di Raùl Zibechi (*)
“Il paese si è trasformato in una enorme discarica di cadaveri”: a proposito del gigantesco narco-cimitero scoperto nello Stato di Veracruz. “
(La notizia: il 14 marzo scorso, nei dintorni di Veracruz, Messico, è stato scoperto un cimitero clandestino con più di 250 crani, n.d.t.).
Tutti i giorni, da un decennio, si ammucchiano notizie macabre, che elevano la cifra dei morti per la “guerra contro il narco-traffico” a più di 200.000 persone e a 30.000 desaparecidos.
Il giorno dopo (la scoperta) la Commissione Nazionale per i Diritti Umani e la ONU Donne indicano il corridoio Puebla-Tlaxcala come una delle principali zone di raccolta e transito di persone a fini di sfruttamento sessuale, il che succede, almeno, da 20 anni, “senza che lo Stato messicano intervenga in modo deciso su un fenomeno delittuoso che si estende sempre più” (La Jornada, 20 marzo 2017). Il rapporto assicura che “il Messico è paese di origine, transito e destino delle vittime della tratta di esseri umani, a cui contribuisce la sua posizione geografica visto che si è trasformato in strada obbligata dei migranti centroamericani”.
Lo stesso giorno la stampa ha dato notizia dell’assassinio del giornalista Ricardo Monlui Cabrera, proprietario e direttore del portale El Polìtico, mentre usciva da un ristorante con la sua famiglia, nel municipio di Yanga, stato di Veracruz. Solo in questo stato, 24 tra giornalisti e fotografi sono stati assassinati durante le amministrazioni dei membri del PRI (Partito Rivoluzionario Istituzionale) Fidel Herrera e Javier Duarte. Questi è stato governatore tra il 2010 e il 2016 e, da sei mesi, è latitante perchè la giustizia lo accusa di reati di “delinquenza organizzata”, il che parla dei suoi vincoli con il narcotraffico.
Questo breve panorama disegna tuttavia la lacerante attualità del Messico, che soffre di una guerra che ha fatto più vittime delle guerre civili centroamericane dei decenni 1980 e 1990.
Ci sono tre aspetti che vale la pena sottolineare: l’inerzia dello Stato, la connivenza di una parte delle istituzioni con il narco-traffico e l’azione della società civile organizzata come unica risposta alla violenza.
Il caso di Veracruz, che in questi giorni occupa le prime pagine dei media, può servire da esempio di quanto accade in tutto il paese. Da una parte c’è la disputa tra diversi cartelli della droga (Jalisco Nuova Generazione e gli Zeta, con l’appoggio di agenti di polizia e della Segreteria di Sicurezza Politica negli assassini e nelle sparizioni). Una delle lotte più crudeli avviene per il controllo del porto di Veracruz, sul Golfo del Messico, il porto marittimo e commerciale più importante del paese azteco. Da lì partono tonnellate di droga ed entrano i pregiati precursori chimici imprescindibili per la fabbricazione degli stupefacenti.
(Lo Stato di) Veracruz ha 212 municipi e fosse clandestine sono state trovate in 44 di essi, soprattutto intorno al porto. La più recente è quella scoperta a Colinas de Santa Fe, che contiere almeno 250 cadaveri ma che la Polizia Scientifica stima possa superare i 600.
Il narco-traffico opera in modo diretto. Quando un’autorità non si piega ai suoi affari, sia partecipando o lasciando fare, l’assassinano o creano una situazione insostenibile. Quando Miguel Angel Yunes, del PAN, assunse il governatorato di Veracruz (il 1° dicembre 2016) in sostituzione del latitante Duarte, avvennero 600 assassinii nei primi 100 giorni della sua amministrazione. Un messaggio mafioso, un avvertimento perché partecipasse agli affari illeciti o, quanto meno, non si intromettesse.
Ma uno dei fatti più eloquenti è il lavoro indefesso delle madri dei desaparecidos, che hanno deciso di cercare in prima persona i loro figli e figlie che sono spariti. E’ il caso del Collettivo Solecito, che è riuscito a trovare decine di corpi e grazie a cui è stata scoperta la mega-fossa di Colinas de Santa Fe, probabilmente la più grande dell’America Latina.
Sono solo una cinquantina di madri, che dedicano tutto il loro tempo a manifestare, denunciare e a scavare nelle fosse clandestine con le loro mani. Finanziano le loro attività vendendo vestiti nei garage, durante gli avvenimenti pubblici e nelle lotterie per appoggiare le loro “brigate” di ricerca. Il 10 maggio 2016 vennero avvicinate durante una manifestazione da vari sconosciuti che diedero loro delle mappe disegnate a mano, cosa che ha permesso loro di arrivare alla fossa di Colinas de Santa Fe.
Le madri del Collettivo Solecito hanno detto a Proceso (una rivista digitale messicana, n.d.t.) che il procuratore generale dello Stato, Jorge Winckler “si burla di noi sulle reti sociali, non ci da retta, non ci riceve”, e disprezza il lavoro delle associazioni dei familiari dei desaparecidos. Insomma, che la complicità dello Stato nei crimini del narcotraffico è evidente. Per questo lo scorso 16 febbraio le madri hanno occupato la Procura, travolgendo i poliziotti ministeriali, dopo che Winckler le aveva fatte aspettare più di tre ore prima di riceverle.
Alle narco-fosse si aggiungono le mattanze a cielo aperto. Il 20 settembre 2011 vennero abbandonati a Boca del Rìa (Veracruz) 20 cadaveri. Erano legati, seminudi e con una Z incisa sulla schiena. Si tratta di una delle molte mattanze con cui il narco-traffico vuole terrorizzare la popolazione perché non interferisca con i suoi affari.
Ciò che richiama l’attenzione è il fatto che la Banca Mondiale, oltre ad altre istituzioni e organismi come Forbes, ritenga che il Messico sia il paese che ha il miglior “clima per gli affari” della regione, che sia inserito nel “gruppo selezionato di economie mondiali che hanno portato a termine riforme ogni anno a partire dal 2004” e che “ancora, il Messico è l’economia meglio classificata della regione”.
Come possiamo mettere in relazione questo “clima degli affari” con una guerra disastrosa per la società messicana? Questo è il punto chiave che ci fa pensare che ci troviamo davanti ad un narco-capitalismo.
Di solito si dice che il Messico è un “narco-Stato”. Ma questa realtà, ignorata dalla Banca Mondiale nei suoi rapporti favorevoli sul Messico, ci permette di dedurre che la guerra contro il narco-traffico copre un’altra realtà più profonda e terribile: il capitale funziona in alcuni paesi in alleanza con il narco-traffico, da cui prende a prestito i modi di operare, che consistono nel fare affari anche al prezzo di distruggere un’intera società.
(*) Scrittore e attivista uruguayano. Fuggito a Buenos Aires dopo il colpo di stato nel suo paese, si è trasferito in Spagna dopo il golpe argentino: lì ha lavorato per più di dieci anni nel Movimento Comunista in missioni di alfabetizzazione dei contadini e nel movimento antimilitarista contro la NATO.
Da: lahaine.org; 28.3.2017
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”