Marco Teruggi – teleSUR
Il chavismo ha conquistato la sua terza vittoria elettorale in meno di quattro mesi. Nuovamente, in maniera schiacciante.
Le prime furono le elezioni per l’Assemblea Nazionale Costituente (ANC), il 30 luglio, poi per i governatori, il 15 di ottobre e, infine, questo 10 dicembre, dove, secondo quanto affermato dal presidente Nicolás Maduro, ha conquistato 300 municipi su 335.
Come si spiegano questi risultati? L’argomento delle opposizioni e dei suoi alleati internazionali è sempre lo stesso: brogli. Si tratta di un pulsante automatico che viene schiacciato dopo ogni risultato avverso. La mancanza di credibilità di questa accusa viene dal comprovato meccanismo elettorale, e dall’opposizione stessa, quando una parte della destra, quella che vince, riconosce i risultati e un’altra, quella che perde, non lo fa. È noto nelle dinamiche del conflitto venezuelano che questo è sistematico e senza fondamento.
Le risposte dovrebbero essere cercate nel modo in cui ciascuna delle forze è arrivata alle elezioni. L’opposizione lo ha fatto con diversi elementi contro di essa, e con quella capacità unica di spararsi sui piedi. Per prima cosa, una parte importante, in particolare i partiti principali, hanno deciso di non partecipare. Ciò non significa che la destra non abbia partecipato, ci sono sindaci di opposizione che hanno vinto. Erano senza molte delle loro figure con maggiori possibilità, vi sono stati dissidi pubblici, accuse di tradimenti incrociati, diversi candidati nello stesso municipio. L’immagine era quella di una forza in crisi, con i generali che si confrontavano.
Questo scenario è andato materializzandosi dopo la sconfitta sofferta con l’elezione della ANC, che ha provocato la rottura della Mesa de la Unidad Democrática, in un quadro di demoralizzazione della sua base sociale che ha anche iniziato a lanciare accuse di tradimento verso i dirigenti. Questo ha portato alla sconfitta nelle elezioni regionali – il fallimento politico ha un effetto domino – ed ha acutizzato il già evidente smarrimento strategico. I partito principali, in quattro mesi, sono passati dagli appelli a spodestare il governo attraverso la violenza di piazza, al presentarsi alle elezioni, e infine astenersi. Il risultato di domenica era prevedibile.
Questa incapacità dell’opposizione riafferma a sua volta un elemento chiave per pensare lo sviluppo del conflitto venezuelano. Dopo diciotto anni di processo rivoluzionario, la destra non è stata in grado di conformarsi come alternativa per la maggioranza della popolazione. La sua mancanza di credibilità è nel punto di maggiore evidenza. Sono riusciti a dilapidare, nel giro di mezzo anno, il capitale politico accumulato. Si incamminano verso le elezioni presidenziali in modo disunito, consunto, con tre tentativi insurrezionali infruttuosi e quattro elezioni perse durante il mandato di Nicolás Maduro. Hanno ottenuto una singola vittoria elettorale, a dicembre 2015, che non sono riusciti a gestire.
La situazione in cui si trova l’opposizione è il prodotto dei propri errori – che sono anche, in alcuni casi, frutto degli ordini emessi dagli Stati Uniti – e della capacità politica del chavismo, che è riuscita a uscire da una situazione di stallo che sembrava averlo ricacciato in un angolo. Questa ripresa dell’iniziativa, che si materializza con il terzo risultato elettorale in 133 giorni, ha diverse ragioni. Una di queste è che l’unità è stata mantenuta. Mentre l’opposizione era sempre più divisa, il chavismo ha mantenuto la figura di Nicolás Maduro come leadership consolidata e presentato candidature unitarie nella maggior parte dei luoghi, sia a livello regionale che comunale.
Un’altra ragione è la coerenza discorsiva. Il chavismo non è mai caduto nella provocazione dello scontro di piazza promosso dalla destra tra aprile e luglio. La proposta era sempre quella della risoluzione elettorale, e in questo modo è stato possibile spegnere la violenta escalation e mantenere il potere politico. Unità e strategia contro lotta interna e deliri strategici.
Un’altra ragione può essere cercata nella rivoluzione accumulata. Così come la destra non riesce a configurarsi come alternative per le masse, il chavismo ha uno dei suoi punti di forza nella dimensione identitaria nelle classi popolari. Il chavismo è molto di più che la dirigenza e le diverse mediazioni con i successi e gli errori, è un’esperienza politica, di vita, organizzativa, che viene da un parte del popolo venezuelano, e consente di affrontare le contese elettorali con una base che la destra non possiede. C’è una consapevolezza del momento storico, della posta in gioco, di quello che può essere perduto in caso di una sconfitta elettorale.
Lì si possono trovare alcune delle ragioni di questa terza vittoria elettorale, in una fase in cui molti analisti hanno affermato e ribadito che qualsiasi confronto alle urne avrebbe portato irrimediabilmente a una sconfitta dei chavisti. Un trionfo che si verifica nel momento di maggiori difficoltà economiche del paese. Una situazione che non dovrebbe essere vista isolatamente dal quadro politico: l’approfondimento dell’attacco all’economia cerca di condizionare il voto, generando scenari che l’incapacità dell’opposizione non riesce a raggiungere. Esistono relazioni dirette tra il dollaro illegale, aumenti dei prezzi, penuria e giornate elettorali.
Adesso il chavismo ha una sfida immensa e urgente: stabilizzare l’economia, fermare la regressione materiale che lancia immagini di un paese in cui le azioni di vita quotidiana sono diventate battaglie per la maggioranza della popolazione. Questo significa rafforzare le alleanze internazionali, per evitare il soffocamento che il governo degli Stati Uniti e i suoi alleati cercano di imporre. Recuperare l’efficacia del governo sull’economia e affrontare i nemici interni della rivoluzione. Uno di questi è la corruzione che, come dimostrano le indagini, aveva sequestrato l’industria petrolifera e parte del meccanismo di importazione, cioè i polmoni dell’economia.
Vincere le elezioni significa la possibilità di continuare con il progetto storico. Un nuovo passo è stato mosso in questa direzione. E non solamente in un contesto di di avversità interne, ma in un momento dove le destre nel continente, subordinate agli Stati Uniti, cercano di recuperare il terreno perduto e mostrano, come nel caso dei brogli elettorali in Honduras, fino a dove sono disposti a spingersi. Avere ottenuto una nuova vittoria elettorale è quindi immenso, è una lezione di politica, un esempio per le lotte che la rivoluzione venezuelana può dare.
(Traduzione dallo spagnolo de l’AntiDiplomatico)