di Randy Alonso Falcòn (*) da: cubadebate.cu
traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria
Nel mezzo dell’ambiente febbrile che si vive nella Casa Bianca, le recenti nomine del presidente Trump a posti-chiave della sua amministrazione riflettono chiaramente l’accento militarista, di potere forte e di ricatto imperiale che questi sta imprimendo alla politica estera statunitense.
Insieme ai cambi al comando del Dipartimento di Stato e del Consiglio di Sicurezza nazionale, anche il bilancio che Trump ha appena firmato lo scorso venerdì, per quello che resta dell’esercizio fiscale 2018, mostra la preminenza delle politiche della forza sulla diplomazia, nel più classico stile detto “hard power”. Mentre le assegnazioni al Dipartimento della Difesa crescono più di 60 mila milioni di dollari, il bilancio della cancelleria statunitense e dei suoi organi per la diplomazia pubblica è stato tagliato del 32%. Mentre la spesa totale per la difesa, compreso il rinnovamento dell’arsenale nucleare, arriva a 700 mila milioni di dollari, il resto delle spese raggiungerà i 591.000 milioni. Gli Stati Uniti spenderanno in difesa più di quello che spendono i sette paesi che li seguono.
Nel presentare un anno fa la proposta di bilancio 2018, il direttore dell’Ufficio del Bilancio di Trump, Mick Mulvaney, è stato deciso: “Il presidente ha detto che avremmo speso meno denaro per la gente di fuori e più per quella di casa”. “E’ un bilancio di potere duro, non morbido, ed è intenzionale. Questo è il messaggio che vogliamo inviare ai nostri alleati e agli avversari. Questo è un Governo forte e potente”, ha detto in conferenza stampa.
I falchi fanno il nido
In una parodia con i giorni più sinistri dell’amministrazione W. Bush, vecchi e nuovi falchi assumono la conduzione della politica estera imperiale.
Donald Trump ha appena nominato come suo Consigliere alla Sicurezza nazionale il sinistro John Bolton, uno dei principali promotori della guerra in Iraq. Nel 2001 Bolton divenne sottosegretario di Stato per il controllo delle armi, una posizione che prese peso alla vigilia dell’invasione dell’Iraq perchè la giustificazione di Bush per attaccare si incentrava sul presunto possesso di armi chimiche e biologiche da parte di Saddam Hussein, che poi non furono trovate. “Siamo sicuri che Saddam Hussein ha nascosto armi di distruzione di massa” disse Bolton in un discorso nel 2002. E’ una figura così polemica a Washington che nel 2006 dovette abbandonare il suo posto di ambasciatore statunitense all’ONU dopo soli 14 mesi, a causa del rifiuto del Congresso di confermargli definitivamente l’incarico, a cui Bush l’aveva nominato approfittando di una sospensione congressuale.
Bolton, 69 anni, che assumerà le sue nuove funzioni il 9 aprile, è stato una delle candidature ipotizzate da Trump quando vinse le elezioni per essere a capo del Dipartimento di Stato. L’uomo è un indocile difensore dell’unilateralismo egemonico di Washington. Tra le sue frasi più celebri se ne trova una che è un’autentica espressione della sua intolleranza: “Per me, se l’ONU perde 10 piani, non fa proprio differenza” disse nel 1994 quando Kofi Annan annunciò la volontà di limitare i conflitti armati per sostituirli con le forze di pace dell’ONU. In una conferenza stampa disse anche che “le Nazioni Unite non esistono come istituzione” e, quando gli domandarono in che modo avrebbe riformato il Consiglio di Sicurezza, fu assolutamente chiaro: “La riforma sarebbe mettere nel Consiglio di Sicurezza un solo membro permanente perchè questo è il riflesso reale della distribuzione del potere nel mondo. Questo membro sarebbero gli Stati Uniti”.
Commentatore abituale sulla catena televisiva FOX, Bolton è un’ideologo ultra-conservatore, veemente difensore dell’ “interesse nazionale” degli Stati Uniti, che appoggia senza problemi gli attacchi militari come strategia preventiva. “E’ perfettamente legittimo che gli Stati Uniti attacchino per primi per rispondere alla ‘necessità’ (di difesa propria) che le armi nucleari della Corea del Nord rappresentano ” ha scritto in un articolo pubblicato due settimane fa sul quotidiano The Wall Street Journal.
Bolton avrà, a quanto pare, un buon alleato nella Segreteria di Stato. L’uscita di Rex Tillerson da questo incarico non ha sorpreso nessuno. Il magnate del petrolio non andava d’accordo con il magnate immobiliare e dei reality shows televisivi che oggi comanda nel palazzo presidenziale di Washington, per quanto alla lunga condividessero i propositi strategici. Tutto il contrario di quello che succede con Mike Pompeo, il nuovo capo della diplomazia statunitense, che viene considerato il più leale a Trump dei membri del gabinetto. “Con Mike Pompeo abbiamo un modo di pensare molto simile” ha detto il presidente annunciando la sua nomina.
