Javier Gómez Sánchez https://jovencuba.com
Fidel Castro è stato sempre identificato con la sua uniforme verde oliva. Anche se più simbolica che gerarchica era, senza dubbio, un’uniforme militare. Questo poteva relazionare il leader rivoluzionario, in modo assoluto, alla guerra.
A coloro che lo accusano di creare una Cuba di odio e di divario tra i cubani bisognerebbe ricordar loro che tale separazione esiste da 150 anni. Fa parte dell’identità divisoria davanti al concetto di nazione, dalla sua stessa comparsa.
Nelle Guerre di Indipendenza, i patrioti cubani non solo combatterono l’esercito inviato da Sua Maestà, ma anche migliaia di membri del Corpo di Volontari, cubani senza sentimento nazionale che difendevano la metropoli. Furono loro che sfogarono il loro odio nei barbari Eventi del Teatro Villanueva e coloro che esigettero la fucilazione degli Studenti di medicina.
Marti fu imprigionato, al lavoro forzato, per aver scritto una lettera recriminatoria ad un compagno di studi che entrò nei ranghi del gruppo paramilitare. Nel corso della sua vita rivoluzionaria, Martí dovette affrontare gli annessionisti ed autonomisti, più gli intrighi tra gli indipendentisti stessi.
Nella battaglia di Dos Rios, i primi nemici che raggiunsero il corpo senza vita dell’Apostolo non furono gli spagnoli, ma i contro-guerriglieri cubani al servizio della Corona.
Anni fa le famiglie creole dell’aristocrazia coloniale dello zucchero erano uscite a sguazzare nello spettacolo del corpo di Ignacio Agramonte trascinato per le strade.
Già nella Repubblica, liberali e conservatori fecero la Guerricciola di Agosto, bianchi e neri quella degli Indipendenti di Colore, prima che la farsa repubblicana sboccasse nella sanguinosa dittatura di Machado e la violenta rivolta del 1933.
I torturatori al servizio di Machado non furono processati, la folla inferocita s’incaricò di giustiziarli. Una foto iconografica perpetuò il soldato ribelle che uccise il Capo della Porra machadista, con il suo fucile sollevato ed il corpo quasi levitando come in estasi.
Poi venne Atarés, il fatale Morrillo, Orfila. La guerra tra i gruppi che sembravano senza fine. Fino al colpo di stato di Batista.
C’era tra Autentici e Batistiani un reciproco disprezzo: I primi, bianchi e nati nell’Occidente, rappresentanti della borghesia e di una classe politica tradizionale e corrotta; i secondi per lo più poveri meticci orientali senza illustrazione né scrupoli, avidi di fortuna a tutti i costi.
La sentenza, tra loro, era a morte e dopo la presa del potere molti autentici dovettero andare in esilio o vivere sotto vessazioni, con il pericolo di essere assassinati.
In mezzo gli Ortodossi che cercavano, con mezzi politici, di ottenere il riscatto morale della Repubblica, si divisero con la morte del loro leader Eduardo Chibás.
Allora nasce una forza nuova, minoritaria, con la qualità come premessa più che la quantità dei suoi componenti. Così sorse la Generazione del Centenario che più tardi divenne il Movimento 26 Luglio e da una FEU pusillanime uscì un pugno di uomini coraggiosi che crearono il Direttorio Rivoluzionario.
Tutto questo in mezzo di una Cuba fatta di odio, di un odio molto più grande e quotidiano, che è l’odio più profondo e quello che ha cercato di sanare la Rivoluzione. L’odio tra ricchi e poveri, tra il disprezzo paternalistico dei signori bianchi e l’odio silenzioso della sua dipendente nera. Tra il negoziante e colui che non ha con che comprare una pagnotta, tra il soldato che si arruola per nutrire i suoi figli, sapendo che stava scegliendo tra la fame o il disprezzo ed il civile travolto che lo disprezzava. La Cuba enormemente divisa tra coloro che avevano per salvare la propria vita da una malattia e colui che era condannato, per essere povero, sapendo che c’era una cura.
La Cuba di una divisione molto più profonda e lacerante, quelle delle famiglie in cui il figlio maschio era inviato a studiare e la figlia femmina condannata alle faccende domestiche. Così di generazione in generazione.
Quella del dipendente che sopportava, a denti stretti, l’umiliazione quotidiana del suo datore di lavoro per poter portare un misero salario a casa. Fino a che divenne miliziano e sentì un gran piacere nel mettere sulla facciata del negozio commerciale un cartello ‘Nazionalizzato’.
Nella Cuba in cui viviamo qualcosa di quei mali sono anche riemersi. Siamo consapevoli di ciò. Preservare valori contro questa rinascita non è essere conservatore, se non tanto rivoluzionario come lottare per ciò che deve essere cambiato. Il cambiamento di mentalità che si esige oggi è amministrativo, perché il cambiamento di mentalità morale, di mentalità sociale, di mentalità storica, che sono i più difficili lo fece, tempo fa, la Rivoluzione.
