di Maurice Lemoine – Il manifesto
Il 14 giugno 2015, sull’influente quotidiano spagnolo El País, a proposito delle elezioni legislative che si sarebbero tenute in Venezuela alla fine dell’anno, lo scrittore peruviano ultraliberista Mario Vargas Llosa scriveva: «Tutti i sondaggi indicano che l’appoggio a Maduro non va oltre il 20% e che il restante 80% è contro il regime, ma il trionfo dell’opposizione non è assolutamente garantito per via della possibilità di frodi elettorali e perché, nella volontà disperata di aggrapparsi al potere, Maduro e i suoi possono ricorrere a un bagno di sangue (…)».
Nel mese di dicembre, l’opposizione vinse le elezioni senza alcuna contestazione da parte delle autorità. Ma il chavismo era già stato preventivamente messo sul banco degli accusati e condannato, se per caso avesse vinto. Vargas Llosa infatti non era certo un caso isolato.
A causa di un’informazione selezionata e messa insieme per confortare questo giudizio a priori, ben pochi seppero che quella vittoria si fondava in gran parte sull’accentuato indebolimento della «rivoluzione bolivariana» dovuto a una destabilizzazione economica simile a quella orchestrata negli anni 1970 contro Salvador Allende in Cile. Denunciata al tempo da analisti progressisti, fu confermata ufficialmente solo 35 anni dopo grazie alla declassificazione di 20.000 documenti degli archivi segreti del governo degli Stati uniti. Si può quindi sperare che fra circa tre decenni diventerà chiara la disconnessione fra il discorso mediatico e la realtà anche riguardo alla «crisi venezuelana». Però sfortunatamente sarà un po’ tardi per la comprensione degli eventi e la difesa della democrazia qui e ora.
Il grande pubblico ignora che, avendo fatto prestare giuramento a tre deputati eletti in modo fraudolento, l’Assemblea nazionale dominata dalla Tavola di unità democratica (Mud) si è messa in una situazione di illegalità, portando il Tribunale supremo di giustizia a invalidare tutte le sue decisioni. È la stessa Assemblea che, bellicosa e decisa a tutto pur di tornare all’epoca pre-Chávez, sin dal suo insediamento ha dichiarato l’intenzione di rovesciare il capo dello Stato nel giro di sei mesi. Il 6 dicembre 2016, poi, i dirigenti di questa opposizione hanno sconfessato i loro rappresentanti che, arrivati a un accordo, avevano firmato il documento «Costruire la pace», nel quadro di un dialogo avviato sotto gli auspici dell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) e del Vaticano.
Da più di due mesi, manifestazioni continue presentate come «pacifiche» vedono contrapporsi le forze dell’ordine e gruppi di estrema destra i quali, con l’apporto di delinquenti comuni remunerati, utilizzano armi letali e seminano il caos.
I morti sono già oltre ottanta; la «circolazione circolare dell’informazione» li attribuisce in blocco alla «repressione», mentre qualunque studio minimamente obiettivo delle circostanze nelle quali le morti si sono verificate è in grado di provare che non è affatto così.
Lo scorso 1 giugno, a Madrid, nel quadro di un tour europeo, il presidente dell’Assemblea nazionale Julio Borges ha dichiarato che «solo le manifestazioni in strada, insieme alla pressione internazionale» potranno «spezzare» il governo di Maduro. In questo tentativo di messa al bando del Venezuela, Borges può contare sulla partecipazione attiva degli Stati uniti, dell’uruguayano Luis Almagro, segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) e, senza alcun dubbio, dell’«industria della disinformazione».
Ma in America latina, dove questi meccanismi sono ben noti, la quasi totalità dei movimenti sociali e popolari sostiene il Venezuela. E il 20 giugno, alla presenza dell’ex primo ministro spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero e di due ex presidenti, il colombiano Ernesto Samper e l’ecuadoriano Rafael Correa, il capo dello Stato boliviano Evo Morales ha preso nettamente posizione: «Quello che sta succedendo in Venezuela è un colpo di Stato. Sii forte, Nicolás, contro i golpisti. Il popolo latinoamericano è con te».
Nel paese, in effetti, la situazione rischia di sfuggire al controllo. In mancanza di interlocutori nell’opposizione, Maduro ha convocato un’Assembla nazionale costituente, i cui membri dovrebbero essere eletti il 30 luglio (e i cui lavori dovrebbero essere approvati oppure no, democraticamente, mediante referendum). Il dirigente della Mud Freddy Guevara ha annunciato la creazione di «comitati per il salvataggio della democrazia», destinati a sabotare questo scrutinio: «Non permetteremo che i centri elettorali siano utilizzati come strumento per la frode costituente», ha dichiarato. Già sulle reti sociali stanno circolando messaggi con minacce di morte per chi si recherà a votare.
Se l’intento dei «campioni dell’alternanza che uccide» è scatenare una guerra civile (e un intervento esterno), queste sono proprio le mosse giuste. È davvero tempo che i progressisti europei non accettino più di essere manipolati e facciano sentire la propria voce.