di Geraldina Colotti*
Contro il Venezuela e il suo presidente, Nicolas Maduro, si esercitano tutti i governi capitalisti, in America latina e in Europa. I poteri forti azionano tutte le loro pedine, mostrando la portata della posta in gioco. Dall’Italia, le bordate partono da una classe politica imbelle e da un centrosinistra subalterno ai voleri di Washington, che in questi anni ha spesso cambiato i simboli sulle schede elettorali, ma non le politiche di impoverimento dei settori popolari. In questi giorni è scesa in campo anche la massoneria italiana per sostenere la Gran Loggia Sovrana degli ALAM del Venezuela. I massoni hanno chiesto al governo italiano – già accodato in Europa alle sanzioni decise da Trump – di intervenire “per riappacificare il Venezuela”.
La massoneria, il partito internazionale del capitalismo, ha le sue logge in diversi paesi e a dirigerle sono imprenditori-miliardari, in un intreccio occulto tra affari e politica. E spiccano gli italiani. A riprova della pericolosità e dell’influenza che hanno avuto le logge massoniche sulla politica italiana, vale ricordare il ruolo del faccendiere Licio Gelli, morto nel 2015.
A partire dal 1970, Gelli è stato a capo della loggia massonica segreta denominata P2, che ha giocato un ruolo nei principali scandali e nelle principali vicende eversive del secolo scorso: dai tentati golpe fascisti alla strage di Bologna, all’operazione Gladio (una sorta di piano Condor italiano). Gelli, i fascisti e i servizi segreti affiliati alla P2, hanno sostenuto le operazioni criminali dei dittatori latinoamericani, in particolare quelle di Videla e soci in Argentina, di cui il “venerabile” era amico, tanto che gli hanno procurato i documenti falsi per la fuga quando ne ha avuto bisogno.
La figura di Gelli e il suo operato rimandano allo scontro senza quartiere che si è svolto nel grande Novecento tra il comunismo e le forze della reazione, risultate poi vincenti anche in Italia. E si sa che le classi dominanti quando vincono riscrivono la storia a proprio uso e consumo, per riportare il conflitto nel recinto e far credere che non possa esistere un altro mondo fuori da quello del profitto e delle guerre imperialiste. E così, alle giovani generazioni che provano a rimettere mano al conflitto sociale, viene imposto un bilancio distorto e demonizzato che loda gli oppressori e i traditori e condanna quelli che hanno provato a sconfiggerli.
Anche per questo, l’esempio che arriva dal Venezuela bolivariano in cui gli ultimi hanno ripreso in mano la bandiera della dignità, fa paura. Fa paura che il socialismo bolivariano abbia saputo trarre forza dallo scontro di classe precedente, rendendo onore ai protagonisti di quella stagione di lotta: agli oppositori e ai guerriglieri che hanno combattuto le “democrazie camuffate” durante la IV Repubblica, a cui l’opposizione venezuelana e i suoi sostenitori italiani vorrebbero tornare.
Cosa siano state le democrazie puntofijiste lo sa bene il deputato del Psuv Fernando Soto Rojas, oggi costituente dell’Anc, ex guerrigliero. Soto ha perso un fratello in quello scontro: uno dei “desaparecidos” buttati giù dagli aerei o fatti scomparire dopo essere stati torturati nei centri di detenzione clandestini. Lo abbiamo intervistato a fine anno a Caracas, in uno degli incontri del sabato a cui partecipano molti ex guerriglieri e vecchi militanti come l’editore Manuel Vadell, la comandante Nancy Zambrano e Monica Venegas.
