di Geraldina Colotti* – Il Manifesto
Ieri, i brasiliani si sono svegliati ancora al grido di “Fora Temer”, per gli effetti dello sciopero generale che, dal 30 giugno, ha interessato 21 città del paese, oltreché il distretto federale. Con manifestazioni e blocchi stradali, sindacati e movimenti hanno protestato contro le politiche neoliberiste del “presidente de facto”: a un anno dal golpe istituzionale che ha deposto l’allora presidente Dilma Rousseff con un impeachment organizzato dal suo vice Michel Temer e dall’ex presidente della Camera Eduardo Cunha, ora in carcere per 15 anni.
Centinaia di persone si sono scontrate con la polizia per protestare contro la riforma del lavoro e delle pensioni, voluta dal blocco di interessi che ha messo in sella Temer e che sostiene il ritorno delle destre in America latina.
E’ il secondo sciopero generale dopo quello, unitario e storico, del 28 aprile. Questa volta, però, i sindacati confederali controllati da gruppi più impelagati con il governo Temer, hanno ritirato l’adesione, e i numeri non sono stati gli stessi. La parola è passata, però, alle organizzazioni popolari che avanzano rivendicazioni più politiche e chiedono un cambiamento strutturale. Il principale sindacato, la Cut, ha costruito la scadenza di lotta con altri sindacati di base e con i movimenti (come i Senza Terra, i Senza tetto…), che hanno recentemente formulato una nuova alleanza nel Frente Brasil Popular.
Con la consegna “Per il paese, contro le riforme”, i lavoratori sono scesi in piazza a Brasilia, San Paolo, Rio de Janeiro, Salvador, Belo Horizonte, Porte Alegre… Uno dei focolai della protesta è stato l’aeroporto internazionale di Congonhas, a San Paolo, la principale città del paese. I manifestanti hanno bloccato le principali vie di accesso chiedendo le dimissioni del presidente, nonché elezioni anticipate e dirette. La polizia ha represso con proiettili di gomma, lacrimogeni e armi acustiche. Hanno protestato anche i lavoratori petroliferi della raffineria di Cubatao, nella regione di San Paolo.
Un’ulteriore prova di forza contro il governo, portata avanti nonostante la martellante campagna disfattista delle grandi corporation mediatiche, che cercano di tenere ancora in sella Temer in attesa di un altro cavallo su cui puntare. Il governo Temer – composto da tutti uomini bianchi, anziani e ricchi – è sempre più impresentabile. Il presidente potrebbe passare alla storia come primo capo di Stato a essere deposto per un reato penale in pieno mandato. Lunedì scorso, la Procura generale lo ha denunciato alla Corte Suprema per corruzione passiva, accusandolo di aver ricevuto milioni di dollari in tangenti e mettendolo a rischio di impeachment.
Per le stesse accuse, il mese scorso era stato sospeso dall’incarico il senatore Aecio Neves, ex candidato presidenziale (di centro-destra) e presidente del Partito socialdemocratico (Psdb), principale alleato del governo. Il giudice della Corte suprema Aurelio Mello lo ha però reintegrato nell’incarico, respingendo anche la richiesta di arresto. “Il mandato parlamentare è una cosa seria e le sue prerogative non possono essere toccate con leggerezza”, ha motivato il giudice, mostrando un riguardo istituzionale ben diverso da quello utilizzato a suo tempo nei confronti di Rousseff, che corrotta non era affatto.
La Procura generale aveva chiesto di procedere contro Neves dopo l’audio diffuso da O Globo in cui si sente Temer avallare la consegna di mazzette per comprare il silenzio di Cunha, fornite dai vertici della grande impresa di carni, Jbs. Sono in corso indagini anche sulla sorella di Neves, Andrea, accusata di aver fatto da intermediaria.
La Proposta di riforma del lavoro, passata al Senato mercoledì scorso, riporta indietro il paese agli anni Venti del secolo scorso e, secondo le opposizioni, contiene almeno 21 elementi che violano la Costituzione: “E’ assurdo votare questa proposta di legge mentre Temer è il primo presidente nella storia del Brasile denunciato per corruzione nel pieno esercizio delle sue funzioni ed è anche indagato per intralcio alla giustizia e associazione a delinquere”, ha detto in apertura di seduta Lindbergh Farias, leader dei senatori del Partito dei Lavoratori (Pt).
Dopo un dibattito di 13 ore, la Commissione di costituzione, giustizia e cittadinanza ha approvato la proposta con 16 voti a favore, 9 contrari e un’astensione. Prima del voto, si è dimesso il senatore Renan Calheiros, uno dei più influenti dirigenti del partito di Temer, il Pmdb. Calheiros ha sostenuto di non poter avallare proposte che danneggiano i lavoratori, tanto più se provengono da un presidente privo di credibilità, nel pieno di uno scandalo per corruzione. Il progetto dev’essere ora approvato, a maggioranza semplice, dal plenum del Senato.
Senza citare lo sciopero generale, Temer ha vantato i meriti della sua gestione e ha dichiarato: “Non bloccheranno la ripresa del paese”.