Il nostro patrimonio

Graziella Pogolotti http://www.granma.cu

Revolucion-cubanaLe ricerche sul tema dell’identità insistono nel cercare le radici di ciò che siamo nelle nostre più remote origini fondamentalmente europee ed africane. Da queste premesse derivano alcune impronte culturali. Le fonti nutritive della formazione di un popolo fermentano e maturano nel tempo per formare l’humus, sempre rinnovato, che alimenta le nostre radici. L’idioma che parliamo ci venne dalla Spagna con qualche impronta andalusa. Al vivere tra noi andò acquisendo intonazione, sfumature ed un accompagnamento gestuale che lo rende inconfondibile.

Le nostre radici, e quindi la nostra identità, costituiscono una argilla scolpita lungo mezzo millennio di storia. E’ il risultato di un processo di ininterrotta costruzione culturale, fatta del contributo di coloro che, successivamente, per propria volontà o per violenta imposizione, stavano arrivando da Africa ed Asia, così come dalla mescolanza razziale iniziata con l’arrivo dei primi colonizzatori. Questa eredità, evidente nelle tangibili testimonianze nelle nostre città e nella zona intangibile della memoria, dei costumi, costituisce l’insieme del nostro patrimonio. All’opera dei nostri antenati, si aggiunge quella che hanno edificato le attuali generazioni, non trascurabile nei piani del pensiero, educazione, scienza e della creazione artistico-letteraria.

Nonostante gli sforzi realizzati, resta ancora molto per ottenere una piena comprensione dell’importanza dei valori del patrimonio. La commemorazione degli anniversari della nascita delle nostre città è parte di una strategia progettata con il proposito di divulgare tra il popolo il riconoscimento del significato di tale eredità ricevuta. E’ un modo di contro arrestare gli effetti delle tendenze depredatorie e coinvolgere tutti al rispetto del bene pubblico. Si è incorporato alla conoscenza comune della necessità di preservare i monumenti edificati in epoca coloniale, ma continuiamo a trascinarci gravi deficienze nella comprensione della necessità primordiale di preservare l’ambiente urbano nel suo complesso, il tracciato e la manutenzione delle strade, piazze e parchi, così come il rispetto per l’ambiente edificato nel XX secolo.

Nonostante la sua grande importanza, il concetto di patrimonio trabocca in gran parte dell’universo tangibile della città. Abbiamo un vasto patrimonio documentale depositato negli archivi e biblioteche, spesso minacciato dall’aggressività di un clima caldo, umido, favorevole alla proliferazione di insetti. La memoria storica si costituisce in fattore dinamizzatore del riconoscimento identitario quando il suo recupero si rinnova attraverso una rilettura contemporanea. Per godere la sorpresa della riscoperta, dobbiamo ritornare, sistematicamente, a quelle carte polverose. Dimenticati in un congelatore, privi di sangue e di ossigeno, moriranno vittime dell’inedia.

Siamo noi con le nostre preoccupazioni, curiosità e domande che le diamo di nuovo la vita che un tempo ebbero. Dell’ambiente in cui viviamo, dei testi accumulati nelle biblioteche, delle opere conservate nei musei, delle melodie e ritmi registrati nelle partiture derivano le essenze di una spiritualità che animano il senso più profondo della nostra identità, sino ad accompagnarci oltre i confini dell’isola. Sono beni che cominciarono ad accumularsi da quando il primo creolo decise di imprimere il suo marchio personale in un festeggiamento, in una celebrazione commemorativa od in qualcuno dei numerosi conflitti chiariti con le autorità. Sono essenze impalpabili che si trasmettono per via famigliare, della scuola e dei media. La preservazione di questa ricchezza che aiuta a configurare il profilo di ciò che siamo, avviene spontaneamente. Richiede inoltre la progettazione di strategie per la gestione di un bene che non può sommergersi nel dimenticatoio, ma non deve dilapidarsi e, tanto meno, volgarizzarsi.

jose martiTra i tanti tesori, il più sacro risiede nella vigenza della parola Martiana. Dal mio punto di vista, il più toccante monumento all’Apostolo è costruito nel Parco Centrale per iniziativa di un popolo che intuiva la forza incandescente della sua parola, gesto e comportamento. Molti allora non l’avevano letto, quando i suoi testi rimanevano inediti o dispersi in numerose pubblicazioni periodiche.