Una lunga storia quella di Fernando Soto Rojas…
Sì, oltre 65 anni di lotta guerrigliera, clandestina o aperta, qui in Venezuela e con la rivoluzione cubana e con i palestinesi. Una lotta di lunga durata che non è conclusa. Siamo qui per concludere l’anno che è stato fondamentalmente positivo ma anche difficile e complesso, per il Venezuela e per il continente. In un periodo di crisi strutturale del sistema capitalistico, a capo dell’imperialismo yankee è arrivato il presidente Trump che, in pieno secolo 21, mentre già si è rotta virtualmente la cosiddetta unipolarità yankee, pretende di essere giudice e gendarme del mondo. Ma il mondo è cambiato, siamo in presenza di una realtà multicentrica e multipolare. Il Venezuela è stato messo sotto assedio, sia dall’interno che a livello internazionale, tuttavia possiamo dire che il 2017 è stato un anno vittorioso: perché finalmente abbiamo messo uno stop al terrorismo e alle guarimbas con l’Assemblea nazionale costituente e i suoi dieci punti programmatici che hanno riportato la pace nel paese. Abbiamo obbligato l’opposizione a dialogare, mostrando che la Mud non ha un programma alternativo, ma un progetto subordinato alla direzione economica finanziaria e ideologica degli Stati uniti.
I dieci obiettivi strategici approvati dall’Anc indicano che il cammino verso il socialismo bolivariano del secolo 21 è il nostro obiettivo storico. Il nostro compito è quello di costruire la repubblica bolivariana, che è una repubblica libera da tutti i condizionamenti e dallo sfruttamento che la borghesia continua a esercitare sullo stato bolivariano, uno stato che non esprime ancora il progetto voluto da Chavez. Per questo abbiamo l’Anc, il presidente Nicolas Maduro, un popolo sempre più cosciente, la Forza Armata nazionale bolivariana e anche una serie di condizioni favorevoli. Siamo in presenza di una crisi rivoluzionaria dei poteri che può definire non solo il destino del Venezuela e quello del continente, ma anche le speranze del mondo. La vittoria alle elezioni presidenziali del 2018 può farci avanzare verso una società democratica e stabile in Venezuela, nel continente e nel mondo. Da qui la disperazione del signor Trump, perché quando esaminiamo gli ultimi 25-30 anni vediamo che non c’è società nel segno del capitalismo che abbia una certa credibilità politica e sicurezza sociale. In Venezuela non sarà possibile tornare ai tempi di Perez Jimenez, né finire come in Iraq o in Libia. Gli Usa possono imporre o pilotare vittorie elettorali e installare governi con la frode, come in Brasile o in Honduras, ma non possono garantire stabilità e sanno di essere in crisi terminale. Anche da noi, l’Assemblea nazionale si sta dissolvendo da sola. Tuttavia, anche se il 2017 si può considerare un anno positivo, la vittoria non è stata totale, dobbiamo perseverare verso “unità, lotta, battaglia e vittoria”, come diceva Chavez.
Perché queste riunioni del sabato, qual è il peso di questa componente rivoluzionaria nel proceso bolivariano?
Qui ci sono combattenti per la libertà e per l’indipendenza, hanno un peso morale perché hanno subito tortura e carcere, per questo siamo un referente morale. La gente ci guarda con molto rispetto, ma non possiamo vivere di gloria come diceva Ali Primera, dobbiamo discutere e agire per il nostro popolo. La linea è quella di avanzare nell’unificazione programmatica di tutti i lavoratori, non solo di ottenere sussidi e “cesta ticket”.
Tu hai partecipato alla stesura della Ley contra el Olvido e ai lavori della Commissione per la verità sui crimini della IV Repubblica, il cui rapporto è stato presentato dalla ex Fiscal General Luisa Ortega Diaz, oggi fuggita all’estero. Quali sono stati i risultati dell’indagine?
Nonostante il boicottaggio compiuto dalla ex Fiscal General, il Rapporto ha visto la luce. Tutte le testimonianze dimostrano che il puntofijismo, dal 1959 al 1998, ha sviluppato una politica di stato non democratica ma criminale basata su tre tipi di delitto: tradimento all’indipendenza del paese, corruzione amministrativa e repressione. Vi sono stati morti, scomparsi, torturati. Dati incontestabili come dimostrano le 800 pagine del rapporto conclusivo pubblicato in volume.