Iroel Sánchez https://lapupilainsomne.wordpress.com
Il 16 febbraio 1959 Fidel assunse la carica di Primo Ministro del governo provvisorio instaurato a Cuba dopo il trionfo rivoluzionario per cui era stato nominato tre giorni prima.
Da quel momento comincia a materializzarsi il programma rivoluzionario contenuto nella dichiarazione di difesa di Fidel dopo l’assalto alla Caserma Moncada, La Storia mi assolverà.
Tra le prime decisioni ci saranno quelle di convertire le caserme in scuole, la riduzione del canone di locazione, la riduzione dei prezzi dei farmaci, l’intervento di “Cuban Telephone Company” e della Cooperativa de Omnibus Aliados per metterli al servizio dei poveri, l’apertura delle spiagge al popolo, la creazione dell’ICAIC del la Stamperia Nazionale, la riduzione delle tariffe telefoniche … fino ad arrivare, il 17 maggio, alla Legge di Riforma Agraria che scatenerà l’ira del governo USA e porrà in marcia i piani, più sinistri, contro la Rivoluzione e la vita di Fidel se stesso, anche se già da prima c’erano azioni in corso con tali obiettivi.
Un principio guiderà, da allora, il governo cubano: il popolo per primo, intrecciando, dalla leadership, una comunicazione basata sul fare ciò che si dici e dire ciò che si fa. Nel mezzo di un mare magnum di lavoro e di sfide titaniche, lo stesso giorno del suo insediamento come Primo Ministro Fidel realizza due estesi interventi pubblici, uno alla presa di possesso dell’incarico e l’altro davanti al Collegio degli Architetti dove affronta le attività che affronterà immediatamente sulla base di principi che non perdono attualità.
Accanto all’esposizione dei primi passi a vantaggio del popolo che prenderà il governo, è in tali discorsi il realismo economico che spiega al popolo ciò che è possibile e quanto no – “ed ebbi, con dolore della mia anima, che chiedere ai lavoratori sacrifici, sacrifici in loro favore, sacrifici per il loro bene, sacrifici oggi per ottenere maggior vantaggi domani” riflette sul suo dialogo con i lavoratori dello zucchero-, respingendo la demagogia ed il populismo – “gli autografi non chiedeteli, che questo è cosa per gli artisti del cinema, non per rivoluzionari”, afferma e la saggezza lontano da qualsiasi estremismo: Promette giustizia contro i crimini dei batistiani mentre spiega “non si può agire con un approccio rigido per il caso delle innumerevoli persone che hanno trovato occupazione nello Stato dopo il 10 Marzo, che hanno lavorato, non erano confidenti, o che non siano “raccomandati”, o che non siano stati, ad esempio, candidati alle elezione, perché già essere candidato alle elezioni è una mancanza che la Rivoluzione non può tollerare.”
La sua visione sulla necessità di vedere integralmente i problemi dello Stato:
“le misure del governo devono tendere a risolvere i problemi senza crearne altri; risolvere il problema della burocrazia, l’eccesso di personale, senza creare un altro problema di tipo sociale. Soprattutto che il funzionario non pensi di risolvere il problema del suo dipartimento dimenticando gli altri problemi del Paese”.
(…)
“… tutte le attività dello Stato devono essere ben coordinate. Non è questione che un ministro faccia una cosa per conto suo, un altro faccia altro e un altro un’altra, anche se gli sembra che sia buona, ma che tutti devono obbedire ad un piano generale. E non si tratta che qualche volta lui trionfi come ministro, ma che vinca il governo come governo e che trionfi la Rivoluzione come Rivoluzione; perché, a volte, una misura risolve da un lato e complica dall’altro, perché non è così facile … “
L’etica nella pubblica amministrazione:
“Che si paghi di più affinché non rubino? Bene, va bene. Ma questo non è ciò che garantisce l’onestà del funzionario, ciò che garantisce è la sua convinzione e la sua morale. Se è onesto non ruba anche se lo pagano 10 pesos al mese, e se è un ladrone ruba anche se lo pagano quanto lo paghino.”