Restava, tuttavia, il ricordo della sua viva parola e dell’arte dispiegata per organizzare la guerra necessaria attraverso la costituzione dell’unità di intenti dalla base della società.

Il lettore cubano dispone, attualmente, dei tomi pubblicati della sua rigorosissima edizione critica. Ci sono, inoltre, raccolte di testi con ordinamento tematico e la progettazione di un graduale approccio, di bambini e giovani, alla sua opera elaborato da Cintio Vitier. E’ un capitale che non abbiamo saputo usare. Scissa dalla sua feconda matrice, trasformata in aforisma con sarcasmo di dogma, la ripetizione delle stesse frasi limita la curiosità di sapere, senza intermediazione, un’opera caratterizzata dall’immaginazione, dalla ricchezza di sfumature, dalla sagacia penetrazione nella complessità dell’essere umano e dalla sconvolgente lucidità di uno sguardo che attraverso il presente intuisce le minacce del futuro.

Siamo alla vigilia di un anniversario della sua nascita. E’ momento propizio per interrogarci sul modo più efficace di gestire la diffusione e la viva presenza della sua opera. Riscattiamo, per porla nelle mani dei bambini e giovani, le selezioni antologiche dai suoi scritti. Lì c’è il suo modo di riconoscere il valore dei forgiatori della nazione, il suo modo di aprire ampi orizzonti ai suoi contemporanei, la tenerezza delle sue lettere a Maria Mantilla, l’analisi preveggente della conferenza monetaria panamericana. Non mi piace la visione di un José Martí distante, trincerato nel suo fronte monumentale. Preferisco l’uomo dalla redingote logora, forgiata l’anima dalla suo estrema vulnerabilità.


Nuestro patrimonio

Graziella Pogolotti

Las investigaciones sobre el tema de la identidad insisten en buscar las raíces de lo que somos en nuestros más remotos orígenes, básicamente europeos y africanos. De esos antecedentes proceden algunas marcas culturales. Las fuentes nutricias de la conformación de un pueblo fermentan y maduran con el tiempo para conformar el humus siempre renovado que alimenta nuestras raíces. El idioma que hablamos nos vino de España con cierta impronta andaluza. Al habitar entre nosotros fue adquiriendo entonación, matices y un acompañamiento gestual que lo hace inconfundible.

Nuestras raíces, y por tanto, nuestra identidad, constituyen un barro amasado a lo largo de medio milenio de historia. Es el resultado de un proceso de ininterrumpida construcción cultural, hecha del aporte de quienes sucesivamente, por voluntad propia o por imposición violenta, fueron llegando de África y de Asia, así como del mestizaje iniciado con el arribo de los primeros colonizadores. Ese legado, evidente en los testimonios tangibles en nuestras ciudades y en la zona intangible de la memoria, de las costumbres, conforma el conjunto de nuestro patrimonio. A la obra de nuestros antepasados, se añade la que han edificado las actuales generaciones, nada despreciable en los planos del pensamiento, de la educación, de la ciencia y de la creación artístico–literaria.

A pesar de los esfuerzos realizados, mucho falta todavía para lograr una plena comprensión de la importancia de los valores patrimoniales. La conmemoración de los aniversarios del surgimiento de nuestras ciudades forma parte de una estrategia diseñada con el propósito de popularizar el reconocimiento del significado de esa herencia recibida. Es un modo de contrarrestar los efectos de las tendencias depredadoras y de comprometer a todos en el respeto al bien público. Se ha incorporado al saber común el reconocimiento de la necesidad de preservar los monumentos edificados en la etapa colonial, pero seguimos arrastrando serias deficiencias en la comprensión de la necesidad primordial de preservar el entorno urbano en su conjunto, el trazado y conservación de calles, plazas y parques, así como el respeto por el entorno edificado en el siglo XX.

