Libertà è una parola con un significati relativi.
Fidel e gli assaltanti della Moncada non furono liberi fino al primo gennaio del 1959, quando videro la loro Patria redenta dagli orrori del passato; così come non si può sentire libero oggi il combattente indipendentista di Portorico, Oscar López Rivera, quando liberato dal carcere degli Stati Uniti dove restò prigioniero 36 anni ha visto che questa sua terra necessita quella lotta –quella che secondo Karl Marx definisce la storia dell’umanità- oggi più che mai.
Senza dubbio, uno lo vede giungere al XIX Festival Mondiale della Gioventù e gli Studenti e circondarsi di giovani cubani, ecuadoriani e di altre parti del mondo che si avvicinano per regalargli un abbraccio o una frase di ringraziamento e appoggio e sembra per un istante che Oscar si senta felice, un tanto libero, più impegnato che mai a condividere le sue esperienze con le nuove generazioni per far sì che la storia non si dimentichi, non si ripeta.
La difesa degli interessi collettivi si trova per quest’uomo- come per il Che- davanti a tutto, e per questo con il dolore che rappresenta per il suo paese la storia dei 119 anni di colonialismo, dichiara che “Un governo rappresentato dal signor Donald Trump solo dimostra a che punto s’incontra l’imperialismo oggi, cosa si propone di fare, specialmente con Cuba, Portorico, i Caraibi e tutti i paesi latinoamericani. Per questo riguarda tutti ma specialmente i giovani, combattere questa lotta contro l’imperialismo”.
“Oggi, come potete leggere sulla mia maglietta, c’è un messaggio sull’assassinio che si sta commettendo contro il popolo di Portorico.
Il presidente degli Stati Uniti dopo il passaggio dell’uragano Maria è venuto a Portorico come un pagliaccio per parlare agli abitanti nel modo più indignante e insensibile che possiamo immaginare », ha detto sulla visita che il mandatario nordamericano ha realizzato di recente nella nazione portoricana e che è stato riportato da tutti i media per le sue dichiarazioni umilianti e la sua immagine mentre lanciava carta igienica ai danneggiati.
“Il popolo portoricano sta lottando duramente per vivere con un pochino di dignità dopo l’uragano. Indubbiamente sono gli Stati Uniti che controllano Portorico. Non chiediamo un corpo militare di 10000 uomini. Noi necessitiamo persone che siano disposte a lavorare per il futuro della nazione».
Vicino allo stand di Cuba gli si avvicina un giovane e gli parla delle lettere che gli inviava in prigione, della sua lotta perché lui recuperasse la libertà.
Oscar ringrazia con umiltà e affetto. Ed è che per lui «il mondo intero dipende dalla gioventù, è il futuro di tutta la società».
«Tutti i paesi dell’America Latina devono fare il possibile per eliminare dai nostri popoli il nemico comune, perché l’imperialismo non può funzionare senza l’aiuto di quelle elite che si beneficiano di lui…
Voi siete qui e denunciate con grande chiarezza quello che è l’imperialismo. Per esempio il blocco che impone a Cuba e il colonialismo che affrontiamo noi portoricani, che pretende sradicarci dalla faccia del pianeta, perché il colonialismo distrugge e disumanizza ».
Oscar López Rivera ha trovato un sorpresa nel Main Media Center di Sochi: il suo amico di cella ed Eroe della Repubblica di Cuba, Fernando González Llort, e insieme si sono uniti in un caldo abbraccio con Elián González.
«Molto amore e gratitudine da parte di tutti i portoricani che amiamo la giustizia e la libertà e che amiamo Cuba. In Portorico si prova molto amore per Cuba. voglio che il popolo cubano si senta sicuro che staremo con lui fino all’ultimo respiro», ha assicurato il leader portoricano ed ha confermato il suo viaggio il prossimo 12 novembre nell’Isola più grande delle Antille.
«Quello che desidero è abbracciare il popolo cubano», ha concluso.