Pompeo viene da una fulminante carriere politica, convenientemente finanziata dai reazionari fratelli Koch (miliardari ultraconservatori, n.d.t.). Laureato all’Accademia Militare di West Point, nel 2010 fu eletto alla Camera dei Rappresentanti dove è stato sei anni, fino a che Trump l’ha nominato capo della CIA. Ha acquistato fama a Washington per la durezza con cui ha criticato Hilary Clinton nella commissione speciale di indagine sull’attentato di Bengasi (Libia) del 2012, quando l’ex candidata presidenziale era segretaria di Stato. L’inchiesta finì senza addebitare responsabilità alla Clinton, ma Pompeo definì il caso qualcosa di “peggiore del Watergate sotto alcuni aspetti”. Questo lo mise in luce verso Donald Trump al momento di formare il suo governo.
Lo si considera un falco, seguace della politica ultraconservatrice del Tea Party. La sua visione come direttore della CIA era chiaramente imperiale: “Per avere successo, la CIA deve essere aggressiva, implacabile, tenace”, affermò. Non poche volte ha richiesto, con sarcasmo, la possibilità di assassinare il leader nordcoreano Kim Jong-un, provocando timori di una probabile ritorno di Washington alla pratica dell’assassinio di capi stranieri. Pompeo, che ora deve combattere con le difficoltà della politica estera, si è mostrato sostenitore di un “cambio di regime” nella Corea del Nord e del sabotaggio degli accordi nucleari con l’Iran. La coppia Bolton-Pompeo sarà ben assistita nella proiezione aggressiva verso il resto del mondo dall’ambasciatrice USA all’ONU, Nikki Haley, una despota con un incarico diplomatico.
Lo scorso dicembre Nikki Haley minacciò di rappresaglie gli Stati membri dell’ONU se avessero appoggiato una risoluzione che criticava la decisione di Washington di riconoscere Gerusalemme quale capitale di Israele, e disse che il presidente Donald Trump prendeva la votazione come “un affare personale” e che gli Stati Uniti avrebbero “preso nota dei nomi”. In una lettera diretta ai rappresentanti di 180 paesi, Haley avvertì: “Il presidente osserverà attentamente questa votazione e mi ha chiesto di informarlo sui paesi che hanno votato contro di noi. Prenderemo nota di ogni voto su questa questione”. A questo ha aggiunto un messaggio energico sul suo account di twitter: “Nell’ONU ci chiedono sempre di fare di più e di dare di più. Per questo, quando prendiamo una decisione per volontà del popolo statunitense su dove mettere la NOSTRA ambasciata, non ci aspettiamo che quelli che aiutiamo ci attacchino. Giovedì si voterà su una critica alla nostra decisione. Gli USA annoteranno i nomi”. Due semplici perle del pensiero e dell’agire della dama dell’équipe di Trump per la politica estera.
Venezuela e Cuba nel mirino
Se qualcosa distingue e unisce i personaggi nominati è la loro profonda visione d’ingerenza e imperiale su Venezuela e Cuba, la loro vicinanza al senatore Marco Rubio e il loro sguardo sull’America Latina come cortile posteriore che deve essere ubbidiente. Tutti devono ricordare il prepotente intervento della signora Haley alle Nazioni Unite il giorno che fu approvata, con maggioranza assoluta, la risoluzione contro il blocco statunitense a Cuba, intervento che ricevette una decisa risposta dal cancelliere cubano.
Haley non ha smesso di usare la tribuna dell’ONU per attaccare continuamente Cuba e il Venezuela.
Recentemente è stata a Miami per una riunione con la più rancida risma anticubana. Haley si è incontrata all’Università Internazionale della Florica (FIU) con i congressisti anticubani Ileana Ros-Lehtinen, Marco Rubio, Carlos Curbelo e Mario Dìaz-Balart per discutere, secondo i reportage, su “come si può rafforzare la democrazia in America Latina e specialmente a Cuba e in Venezuela”. Secondo il senatore Marco Rubio, l’incontro è stato organizzato su richiesta di Nikki Haley per conoscere le richieste degli esiliati di Cuba e Venezuela, anche se si è parlato dello stato attuale degli affari nordamericani in America Latina e della relazione degli Stati Uniti con la regione.