A pesar de su alta significación, el concepto de patrimonio desborda en mucho el universo tangible de la ciudad. Tenemos un extenso patrimonio documental depositado en archivos y bibliotecas, muchas veces amenazado por la agresividad de un clima cálido, húmedo, propicio a la proliferación de insectos. La memoria histórica se constituye en factor dinamizador del reconocimiento identitario cuando su recuperación se renueva a través de una relectura contemporánea. Para disfrutar la sorpresa del redescubrimiento, hay que regresar sistemáticamente a esos papeles polvorientos. Olvidados en un congelador, faltos de sangre y de oxígeno, morirán víctimas de inanición. Somos nosotros con nuestras inquietudes, curiosidades e interrogantes, quienes les devolvemos la vida que alguna vez tuvieron. Del entorno en que habitamos, de los textos acumulados en las bibliotecas, de las obras conservadas en los museos, de las melodías y ritmos registrados en partituras dimanan las esencias de una espiritualidad que animan el sentido de lo más profundo de nuestra identidad, hasta acompañarnos más allá de las fronteras de la Isla. Son bienes que comenzaron a acumularse desde que el primer criollo decidió estampar su marca personal en un festejo, en ocasión conmemorativa o en alguno de los numerosos conflictos dilucidados con las autoridades. Son esencias impalpables que se transmiten por vía de la familia, de la escuela y de los medios de comunicación. La preservación de esta riqueza que contribuye a configurar el perfil de lo que somos, se produce de manera espontánea. Requiere también el diseño de estrategias para la administración de un bien que no puede sumergirse en el olvido, pero no debe dilapidarse y, mucho menos, vulgarizarse.

Entre tantos tesoros, el más sagrado reside en la vigencia de la palabra martiana. Desde mi punto de vista, el más conmovedor monumento al Apóstol fue construido en el Parque Central por iniciativa de un pueblo que intuía la fuerza incandescente de su palabra, su gesto y su conducta. Muchos no lo habían leído en aquel entonces, cuando sus textos permanecían inéditos o dispersos en numerosas publicaciones periódicas.

Quedaba, sin embargo, la memoria de su palabra viva y del arte desplegado para organizar la guerra necesaria mediante la constitución de la unidad de propósitos desde la base de la sociedad.

El lector cubano dispone en la actualidad de los tomos publicados de su rigurosísima edición crítica. Existen, por lo demás, recopilaciones de textos con ordenamiento temático y el diseño del gradual acercamiento de niños y jóvenes a su obra elaborado por Cintio Vitier. Es un capital que no hemos sabido utilizar. Desgajada de su matriz fecunda, da, transformada en aforismo con relente de dogma, la reiteración de las mismas frases cercena la curiosidad por conocer, sin intermediación, una obra caracterizada por lo imaginativo, la riqueza de matices, la sagaz penetración en la complejidad del ser humano y la estremecedora lucidez de una mirada que a través del presente intuye las asechanzas del futuro.

Estamos en víspera de un aniversario de su natalicio. Es momento propicio para interrogarnos acerca del modo más eficaz de administrar la difusión y la presencia viva de su obra. Rescatemos para ponerlas en manos de niños y jóvenes las selecciones antológicas de sus textos. Ahí está su modo de reconocer la valía de los forjadores de la nación, su manera de abrir anchos horizontes a sus contemporáneos, la ternura de sus cartas a María Mantilla, el análisis profético de la conferencia monetaria panamericana. No me gusta la visión de un José Martí distante, atrincherado en su frente monumental. Prefiero al hombre de la levita gastada, forjada el alma desde su extrema vulnerabilidad.

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