di Geraldina Colotti http://www.lantidiplomatico.it
Subire o contrattaccare cercando di aprire nuove strade? Anche questa volta, il socialismo bolivariano sceglie la seconda via, rilanciando il proposito di Chavez: “Aqui no se rinde nadie”, qui nessuno si arrende. Certo, la partita è difficile e il terreno su cui resistere impervio, ma il gioco vale, per loro e per noi. D’altro canto, le ultime mosse effettuate sembrano aver sortito l’effetto sperato.
Dopo quattro mesi di attacchi violenti portati dalle grandi consorterie internazionali con tutta l’artiglieria pesante dei media di guerra, all’interno e all’esterno del paese, la tanto vituperata proposta dell’Assemblea Nazionale Costituente (Anc) ha disinnescato la sovversione, smascherandone l’inconsistenza politica.
Dopo tanti strepiti e schiamazzi e 121 morti – una trentina dei quali bruciati vivi dai “pacifici manifestanti” – gran parte dell’opposizione ha deciso di presentarsi alle elezioni regionali. Si è chiamata fuori solo la pasdaran Maria Corina Machado con il suo gruppo Vente Venezuela, alla quale va senz’altro il merito di una coerente monomania: fare di Caracas una succursale di Miami, cacciando con la forza Maduro come già tentato con Chavez. Per i “puputoviani” – inventori della “bomba di escrementi”, lanciata durante i recenti scontri – la coerenza non è mai stata determinante. I loro sostenitori sono abituati alle piroette, portate al diapason dopo la vittoria di Maduro su Capriles nell’aprile del 2013.
Appena arrivate in Parlamento, le destre hanno promesso di “cacciare Maduro in sei mesi” e hanno dato la guazza ai loro committenti. Pur sapendo che il Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), deputato a vigilare sull’equilibrio di cinque poteri di cui si compone la costituzione bolivariana, le avrebbe cassate, hanno approvato subito alcune leggi liberticide, sul modello di Brasile e Argentina, che oggi sono nuovamente preda di governi neoliberisti: la legge su lavoro e pensioni e quella che avrebbe svenduto alle immobiliari l’edilizia popolare (quasi due milioni di case ammobiliate assegnate gratuitamente al popolo).
Uno scontro di poteri tutto rivolto all’esterno, basato sull’equivoco che il Parlamento e la democrazia rappresentativa modello Fondo Monetario Internazionale fosse la chiave per decidere in un paese che invece si basa sulla “democrazia partecipativa e protagonista”: sulla partecipazione popolare quanto più diretta, insomma, e non chiamata in causa solo ad ogni elezione. Per questo, la costituzione bolivariana prevede la possibilità di revoca di tutte le cariche pubbliche elette, per mezzo di un referendum revocatorio, possibile a metà mandato. Un altro tasto sul quale le destre hanno cercato di agire sovvertendo le procedure, lanciando come sempre il sasso e ritirando poi la mano.
In quel modo, tra frodi e propaganda, hanno tenuto impegnate le autorità elettorali (Cne), accusando poi il governo di aver voluto rinviare le elezioni dei governatori, previste per l’anno scorso. Se il Cne avesse fissato le regionali anziché seguirli nei loro propositi di referendum revocatorio, lo avrebbero accusato di boicottaggio. Tutto questo in un clima di guerra economica e di penuria indotta, acuita dalla drastica caduta del prezzo del petrolio (da oltre 100 dollari al barile a quasi 30); e nel moltiplicarsi degli attacchi negli organismi internazionali, condotti soprattutto dal pasdaran degli Usa nell’Organizzazione degli Stati americani (Osa), Luis Almagro.
Una battaglia di codici, regole e procedure appassiona e divide il paese bolivariano da quando, con la vittoria di Chavez (1998), le forme della democrazia non vengono considerate più un fatto rituale o semplicemente procedurale. Da allora, l’esercizio democratico del voto, in Venezuela, è servito al chavismo per far crescere la coscienza delle masse, includendole nell’esercizio del potere e della rappresentanza: non per controllarle e narcotizzarle, come avviene nelle cosiddette “democrazie avanzate”. La politica ha così permeato la vita quotidiana dei settori tradizionalmente esclusi dalla sfera pubblica, ha creato quella “polarizzazione” che in Italia si vede ormai solo per le squadre di calcio.
E così, durante la malattia di Chavez, dall’Amazzonia al centro di Caracas, tutti hanno discusso con proprietà di quegli articoli della Costituzione che avrebbero consentito o impedito che il presidente venisse sostituito dal suo vice (Maduro). Nelle strade e in Parlamento, ci si accalorava su tempi e modi di convocare nuove elezioni. Allo stesso modo, nel pieno dello scontro di poteri con il Parlamento governato dalle destre, si è discusso e partecipato, riempiendo i teatri su questioni che, in Italia, avrebbero animato solo pochi specialisti. E così, quando il Primo maggio di quest’anno Maduro ha lanciato la proposta di Assemblea Costituente, ne ha discusso il paese intero. E per l’Anc sono andati a votare in massa: oltre 8 milioni di persone.