Il nuovo segretario di Stato Mike Pompeo, da parte sua, è l’appoggio di Marco Rubio nella confezione delle menzogne sui presunti “attacchi sonori” a Cuba contro funzionari statunitensi, buona parte dei quali sono, secondo l’agenzia AP, funzionari dei servizi segreti. Questo è stato denunciato da varie fonti e ultimamente ratificato anche dal giornale spagnolo El Paìs, che attribuisce i presunti attacchi acustici contro funzionari statunitensi a Cuba ad un complotto della CIA per raffreddare ed, eventualmente, chiudere il processo di avvicinamento delle due nazioni.
Sia Pompeo che Rubio condividono la linea ideologica ultraconservatrice del Tea Party. Hanno da anni uno stretto legame. Nel 2015, quando Pompeo era rappresentante del Kansas, co-patrocinò il progetto di legge presentato da Rubio, il “Cuban Military Transparency Act” per impedire qualsiasi transazione finanziaria con società gestite dai militari cubani. Allora tale legge non fu approvata, ma il presidente Trump li lodò nei suoi annunci sulla politica verso Cuba nel giugno 2017. Appena tre giorni dopo quel discorso di Trump a Miami, il direttore dell’Agenzia Centrale di Intelligence (CIA), Mike Pompeo, partecipò ad una riunione a Langley, il 19 giugno, con vari membri della Brigata mercenaria 2506 guidati da Félix Rodrìguez Mendigutìa (uno delle persone coinvolte nell’assassinio del Che in Bolivia) ed altri personaggi, tra cui il commissario della contea di Miami-Dade, Estaban Bovo Jr:, lo Sceriffo Jorge Gutièrrez Izaguirre e il senatore cubano-americano Marco Rubio.
Pompeo è stato anche un attivo paladino delle politiche anti-venezuelane dell’amministrazione Trump. Lo scorso gennaio, durante un interscambio nell’American Enterprise Institute, alluse all’influenza che aveva avuto, tramite la CIA, perchè Trump disponesse sanzioni contro il governo di Nicolàs Maduro, in base “alle informazioni che avevamo fornito e che lui ci aveva chiesto”. Già nel luglio 2017 l’allora direttore della CIA aveva fatto alcune polemiche dichiarazioni sul Venezuela durante un forum sulla sicurezza dell’Istituto Aspen, in Colorado. “Abbiamo molte speranze che si possa avere una transizione in Venezuela e la CIA sta facendo del suo meglio per capire le dinamiche in luogo”. “Il Venezuela potrebbe trasformarsi in un rischio per gli Stati Uniti” avrebbe detto un mese dopo alla catena televisiva Fox. “Là ci sono i cubani, là ci sono i russi, gli iraniani, Hezbollah, stanno là. Sta diventando un posto molto pericoloso, per cui gli Stati Uniti devono prendere la situazione molto seriamente”.
Bolton il bugiardo
Pochi politici statunitensi negli ultimi decenni sono stati tanto perversi e manipolatori verso Cuba come John Bolton. Molto note sono le sue accuse nel maggio 2002 – quando Bush parlava di attaccare 60 o più paesi, l’Afganistan era stato invaso dalle forze imperiali, si minacciava l’Iraq per le presunte armi chimiche e Chàvez aveva sofferto il colpo di Stato organizzato da Washington – che Cuba stesse fabbricando armi biologiche per passarle a paesi “terroristi”. “Ecco ciò che sappiamo: gli Stati Uniti ritengono che Cuba stia facendo almeno un lavoro offensivo limitato di ricerca e sviluppo della guerra biologica. Cuba ha fornito tecnologia di doppio uso ad altri stati rinnegati. Ci preoccupa che questa tecnologia possa supportare programmi di armi biologiche in quegli stati. Esortiamo Cuba a cessare ogni cooperazione applicabile alle armi biologiche con gli stati rinnegati e a rispettare pienamente tutti i suoi obblighi in virtù della Convenzione sulle Armi Biologiche” segnalò Bolton davanti ad una sorpresa platea che lo ascoltava nella Heritage Foundation.