L’esemplarità dei governanti:
“Perciò, come abbiamo chiesto un sacrificio ai lavoratori, noi faremo lo stesso, e quando tutti prosperino ed il tenore di vita aumenti, poi che aumenti il tenore di vita dei ministri. Penso che sia giusto, affinché non credano che stiamo chiedendogli sacrifici e che noi non li stiamo facendo. Che vedano che noi ci sacrifichiamo e che noi non chiediamo riduzione dell’orario di lavoro; noi chiederemo che aumenti, se necessario, 24 o 22 ore di lavoro, per due di riposo, senza domenica, senza lunedì e senza niente. Perché ora spetta al paese lavorare, lavorare duro in modo che un giorno – questo sì! – coloro che lavorano ricevano i benefici di ciò che fanno. Non lavorare per gli altri, perché questo non è giusto, perché tanto è ladro il funzionario che ruba un milione come l’impresario egoista che vuole guadagnare anche un milione. Direi che si dovrebbe accontentare di meno, con 100000, per esempio, che, dopo tutto, non gli basta un anno per spenderlo, e che gli avanzerà”.
Il sentire verso i lavoratori ed il rifiuto di chi specula sulle loro esigenze:
“Rubare è rubare al tesoro pubblico e anche rubare al lavoratore. Questa è, anche, una malversazione. Ci sono imprenditori egoisti che vogliono accumulare fortune per girare per l’Europa, e per dare grandi feste da 25000 e 30000 pesos, e vogliono pagare salari da fame ai lavoratori o ai dipendenti che gli sono più vicini, delle cui esigenze e del cui dolore non si commuove.”
(…)
“E lo Stato deve fornire la soluzione a coloro che sono nella necessità di andare da un usuraio, perché questi succhiano i soldi dei poveri. Tra banchi di pegno, venditori di mobili a pezzi ed usurai, il popolo, se guadagnano 60 pesos, ne ricava 30, perché glieli rubano.”
la partecipazione ed il coinvolgimento popolare nel governo e nella soluzione dei problemi:
“Il popolo non deve dirci “chiediamo”; il popolo ciò che deve dirci è: “facciamolo”, “proporre” fare “, perché noi siamo una stessa cosa con il popolo.”
Alla fine del suo intervento all’a presa in carico come Primo Ministro risuona in quella che Cintio Vitier chiamò “L’ora attuale di Cuba”:
“Penso che sia onesto: parlare così, non agitare slogan demagogici per creare problemi alla Rivoluzione. E la Rivoluzione deve marciare come un tutt’uno, che deve avere una strategia, che deve avere un comando o, altrimenti, perde la Rivoluzione come se avesse perso la guerra.
“E quindi è molto necessario che tali questioni le teniamo presenti e che il popolo ci aiutano condannando il demagogo, condannando il falsario, condannando l’intrigante ed, inoltre, condannando anche il funzionario che non esegua e dicendo chi è, ma dicendo ciò con delle prove. Non per qualsiasi cosa una protesta, perché è molto facile protestare. Io a chi protesta lo chiamerei e gli direi: fallo tu, perché vedesse che non è facile risolvere questi problemi quando ci sono così tanti interessi in gioco, quando si ha la Rivoluzione che va ad affrontare ciascuno di queste imbrogli, di tale ordito che hanno creato qui i malgoverni.
“Abbiamo la certezza che, per lo meno, se dallo sforzo dipende, che se dalla buona volontà dipende, che se dall’energia, che se dall’onestà dipende il successo della Rivoluzione, se del fatto che prendiamo con l’entusiasmo con cui abbiamo preso tutte le cose, con la dignità con cui abbiamo preso tutte le cose, con la perseveranza e la tenacia e la volontà con cui abbiamo fatto altre cose; se da ciò dipende il trionfo, il trionfo è assicurato in anticipo.
“Nella mente del popolo voglio solo che ci sia sempre presente un’idea che non è facile, che è difficile; che non governiamo per il trionfo di noi stessi; che ci aiuti. E so che la maggior parte del popolo, come sa che siamo a lui leali, come sa che non ci interessa nulla più che servirlo, come sa che siamo uomini uguali a lui, non un uomo arrampicato su una posizione, non un uomo innalzato in una posizione ma un uomo che sta a livello del popolo, che è un uomo del popolo, che viene qui a servire gli interessi del popolo, so che la stragrande maggioranza del popolo starebbe con noi.
“E c’è da orientarlo bene. Non che mentre noi lo orientiamo, altri lo disorientino. Che non ci costringano a lavorare per divertimento, per creare una coscienza rivoluzionaria e che altri la dirottino.”
La lealtà a tali parole fatte carne e sangue nella condotta di un uomo fu quella che sgorgò, da milioni di gole cubane al grido ” Io sono Fidel”, 58 anni dopo. Coloro che ne sono stati protagonisti sanno che l’eccezionale genialità del leader della Rivoluzione è irripetibile, ma assumere i suoi metodi, il suo agire attaccato all’etica martiana, la sua fiducia nel popolo e la sua pratica di sempre contare su di lui davanti ad ogni sfida, è forse l’unico modo per mantenere vivi Fidel e la sua Rivoluzione.
