Giornalismo e Rivoluzione

Quale ruolo disimpegna il giornalismo nella costruzione di una credibile egemonia dell’ideologia rivoluzionaria?

Ricardo Ronquillo http://www.cubadebate.cu

Cosa è più importante in una società moderna e interconnessa: la prevalenza di un ampio sistema di proprietà pubblica dei media o la fiducia dei destinatari? Il tipo di proprietà dei media garantisce, di per sé, la molto controversa credibilità? Queste, come altre, sono tra le domande che dobbiamo porci nella Cuba che ha iniziato il cammino verso l’attualizzazione del suo modello di socialismo.

O forse, la domanda, dovrebbe essere formulata in altra maniera: garantisce il monopolio della proprietà pubblica dei media, la credibilità, le influenze, l’ autorità?

Il grado di esposizione pubblica e le informazioni esistenti, oggi, richiede che il discorso, per essere effettivo, si legittimi da sé davanti all’opinione pubblica.

Il Dottore in Scienze della Comunicazione Julio Garcia Luis sostiene che, naturalmente, ci sono monopoli sul discorso mediatico, grandi monopoli, parte di una grottesca tirannia, con diverse scale, locali, regionali, mondiali; ma questi sussistono per la loro apparente porosità, per la loro capacità di mimetizzarsi, per la loro finta indipendenza dal potere reale. Il difficile, tuttavia, sarebbe oggi un monopolio con pretensioni ermetiche come quelli già noti.

Egli ha aggiunto che l’ideologia, realizzata o meno attraverso il discorso, è ciò che permette percepire il mondo, -con cristalli deformanti o con nitidezza-; è ciò che permette organizzare il potere e l’esercizio dell’egemonia, ed è ciò che dà la capacità di controllo sui fattori della società.

Nel caso cubano, ha detto, tale controllo non può sostenersi sull’inganno, sulla manipolazione di simboli, ma nell’appropriata informazione, interpretazione, persuasione e convinzione della grande maggioranza protagonista, in ultima analisi, del pubblico.

Le reti sociali, il giornalismo cittadino, tra altri fenomeni, stanno cambiando radicalmente le forme tradizionali in cui si formava la cosiddetta opinione pubblica ed i consensi.

Cosicché altre domande dobbiamo porci sono: come si costruisce i consensi nella società dell’informazione in cui ci addentriamo inesorabilmente? quale ruolo disimpegna il giornalismo nella costruzione di un’autentica e credibile egemonia dell’ideologia rivoluzionaria? Come i sistemi di comunicazione possono appropriarsi dei nuovi strumenti per avanzare verso forme più democratiche e partecipative? Come garantire una maggiore autorità e influenza di fronte al pubblico, che tende ad atomizzarsi?

Il certo è che il sistema di comunicazione pubblica di Cuba è sfidato dal riproporre la sua autorità di fronte al pubblico, sulla base della sola cosa che la garantisce: la credibilità; qualcosa solo possibile non solo con un cambio nel modello di stampa, ma di tutto il modello comunicativo della società, e con una concezione veramente rivoluzionaria che ponga la stampa come parte delle forme di controllo popolare.

Le inchieste degli ultimi anni dimostrano che questa debolezza strutturale ha diverse dimensioni, e quindi ciò di cui si tratta nella nuova congiuntura è di considerare un cambio strutturale, come è stato corroborato nell’ultimo congresso dell’Unione dei Giornalisti e nei successivi incontri professionali e politici.

Per superare queste tendenze abbiamo, oltre a formati professionisti, la forza di una tradizione giornalistica e rivoluzionario sedimentata dalla più profonda vocazione di servizio, ereditata dai fondatori della nazione, tra cui Padre Félix Varela, che all’affrontare il ruolo e la portata del giornalismo disse: “Io rinuncio al piacere di essere applaudito per la soddisfazione di essere utile alla patria”. Il suo geniale e fedele seguace José Martí riteneva che la stampa dovesse essere il cane da guardia della casa patria: “Deve disobbedire agli appetiti del bene personale e servire, in modo imparziale, il bene pubblico”.

Tale legato dovrebbe anche servire per gli abituati all’apologia, ai silenzi e distorsioni che mai sono mancate nel complesso cammino della costruzione del socialismo.

Ci sono ragioni fondamentali per considerare la non percorribilità di continuare con il modello di giornalismo di dipendenza istituzionale e di riaffermazione che di regola ha prevalso fino ad oggi, e cresciamo verso un altro di confronto delle migliori idee rivoluzionarie.

Il giornalismo verticistico e di riaffermazione, anche se ha consentito forgiare gli ampi consensi che ha richiesto il paese contro l’aggressione dei governi USA, ed a strutturare un modello di società per alcune condizioni storiche molto concrete, ha distorto le funzioni di contrappeso ed equilibrio dei media, che si è verificato al pari delle altre strutture di confronto democratico del paese.

Ciò si verifica quando la Rivoluzione attualizza il suo modello economico, come primo passo verso graduali trasformazioni, sulle quali, come già facciamo – non senza difficoltà ed incomprensioni- ci corrisponde la responsabilità storica di contribuire a creare i necessari consensi politici e la vigilanza professionale, per evitare che si distorcano i loro traguardi.

Non possiamo ignorare che la Rivoluzione sta per entrare nella sua più dura prova del fuoco: il cambio della generazione storica, mentre i media cubani cediamo, gradualmente, anche se inesorabilmente, il monopolio delle influenze, come risultato dell’auge delle nuove tecnologie.