Una partecipazione inedita e anche eroica, che ha sfidato le minacce del paramilitarismo “guarimbero”. Si è recata a votare anche moltissima gente di opposizione, esasperata da una situazione di “guerra” che non riusciva più a gestire. Storicamente, si sa, la borghesia si serve del fascismo, ma poi, quando la situazione diventa ingestibile, se ne ritrae.
Una mossa vincente, che ha disinnescato le violenze e rilanciato un nuovo tipo di democrazia popolare rinnovata, quella socialista: non rivolta ai partiti o ai gruppi di potere, ma alla parte cosciente del popolo. Il salto in avanti ha fatto ritrarre alcuni dogmatici della democrazia procedurale, riportando al presente l’acceso dibattito aperto ai tempi da Rosa Luxemburg sul rapporto tra rivoluzione e democrazia. L’apporto più evidente del chavismo al dibattito della sinistra in merito al “socialismo reale” è stato forse proprio l’importanza data alla democrazia e alla partecipazione popolare nella costruzione del socialismo. Anche per questo, nonostante 4 mesi di attacchi violenti, al contrario di quanto denuncia la propaganda conservatrice, non vi è stata una repressione corrispettiva, come invece sarebbe avvenuto in Europa e negli Usa.
Tuttavia, nel suo voler procedere verso il socialismo, il chavismo delle origini sta facendo la muta, continuando a fare esperienza sul campo. Maduro ha così rimesso il mandato non alla maggioranza della popolazione, ma nelle mani dell’Anc: ossia nelle mani di quella parte cosciente del popolo sovrano che vuole continuare a decidere del proprio destino. Le deliberazioni dell’Anc verranno poi sottoposte a referendum popolare. L’obiettivo non è quello di abolire l’avanzatissima costituzione bolivariana, approvata nel 1999, ma di approfondirne gli elementi di socialismo, per svuotare dall’interno lo Stato borghese.
Un compito titanico contro il quale ha fatto quadrato l’arco di forze conservatrici e reazionarie a livello internazionale, gerarchie vaticane comprese. Ma, intanto, dall’Anc sono già uscite alcune proposte per affrontare i gravi problemi che attanagliano il paese. Problemi strutturali o contingenti, che attengono al piano economico e politico e a quello dell’indipendenza nazionale.
Il 7 settembre, Maduro ha presentato all’Anc il Piano Costituente per la Pace e la Prosperità Economica, nell’intento di potenziare e blindare l’economia colpita dagli attacchi finanziari, e superare il modello petrolifero ereditato dalla IV Repubblica. Innanzitutto, sono stati aumentati del 40% il salario minimo e le pensioni. Secondariamente è stato stabilito un piano di controllo dei prezzi che fissa un tetto massimo per 50 prodotti e beni essenziali. Inoltre, è stato approvato un sussidio per l’inizio dell’anno scolastico, diretto a tre milioni di famiglie non abbienti. A seguire, 8 leggi costituenti fra le quali quella per tassare le grandi fortune ottenute con la guerra economica, per rinegoziare il debito con i detentori di buoni Pdvsa dopo il blocco economico-finanziario imposto da Trump e per regolare gli investimenti esteri.
La decisione più eclatante è stata però quella di disporre un nuovo sistema di pagamento internazionale basato su più ampio numero di monete – tra cui quella cinese e quella russa – per ridurre il potere del dollaro e reagire alle sanzioni Usa. Un’impennata d’orgoglio che potrebbe fare scuola. Forse, tra le monete considerate vi sarà anche l’euro, ma a condizione – ha avvertito Maduro – che l’Europa non metta in atto la minaccia di sanzioni preannunciata: perché, intanto, continua l’offensiva delle destre venezuelane per convincere anche l’Europa a mettersi nello stesso cammino degli Usa.
Il presidente del Parlamento, Julio Borges (Primero Justicia) e il vicepresidente, Freddy Guevara (Voluntad Popular) sono stati ricevuti da Merkel in Germania, da Rajoy in Spagna, da Macron in Francia e da Theresa May in Gran Bretagna. E un altro attacco è partito dal Consiglio dei Diritti umani dell’Onu, a Ginevra. L’Alto commissariato, diretto dal giordano Zeid Ra’ad Al Hussein vuole mettere sotto inchiesta il governo bolivariano per possibili “crimini contro l’umanità”. Il Venezuela è uno dei 47 Stati membri del Consiglio dei Diritti umani, rappresentato da Jorge Valero.
A difendere la “verità del Venezuela” è andato a Ginevra il vicepresidente Jorge Arreaza, che ha accusato Zeid di “comportamento selettivo, parzializzato e politicizzato” e ha esposto i dati relativi ai 4 mesi di violenze oltranziste. Arreaza, il cui paese presiede il Movimento dei Non Allineati, ha ringraziato i vari rappresentanti permanenti del Mnoal che gli hanno mostrato solidarietà e ha ribadito che il suo governo persegue ancora il dialogo con l’opposizione, ma nel rispetto della Costituzione e senza ingerenze esterne. E, in Venezuela, si è svolta una grande manifestazione in difesa della sovranità nazionale, a 44 anni dal colpo di Stato contro Salvador Allende in Cile, 11 settembre 1973.