¿Se puede ser Fidel?
Por Iroel Sánchez
El 16 de febrero de 1959 Fidel asumió el cargo de Primer Ministro del gobierno provisional instaurado en Cuba después del triunfo revolucionario para el que había sido designado tres días antes.
A partir de ese momento empieza a concretarse el programa revolucionario contenido en el alegato de defensa de Fidel tras el asalto al Cuartel Moncada, La historia me absolverá.
Entre las primeras decisiones estarán convertir los cuarteles en escuelas, la rebaja de alquileres, la rebaja de los precios de los medicamentos, la intervención de la “Cuban Telephone Company” y de la Cooperativa de Ómnibus Aliados para ponerlas al servicio de los humildes, la apertura de las playas para el pueblo, la creación del ICAIC y de la Imprenta Nacional, la rebaja de las tarifas telefónicas… hasta llegar el 17 de mayo a la Ley de Reforma Agraria que desatará la ira del gobierno norteamericano y pondrá en marcha los planes más siniestros contra la Revolución y la vida del propio Fidel, aunque desde antes ya había acciones en marcha con esos objetivos.
Un principio guiará desde entonces al gobierno cubano: el pueblo primero, entrelazando desde el liderazgo una comunicación basada en hacer lo que se dice y decir lo que se hace. En medio de un maremagnum de trabajo y de desafíos titánicos, el mismo día de su asunción como Primer Ministro Fidel realiza dos extrensas intervenciones públicas, una en la toma de posesión del cargo y otra ante el Colegio de Arquitectos donde aborda las tareas que acometerá de inmediato sobre la base de principios que no pierden actualidad.
Junto a la exposición de los primeros pasos en beneficio popular que tomará el gobierno, está en esos discursos el realismo económico que explica al pueblo qué es posible y qué no-“y tuve con dolor de mi alma que pedirles a los obreros sacrificios, sacrificios en bien de ellos, sacrificios hoy para obtener mayores ventajas mañana“, reflexiona sobre su diálogo con los trabajadores azucareros- , el rechazo a la demagogia y el populismo –“los autógrafos no se los pidan a uno, que eso es cosa para artistas de cine, no para revolucionarios”, afirma- y la sabiduría alejada de cualquier extremismo: Promete justicia contra los crímenes de los batistianos a la vez que explica “no se puede actuar con un criterio rígido respecto al caso de la infinidad de personas que encontraron empleo en el Estado después del 10 de Marzo, que han trabajado, que no sean confidentes, o que no sean “botelleros”, o que no hayan sido, por ejemplo, candidatos a las elecciones, porque ya ser candidato a las elecciones es una falta que la Revolución no puede tolerar.”
Su visión sobre la necesidad de ver integralmente los problemas del Estado:
“las medidas de gobierno deben tender a resolver los problemas sin crear otros; resolver el problema de la burocracia, del exceso de personal, sin crear otro problema de tipo social. Sobre todo que el funcionario no piense en resolver el problema exclusivo de su departamento con olvido de los demás problemas del país”.
(…)
“…todas las actividades del Estado tienen que estar bien coordinadas. No es cuestión de que un ministro haga una cosa por su cuenta, otro haga otra y otro haga otra, aunque le parezca que sea buena, o sea buena, sino que todo tiene que obedecer a un plan general. Y no se trata de que cada cual triunfe él como ministro, sino que triunfe el gobierno como gobierno y que triunfe la Revolución como Revolución; porque hay veces que una medida resuelve por un lado y complica por el otro, porque no es tan fácil…”
La ética en la administración pública:
“¿Que se pague más para que no roben? Bueno, está bien. Pero eso no es lo que garantiza la honradez del funcionario, lo que la garantiza es su convicción y su moral. Si es honrado no roba aunque le paguen 10 pesos al mes, y si es ladrón roba aunque le paguen lo que le paguen.”
La ejemplaridad de los gobernantes:
“Por lo tanto, como les hemos pedido un sacrificio a los trabajadores, nosotros vamos a hacerlo también, y cuando todo el mundo prospere y el estándar de vida suba, pues que suba también el estándar de vida de los ministros. Creo que es lo justo, para que no piensen que estamos pidiéndoles sacrificios a los demás y que nosotros no los estamos haciendo. Que vean que nosotros nos sacrificamos y que nosotros no pedimos rebaja de tiempo de trabajo; nosotros vamos a pedir de aumento, si es necesario, 24 ó 22 horas de trabajo, por dos de descanso, sin domingos, sin lunes y sin nada. Porque ahora le corresponde al país trabajar, trabajar mucho para que algún día —¡eso sí!— los que trabajan reciban los beneficios de lo que hacen. No trabajar para otros porque eso no es justo, porque tan ladrón es el funcionario que se roba un millón como el empresario egoísta que quiere ganar también un millón. Yo diría que debe conformarse con menos, con 100 000, por ejemplo, que, al fin y al cabo, no le va a alcanzar para gastarlo al año, y que le va a sobrar.”
