley de Ajuste Cubano de EEUU: El Salvador, por ejemplo, tiene -en relación a su censo- más del doble de población en EEUU que Cuba (4).
Pero aún hay más. El periodista del diario “El Mundo” se atrevía a ensalzar los supuestos “logros económicos” de la dictadura de Batista: “La Cuba previa a Castro era una Cuba que tenía más renta per cápita que la propia España” (5). Cierto o falso este dato macroeconómico, poco refleja sobre las gigantescas bolsas de miseria del país, con un 35% de la población activa con empleo solo la mitad del año, o sobre la terrible situación del campesinado: el 43 % era analfabeto, el 60% vivía en barracones sin agua corriente, el 90% sin electricidad, y solo el 8% recibía atención médica pública (6) (7).
Pero que el único defensor de la Revolución cubana en el plató se tuviera que enfrentar, entre constantes interrupciones, a diez contrincantes, no impidió las constantes lecciones a Cuba sobre libertad de prensa: “¿Este debate se podría hacer ahora mismo en Cuba, le pregunto yo?”, increpó al invitado.
Evidentemente, en la Televisión Cubana no sería posible un debate así. En primer lugar, porque ningún país sometido al bloqueo económico y a la injerencia permanente de una superpotencia le daría voz a quien apoya este bloqueo y es financiado por dicha superpotencia, tal como trató de explicar, entre interrupciones, Lázaro Oramas. “Vd. dirige el Observatorio Cubano de Derechos Humanos –se dirige a Elena Larrinaga- y Vd. no desvela sus fuentes de financiación. La financiación viene del Gobierno de EEUU a través de la NED (National Endowment for Democracy), que es una tapadera de la CIA” (8) (9). “Esto es un debate de ideas –se lanzó el presentador a defender a Larrinaga-. Yo a Vd. no le digo de dónde vienen sus fondos, yo no le digo si alguien le paga. Lo importante es que aquí muestre sus ideas”.
En segundo lugar, porque ningún país que defienda su soberanía daría el menor espacio televisivo a mensajes neocolonialistas, impropios de este siglo, cargados de prepotencia, paternalismo y descarada injerencia: “¿Cuál debe ser por tanto el papel de Europa y el de España en el futuro de Cuba?”, introducía el presentador. “España tiene que jugar un papel fundamental en esta transición que se tiene que producir en la Isla”, sentenciaba el portavoz de Ciudadanos. “España tiene que liderar, liderar, fíjese lo que le digo, la ayuda al proceso de democratización de Cuba”, subrayaba Fernando Jauregui. “Lo que tiene que intentar (España) es facilitar esa transición”, repetía el representante del PP.
Ante esta descarada demostración de neocolonialismo, la justificación de Elena Larrinaga no tiene desperdicio. “Cuando ellos hablan de ayudar, no están hablando de tutelar. Cuando un maestro, en el colegio, enseña a un niño, le enseña su experiencia y la información que ha adquirido. Y luego el niño decide”. “Pero nosotros no somos niños, no somos menores de edad”, le respondía Oramas. “En cuestiones de democracia sí”, sentenciaba Larrinaga.
Lázaro Oramas dejó claro entonces cuál es el sentimiento de cualquier cubano o cubana que valore el precio de su soberanía. “Lo que están hablando y comentando aquí, con todos mis respetos, está en las antípodas del sentimiento del pueblo cubano. Total. En primer lugar no aceptamos ningún tutelaje: ni de España, ni de La Unión Europea, ni de EEUU, en los asuntos internos de Cuba. (…) Cuba es un país libre, soberano e independiente y el pueblo lo es. (…) No queremos la democracia burguesa occidental, no la queremos. Queremos la democracia que tenemos, que la construye la mayoría del pueblo cubano. (…) Además, no vamos a dejar morir jamás las ideas de (Carlos Manuel de) Céspedes, de (Ignacio) Agramonte, de (José) Martí, de Mariana (Grajales), de (Julio Antonio) Mella, de Fidel (Castro), del Che (Guevara). Ese es nuestro camino. Y no hay más”.
Poco más que añadir. Salvo que –visto lo visto- la espada de Antonio Maceo con la que combatió al Ejército español debe seguir… bien afilada.