di Fabrizio Verde http://www.lantidiplomatico.it
Il Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolas Maduro, ha decretato un aumento pari al 40% del salario minimo a partire dal’8 di settembre. La misura è stata annunciata davanti all’Assemblea Nazionale Costituente, dove il presidente ha presentato una serie di leggi volte a contrastare guerra economica, speculazione e inflazione indotta. Le principali piaghe che affliggono il Venezuela.
Con questo aumento, il quarto del 2017, il salario minimo si posiziona a quota 136.544,18 bolivares. Nell’anno in corso vi sono stati ben quattro aumenti salariali: il primo a gennaio, il secondo a maggio, il terzo a luglio e il quarto decretato il 7 di settembre.
In gennaio vi fu un aumento del 50% del salario minimo, portandolo così a 40.638 bolivares; in maggio un ulteriore aumento del 60%, con il salario che si attesta a 65.021 bolivares; mentre l’aumento di luglio, il penultimo, conduce il salario minimo a 97.531 bolivares.
Dal 1999, la Rivoluzione Bolivariana ha realizzato 40 aumenti del salario minimo, 19 sotto la gestione del presidente Maduro. Ai tempi della IV Repubblica, vi furono solo 9 aumenti in 17 anni, nonostante un’inflazione a tre cifre.
Le solite critiche infondate
Basterebbe questo dato a suggerire una mancanza di correlazione tra gli aumenti salariali e le impennate dell’inflazione. Ma per taluni si tratta di una buona occasione per avanzare le solite critiche infondate nei confronti del governo socialista guidato da Maduro.
Come nel caso dell’analista Henkel Garcia, direttore di un’azienda specializzata in consulenza economica e finanziaria, che attraverso il proprio profilo Twitter afferma che «l’aumento salariale è benzina per l’inflazione».
Inflazione problema strutturale
In realtà la situazione è ben diversa. Come spiegato efficacemente dall’economista Alfredo Serrano Mancilla – direttore del Centro Strategico Latinoamericano di Geopolitica – nel suo ‘Manuale di stupidaggini sull’inflazione in Venezuela’, tradotto in italiano da l’AntiDiplomatico.
Scrive Mancilla: «In Venezuela, da diversi decenni, l’inflazione si è costituita come componente strutturale dell’economia. L’inflazione media annua nel periodo 1989-1998 fu del 52,45%. Con l’arrivo del chavismo, questo valore si ridusse significativamente, con l’eccezione degli ultimi anni. Nel periodo 1999-2012, la crescita media annuale dei prezzi fu del 22%. A partire dal 2013 questa tendenza al ribasso scomparve. I prezzi tornarono a crescere con maggiore velocità. L’inflazione giunse al 56,2% nel 2013; 68,5% nel 2014; 180,9% nel 2015».
L’economista continua la sua precisa disamina smontando la tesi principale avanzata dai liberisti: «Per alcuni neoliberisti da manuale (monetaristi) tutto è dovuto al chavismo che utilizza troppo la macchina per stampare bolívares. Questo corrisponde a verità? È tutta colpa dell’emissione monetaria? No. Assolutamente no. Non tutto è dovuto all’aumento degli aggregati monetari. Numericamente è molto semplice dimostrarlo. Basta dare uno sguardo ad alcuni casi per renderci rapidamente conto che non vi è alcuna relazione diretta. È vero che nel 2015 l’inflazione fu elevata (180,9%) così come anche l’emissione monetaria (100,66%). Tuttavia, non è stato sempre così. Osserviamo l’anno 2006: con maggiore creazione di denaro (104,34%), l’inflazione fu relativamente bassa (17%). Oppure guardiamo l’anno 1996, prima dell’avvento del chavismo al potere, l’inflazione giunse al 103% con una crescita della massa monetaria del 55%. Comunque si guardi la questione, non vi è alcuna relazione semplicistica tra prezzi e denaro in circolazione».
Perché il loro vero obiettivo è colpire la classe lavoratrice. Serrano Mancilla spiega che «l’altro grande mantra è incolpare direttamente i lavoratori. Sarà vero che l’incremento salariale causa inflazione come afferma il manuale di stupidaggini del neoliberismo? Assolutamente falso. Ancora meno nel caso venezuelano. Gli aumenti salariali decisi dalla Rivoluzione Bolivariana in quest’ultimo periodo di tempo sono andati dietro ai prezzi. Hanno rincorso l’inflazione per non causare una perdita del potere d’acquisto. Questa spirale ha una determinata sequenza: prima, l’incremento dei prezzi, successivamente, gli aumenti salariali. Affermare il contrario è assolutamente falso; sarebbe ingiusto colpevolizzare il lavoratore per l’aumento dei prezzi. Implicita è l’intenzione di applicare la ricetta neoliberista: riduzione dei salari per abbassare la domanda, e quindi, controllare l’inflazione».
Da questo punto di vista l’esempio europeo è paradigmatico.