«Volevano mettere una bomba nell’Ambasciata di Cuba», ha detto di recente Diosdado Cabello, primo vicepresidente del PSUV, riferendosi ai piani di una cellula terrorista disattivata questa settimana nella nazione bolivariana Il dirigente del Partito Socialista Unito del Venezuela (Psuv), durante il
suo programma settimanale «Con el Mazo Dando» trasmesso da VTV, ha rivelato anche che pianificavano di realizzare l’attacco con un’auto bomba.
Cabello ha confermato così una notizia che circolava da giorni nelle reti sociali e in vari portali di notizie.
Durante la presentazione della sua relazione annuale davanti all’Assemblea Costituente, Maduro ha affermato che il gruppo guidato da Oscar Pérez stava organizzando un attacco «contro l’ambasciata di un paese a noi caro e prestigioso, che ha qui la sua rappresentazione (in Venezuela)», senza offrire altri dettagli.
Granma ha saputo che le autorità venezuelane hanno rinforzato la sicurezza della sede cubana, che funziona con totale normalità.
Il Primo Vicepresidente del Psuv ha aggiunto nel suo programma che «il terrorismo va condannato in tutte le sue forme, e non ci sono terrorismo buono e terrorismo cattivo».
Cabello si è riferito a un fatto accaduto alcuni giorni fa, quando gli agenti di sicurezza hanno disarticolato il gruppo terrorista che aveva attaccato l’anno scorso le sedi del Tribunale Supremo di Giustizia e del ministero per le Relazioni Interne, Giustizia e Pace, situate nella capitale venezuelana.
Durante lo scontro sono stati abbattuti sette membri della cellula, tra i quali Pérez, che si faceva chiamare “capo” del gruppo criminale.
NON È LA PRIMA VOLTA
Questa non è la prima volta che tentano di commettere azioni violente contro la sede diplomatica dell’Isola in Venezuela, perchè durante il colpo di Stato del 2002 contro l’allora mandatario Hugo Chávez avvenne un incidente detestabile.
Con il falso pretesto che nell’ambasciata si trovavano rifugiati seguaci di Chávez, vari personaggi della destra venezuelana tentarono di violare la sede e violare i diritti che la custodiscono, secondo la Convenzione di Vienna.
Una turba pagata commise varie azioni violente, distrussero automobili, tirarono pietre e parti dei veicoli dentro l’installazione, attaccarono le porte e tagliarono i servizi di acqua e di luce, tutti fatti che furono trasmessi dalle imprese private di comunicazione che appoggiavano il colpo di Stato.
L’allora sindaco del municipio di Baruta e due volte candidato presidenziale, Henrique Capriles Radonski, non contribuì alla protezione del personale diplomatico cubano, ma cercò d’intimorire l’allora ambasciatore cubano in Venezuela, Germán Sánchez Otero.
In un momento determinato dell’assedio, si permise di entrare nell’edificio ai detti «negoziatori» per mezzo di una scala a forbice, con l’autorizzazione del Comandante in Capo Fidel Castro.
Senza dubbio dopo le insistenze di Capriles di controllare l’ambasciata per determinare se l’allora vicepresidente Diosdado Cabello si trovava lì, i cubani troncarono le pressioni.
«Loro erano venuti per provocare e se ne sono andati con la coda tra le gambe. Di fronte alla nostra ferma e irremovibile posizione, il sindaco e i suoi accompagnatori si videro obbligati ad uscire dall’ambasciata», racconta Sánchez Otero nel suo testo “Aggressione all’ambasciata di Cuba. Cronaca di un piano sincronizzato.”
Dopo il ritorno di Chávez a Miraflores, tutto tornò alla normalità e un gruppo di persone festeggiò il ritorno del leader venezuelano e andò all’ambasciata in un’azione di solidarietà.
Capriles fu assolto da tutte le accuse relazionate all’attacco all’ambasciata: danni alla proprietà, violenza privata e violazione di domicilio, perché secondo la giudice del caso non erano state presentate prove sufficienti.
Le azioni violente contro qualsiasi sede diplomatica costituiscono una violazione al diritto internazionale che considera le installazioni diplomatiche come territorio del paese rappresentato, e oggetto d’immunità.