Non bisogna essere rivoluzionario, basta comprendere la rivoluzione.
Chi non capisce niente di tutto questo, non potrà mai comprendere la Rivoluzione cubana. Come una giovane ignorante (per ignoranza, non per essere giovane) che rimproverava che nella Cuba di oggi ci fossero differenze tra ricchi e poveri. Ho pensato al sentirla: lei non sa che grande elogio che sta facendo alla Rivoluzione. Perché questo era un paese diviso tra ricchi estremamente ricchi e poveri miseramente poveri.
Una classe media alienata si dibatteva tra i due. Viveva come vivono le classi medie, tra il sogno alienante di essere ricchi e l’incubo, permanente, di cadere in povertà. Fu solo quando tale classe media ha cercato i poveri e si unì a loro che poté fare la Rivoluzione. Tutto l’anteriore fu frustrante.
Ma ancora meno otterrà intendere l’enorme pace che tale Rivoluzione ci ha portato. L’enorme pace che viene dalla vittoria di una forza sull’altra, 100 anni dopo il 1868.
Nel 1965, quattro anni dopo Giron, fu catturato nella Sierra dell’Escambray l’ultimo gruppo armato contro la Riforma Agraria. Da allora solo il terrorismo e gli aiuti in terre lontane posero il lutto, a Cuba, ai cubani.
Quella è stata la pace che ha vissuto, da allora, la mia generazione e sotto la quale sta nascendo la nuova generazione. Nessuno dei miei compagni di età o studi sanno cosa è riconoscere un familiare tra un gruppo di cadaveri, nessuno ha dovuto andare ad una fossa comune, nessuno ha visto alcuno morire di una morte atroce, come nessuno ha sparato con un arma al di là dei maschi nell’atto formale del servizio militare.
La generazione di Julián del Casal non poté dire lo stesso, quella di Villena neppure, né quella dei Fratelli Saiz. Noi sì possiamo, mentre ci dedichiamo a polemizzare da dentro o fuori di Cuba.
Tra i miei amici e colleghi ho molti avversari politici come ho molti compagni. Non per questo smetto di avere sentimenti di amore e di simpatia per loro.
Il leader della mia parte, imperfetto e criticabile, è morto. Speriamo che non vada, con lui, mai la pace che ottenne e che mai torniamo al campo di battaglia nei nostri ruoli storici di rivoluzione e controrivoluzione.
Speriamo che la luce della civismo ci illumini. Sarà difficile.
In caso contrario, magari qualcuno preghi per noi.
Che lo faccia doppiamente per i nostri nemici.
La paz en Cuba
Por: Javier Gómez Sánchez
Fidel Castro siempre fue identificado con su uniforme verde olivo. Aunque más simbólico que jerárquico, era un uniforme militar sin dudas. Eso podía relacionar al líder revolucionario con la guerra de una manera absoluta.
A los que le acusan de crear una Cuba de odio y de abismo entre cubanos. Habría que recordarles que esa separación existe desde hace 150 años. Es parte de la identidad divisoria ante el concepto de nación desde su propio surgimiento.
En las Guerras de Independencia, los patriotas cubanos no se enfrentaron solamente al ejército enviado por Su Majestad, sino también a miles de integrantes del Cuerpo de Voluntarios, cubanos sin sentimiento nacional que defendían a la metrópoli. Fueron ellos los que descargaron su odio en los bárbaros Sucesos del Teatro Villanueva y los que exigieron el fusilamiento de los Estudiantes de Medicina.
Martí sufrió prisión bajo trabajo forzado por escribir una carta recriminatoria a un compañero de estudios que entró a las filas del grupo paramilitar. A lo largo de su vida revolucionaria, Martí tuvo que enfrentar a anexionistas y autonomistas, más las intrigas entre los propios independentistas.
En el combate de Dos Ríos, los primeros enemigos en llegar al cuerpo sin vida del Apóstol no fueron los quintos españoles, si no contraguerrilleros cubanos pagados al servicio de la Corona.
Años atrás las familias criollas de la sacarocracia colonial habían salido a regodearse en el espectáculo del cuerpo de Ignacio Agramonte arrastrado por las calles.
Ya en la República, liberales y conservadores fueron a la Guerrita de Agosto, blancos y negros a la de los Independientes de Color, antes de que la farsa republicana desembocara en la sangrienta dictadura machadista y la violenta revuelta de 1933.
Los torturadores al servicio de Machado no fueron llevados a juicio, la muchedumbre enardecida se encargó de ajusticiarlos. Una foto iconográfica perpetuó al soldado sublevado que acabó con la vida del Jefe de la Porra machadista, con su fusil en alto y el cuerpo casi levitando como en éxtasis.
Después vino Atarés, el Morrillo fatal, Orfila. La guerra entre los grupos que parecía no tener fin. Hasta el golpe batistiano.