El sentir por los trabajadores y el rechazo a quienes especulan con sus necesidades:
“Robo es robarle al tesoro público y robarle también al trabajador. Eso es una malversación también. Hay empresarios egoístas que quieren acumular fortunas para pasear por Europa, para dar grandes fiestas de 25 000 y 30 000 pesos, y quieren pagarles salarios de miseria a los trabajadores o a los empleados que tienen más cerca, de cuyas necesidades y de cuyos dolores no se conduele.”
(…)
“Y el Estado tiene que brindar la solución a aquellos que se ven en necesidad de acudir a un garrotero, porque esos se chupan los sueldos de los pobres. Entre casas de empeño, vendedores de muebles a plazos y garroteros, el pueblo, si gana 60 pesos, cobra 30, porque se lo roban.”
La participación e implicación popular en el gobierno y en la solución a los problemas:
“El pueblo no debe decirnos “pedimos”; el pueblo lo que debe decirnos es: “Vamos a hacer”, “proponemos”, hagamos”, porque nosotros somos una misma cosa con el pueblo.”
El final de su intervención en la toma de posesión como Primer Ministro resuena en lo que Cintio Vitier llamó “La hora actual de Cuba”:
“Creo que eso es lo honrado: hablarles así, no agitar consignas demagógicas para crear problemas a la Revolución. Y la Revolución tiene que marchar como un todo, que tiene que haber una estrategia, que debe haber un mando o, de lo contrario, se pierde la Revolución como se hubiera perdido la guerra.
“Y que por lo tanto es muy necesario que esas cuestiones las tengamos presentes y que el pueblo nos ayude condenando al demagogo, condenando al farsante, condenando al intrigante y, además, condenando también al funcionario que no cumpla y diciendo quién es, pero diciéndolo sobre bases. No por cualquier cosa una protesta, porque es muy fácil protestar. Yo al que protesta lo llamaría y le diría: ¡Hágalo usted!, para que viera que no es nada fácil ir resolviendo estos problemas cuando hay tantos intereses de por medio, cuando tiene la Revolución que ir enfrentándose a cada una de esas marañas, de esa urdimbre que han creado aquí los malos gobiernos.
“Nosotros tenemos la seguridad de que, por lo menos, si del esfuerzo depende, que si de la buena voluntad depende, que si de la energía, que si de la honestidad depende el éxito de la Revolución, si de que nosotros tomemos con el entusiasmo con que hemos tomado todas las cosas, con la dignidad con que hemos tomado todas las cosas, con la perseverancia y la tenacidad y la voluntad con que hemos hecho otras cosas; si de eso depende el triunfo, el triunfo está asegurado de antemano.
“En la mente del pueblo solo quiero que haya siempre pendiente una idea: que no es fácil, que es difícil; que no gobernamos para el triunfo de nosotros, que peleamos para el triunfo de ellos; que nos ayude. Y sé que la mayoría del pueblo, como sabe que somos leales a él, como sabe que no nos interesa nada más que servirlo a él, como sabe que somos hombres iguales a él, no un hombre encaramado en una posición, no un hombre encumbrado en una posición sino un hombre que está a la altura del pueblo, que es un hombre del pueblo, que viene aquí a servir los intereses del pueblo, sé que la inmensa mayoría del pueblo estaría con nosotros.
“Y lo que hay es que orientarlo bien. No que mientras nosotros lo orientemos, otros lo desorienten. Que no nos obliguen a trabajar por gusto, a crear una conciencia revolucionaria y que otros la desvíen.”
La lealtad a esas palabras hechas carne y sangre en la conducta de un hombre fue la que brotó de millones de cubanas gargantas a grito de “Yo soy Fidel” 58 años después. Quienes lo protagonizaron saben que la genialidad excepcional del líder de la Revolución es irrepetible, pero asumir sus métodos, su actuar apegado a la ética martiana, su confianza en el pueblo y su práctica de contar siempre con él ante cada desafío, es tal vez la única manera de mantener vivos a Fidel y su Revolución.