In questo riadattamento, la stampa pubblica cubana deve avere il cammino sgombro per sostenere il dibattito civico ed il contraccolpo. rivoluzionario.

da http://www.juventudrebelde.cu


¿Qué papel desempeña el periodismo en la construcción de una creíble hegemonía de la ideología revolucionaria?

Por: Ricardo Ronquillo

¿Qué es lo más importante en una sociedad moderna e interconectada: la prevalencia de un amplio sistema de propiedad pública de los medios o la confianza de los destinatarios? ¿El tipo de propiedad de los medios garantiza de por sí la tan disputada credibilidad? Estas, como otras, están entre las preguntas que debemos hacernos en la Cuba que inició el camino hacia la actualización de su modelo de socialismo.

O tal vez debería formularse de otra manera la interrogante: ¿Garantiza el monopolio de la propiedad pública de los medios, el de la credibilidad, el de las influencias, el de la autoridad?

El grado de exposición pública e información existentes en la actualidad requiere que el discurso, para ser efectivo, se legitime a sí mismo ante la opinión pública.

El Doctor en Ciencias de la Comunicación Julio García Luis sostenía que, desde luego, hay monopolios sobre el discurso mediático, grandes monopolios, parte de una grotesca tiranía, con diferentes escalas, locales, regionales, mundial; pero estos subsisten por su aparente porosidad, por su capacidad para mimetizarse, por su fingida independencia del poder real. Lo difícil, por el contrario, sería hoy un monopolio de pretensiones herméticas como los ya conocidos.

Agregaba que la ideología, realizada o no por medio del discurso, es lo que permite percibir el mundo —con cristales deformantes o con nitidez—; es lo que permite organizar el poder y el ejercicio de la hegemonía, y es lo que da la capacidad de control sobre los factores de la sociedad.

En el caso cubano, afirmaba, ese control no puede sustentarse en el engaño, en la manipulación de símbolos, sino en la adecuada información, interpretación, persuasión y convencimiento de la gran mayoría protagónica, en definitiva, del público.

Las redes sociales, el periodismo ciudadano, entre otros fenómenos, están cambiando radicalmente las formas tradicionales en las que se conformaba la llamada opinión pública y los consensos.

Así que otras preguntas que debemos hacernos son ¿cómo se construyen los consensos en la sociedad de la información en la que nos adentramos inexorablemente?, ¿qué papel desempeña el periodismo en la construcción de una auténtica y creíble hegemonía de la ideología revolucionaria? ¿Cómo los sistemas de comunicación pueden apropiarse de las nuevas herramientas para avanzar hacia formas más democráticas y participativas? ¿Cómo garantizar mayor autoridad y ascendencia ante los públicos, que tienden a atomizarse?

Lo cierto es que el sistema de comunicación pública de Cuba está desafiado por replantearse su autoridad ante los públicos, en base a lo único que la garantiza: la credibilidad; algo solo posible no solo con un cambio en el modelo de prensa, sino de todo el modelo comunicacional de la sociedad, y con una concepción verdaderamente revolucionaria que ubique a la prensa como parte de las formas de control popular.

Las indagaciones de los últimos años demuestran que esa endeblez estructural tiene diversas dimensiones, y por lo tanto de lo que se trata en la nueva coyuntura es de plantearse un cambio estructural, como quedó fundamentado en el último congreso de la Unión de Periodistas y en sucesivos encuentros profesionales y políticos.

Para superar esas tendencias tenemos, además de profesionales capacitados, la fortaleza de una tradición periodística y revolucionaria sedimentada por la más honda vocación de servicio, heredada de los fundadores de la nación, entre ellos el padre Félix Varela, quien al abordar la función y el alcance del periodismo apuntó: “Yo renuncio al placer de ser aplaudido por la satisfacción de ser útil a la patria”. Su genial y fiel seguidor José Martí consideraba que la prensa debía ser el can guardador de la casa patria: “Debe desobedecer los apetitos del bien personal, y atender imparcialmente al bien público”.

Ese legado debería servir también para los acostumbrados a la apología, los silencios y torceduras que nunca faltaron en el complejo camino de la construcción del socialismo.

Hay razones básicas para considerar la inviabilidad de que continuemos con el modelo de periodismo de dependencia institucional y de reafirmación que como regla prevaleció hasta hoy, y crezcamos hacia otro de confrontación de las mejores ideas revolucionarias.

El periodismo verticalista y de reafirmación, si bien permitió fraguar los grandes consensos que demandó el país frente a la agresividad de los Gobiernos norteamericanos, y a estructurar un modelo de sociedad para unas condiciones históricas muy concretas, distorsionó las funciones de contrapeso y equilibrio de los medios, que ocurrió a la par de la de otras estructuras de confrontación democrática del país.

Esto ocurre cuando la Revolución actualiza su modelo económico, como el primer paso hacia graduales transformaciones, sobre las cuales, como ya hacemos —no sin dificultades e incomprensiones—, nos corresponde la responsabilidad histórica de ayudar a crear los necesarios consensos políticos y la vigilancia profesional, para evitar que se distorsionen sus alcances.

No podemos ignorar que la Revolución está a punto de adentrarse en su más dura prueba de fuego: el relevo de la generación histórica, mientras los medios cubanos cedemos gradual, aunque inexorablemente, el monopolio de las influencias, como resultado del auge de las nuevas tecnologías.

En este reajuste la prensa pública cubana debe tener el camino expedito para apoyar el debate cívico y el contragolpe revolucionario.

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