Había entre Auténticos y Batistianos un desprecio mutuo: Los primeros, blancos y nacidos en el occidente, representantes de la burguesía y de una clase política tradicional y corrupta; los segundos en su mayoría mestizos orientales de origen pobre sin ilustración ni escrúpulos, ávidos de fortuna a toda costa.
La sentencia entre ambos era a muerte y tras la toma del poder muchos auténticos debieron exiliarse o vivir bajo acoso con el peligro de ser asesinados.
En medio, los Ortodoxos que buscaban por la vía política lograr el rescate moral de la República, se dividieron al morir su líder Eduardo Chibás.
Entonces nace una fuerza nueva, minoritaria, con la calidad como premisa más que la cantidad de sus integrantes. Así surgió la Generación del Centenario que luego se convirtió en Movimiento 26 de Julio y de una FEU pusilánime salió un puñado de valientes que crearon el Directorio Revolucionario.
Todo eso en medio de una Cuba hecha de odio, de un odio mucho mayor y cotidiano, que es el odio más profundo y el que ha intentado sanar la Revolución. El odio entre los ricos y los pobres, entre el desprecio paternalista de los señores blancos y el odio callado de su empleada negra. Entre el bodeguero y el que no tenía para comprar un pan, entre el soldado que se enrolaba para dar de comer a sus hijos sabiendo que estaba eligiendo por el hambre o el desprecio y el civil atropellado que lo despreciaba. La Cuba tremendamente dividida entre el que tenía para salvarse la vida ante una enfermedad y el que estaba condenado por ser pobre sabiendo que había cura.
La Cuba de una división mucho más honda y lacerante, la de las familias donde el hijo varón era enviado a estudiar y la hija hembra condenada a los deberes del hogar. Así de generación en generación.
La del empleado que soportaba con los dientes apretados la humillación de cada día de su patrón para poder llevar un mísero salario a su hogar. Hasta que se hizo miliciano y sintió un enorme placer al poner sobre la fachada del comercio un cartel de ¨Nacionalizado¨
En la Cuba en que vivimos queda algo de aquellos males o han incluso resurgido. Somos conscientes de ello. Preservar valores contra ese resurgir no es ser conservador, si no tan revolucionario como luchar por lo que debe cambiarse. El cambio de mentalidad que se exige hoy es administrativo, porque el cambio de mentalidad moral, de mentalidad social, de mentalidad histórica que son los más difíciles hace tiempo lo hizo la Revolución.
No es necesario ser revolucionario, basta con entender la revolución.
Quién no entienda nada de esto, no podrá nunca comprender la Revolución Cubana. Como una joven ignorante (por desconocedora, no por joven) que reprochaba que en la Cuba de hoy hubiera diferencias entre ricos y pobres. Pensé al escucharla: No sabe ella que gran elogio le está haciendo a la Revolución. Porque este era un país dividido entre los ricos tremendamente ricos y los pobres miserablemente pobres.
Una clase media alienada se debatía entre los dos. Vivía como viven las clases medias, entre el sueño enajenante de ser ricos y la pesadilla permanente de caer en la pobreza. Fue solo cuando esa clase media buscó a los pobres y se unió a ellos que se pudo hacer la Revolución. Todo lo anterior fue frustración.
Pero menos aún se logrará entender la enorme paz que esa Revolución nos trajo. La paz tremenda que viene de la victoria de una fuerza sobre otra 100 años después de 1868.
En 1965, cuatro años después de Girón, se capturó en la Sierra del Escambray al último grupo armado contra la Reforma Agraria. Desde entonces solo el terrorismo y las ayudas en tierras lejanas enlutaron en Cuba a los cubanos.
Esa ha sido la paz que ha vivido desde entonces mi generación y bajo la cual está naciendo la generación siguiente. Ninguno de mis compañeros de edad o estudios saben lo que es reconocer a un familiar entre un grupo de cadáveres, ninguno ha tenido que ir a una fosa común, ninguno ha visto morir a nadie de una muerte atroz, como ninguno ha disparado un arma más allá de los varones en el formal acto del servicio militar.
La generación de Julián del Casal no pudo decir lo mismo, la de Villena tampoco, ni la de los Hermanos Saíz. Nosotros sí podemos, mientras nos dedicamos a polemizar desde dentro o fuera de Cuba.
Entre mis amigos y colegas tengo muchos contrarios políticos como tengo muchos compañeros. No por eso dejo de tener sentimientos de amor y simpatía hacia ellos.
El líder de mi bando, imperfecto y criticable, se ha ido. Esperemos que no se vaya con él nunca la paz que logró y que nunca volvamos al campo de batalla en nuestros roles históricos de revolución y contrarrevolución.
Esperemos que la luz del civismo nos ilumine. Será difícil.
Si no ocurre, ojalá alguien ore por nosotros.
Que lo haga doble por nuestros enemigos.