Pochi giorni dopo Fidel Castro avrebbe risposto duramente a Bolton: “Per quel che riguarda le armi di distruzione di massa, la politica di Cuba è stata senza macchia. Mai nessuno ha presentato una sola prova che nella nostra patria sia stato concepito un programma di sviluppo di armi nucleari, chimiche o biologiche. Coloro che non capiscono l’etica, l’attaccamento alla verità e la trasparenza nella condotta di un governo come quello di Cuba, potrebbero almeno capire che fare il contrario sarebbe stata una colossale stupidaggine. Qualsiasi programma di quel tipo rovina l’economia di qualsiasi piccolo paese. Cuba non sarebbe mai stata in condizioni di trasportare tali armi; e commetterebbe inoltre l’errore di introdurle in un combattimento contro un avversario che conta , migliaia di volte, su armi di quel tipo, il quale riceverebbe come un regalo il pretesto per usarle. Dal punto di vista politico, viviamo in un’epoca nella quale ci saranno sempre più potenti armi di qualsiasi altra di quelle nate dalla tecnologia: le armi della morale, della ragione e delle idee. Senza queste nessuna nazione è potente; con esse nessun paese è debole. Questa posizione richiede una motivazione eccezionalmente profonda , sangue freddo e intelligenza. Dovrebbe essere noto che per il popolo cubano, al di sopra di qualsiasi altro valore sulla Terra, ci sono i valori che ispirano la libertà, la dignità, l’amore per la loro patria, la loro cultura e il più stretto senso della giustizia che l’essere umano possa concepire. Non sono armi di distruzione di massa, sono armi di difesa morale di massa, e siamo disposti a combattere e a morire per esse.”.
Avrà capito il messaggio il sig. Bolton?
Nel 2014, quando i presidenti di Cuba e degli Stati Uniti annunciarono l’inizio di una nuova tappa nelle relazioni bilaterali, John Bolton dichiarò in un programma radiofonico: “Credo che sia una tremenda sconfitta per gli Stati Uniti. Il Presidente, con la sua azione, ha dato legittimità politica a questa dittatura e ha fornito un salvavita economico al regime proprio nel momento in cui avremmo dovuto aumentare le pressioni”.
Il ritorno di Bolton a posizioni di potere nella politica estera imperiale promette nuovi giorni di minacce e conflitti. Sulle sue proiezioni, un alto funzionario dell’amministrazione repubblicana ha detto: “Per l’America Latina ha sempre prestato attenzione a come Cuba, Venezuela e Nicaragua hanno minato gli interessi degli Stati Uniti in tutta la regione …. Bolton crede che il Venezuela, con la sua crisi economica, sia vulnerabile e che altri paesi, compreso l’Iran, continuino ad avere una grande influenza sul suo Governo”.
Intanto il senatore Marco Rubio mostrava la sua gioia per la nomina del nuovo Consigliere della Casa bianca: “Conosco bene John Bolton, è una scelta eccellente e farà un gran lavoro come consigliere alla sicurezza nazionale”, ha scritto Rubio sul suo account twitter.
Lo scorso agosto Bolton disse al portale di estrema destra Breitbart che il Venezuela è una minaccia per gli Stati Uniti e ha esortato Washington a non essere “timida” rispetto alla “dittatura” di Nicolàs Maduro, chiedendo di appoggiare di più l’opposizione che cerca di “restaurare” un governo rappresentativo. “Non dimentichiamo che l’Iran ha abbastanza peso nel Venezuela di Maduro e l’ha avuto anche durante (il governo di Hugo) Chàvez”, ha detto. “Perchè l’ambasciata iraniana più grande del mondo è a Caracas? Perchè attraverso essa stanno lavando denaro e perchè il Venezuela, insieme al Canada, ha le maggiori riserve comprovate di uranio”.
Un altro figlioccio di Rubio nell’OSA
(Organizzazione degli Stati Americani, n.d.t.)
Guadagnandosi i non pochi favori che a quanto pare Trump gli deve, il senatore Rubio rafforza la sua influenza nell’attuale politica estera statunitense con l’essere riuscito a far nominare come Ambasciatore degli Stati Uniti nell’OEA l’ex rappresentante della Florida, Carlos Trujillo. “Carlos ha servito i suoi elettori in modo diligente nella camera bassa della Florida durante gli ultimi otto anni e so che farà lo stesso come rappresentante del popolo statunitense nell’OEA” ha detto Marco Rubio in un comunicato, essendo lui l’incaricato di annunciare la nomina. Trujillo diventa così la voce preminente dell’amministrazione Trump verso l’America Latina, visto che il Congresso non ha ancora confermato Kimberly Breir sottosegretaria di Stato per l’emisfero occidentale. Con l’ipocrita Almagro (segretario della OEA, n.d.t.) faranno una bella coppia nell’OEA per portare avanti gli interessi imperiali nella nostra regione. Trujillo ha affermato che il Venezuela è la priorità della sua gestione.
L’America Latina vivrà un momento di ridefinizione delle sue relazioni con gli Stati Uniti nel vicino Vertice delle Americhe. Là Trump andrà attorniato da questa banda di falchi, eredi della dottrina Monroe.
Tempi burrascosi si avvicinano.
(*) Giornalista cubano, direttore del programma “Mesa Redonda” della TV cubana da: cubadebate.cu; 26.3.2018
(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto San Giovanni)
Política Exterior de Estados Unidos: el círculo extremista se cierra
En medio del ambiente enfebrecido que se vive en la Casa Blanca, los recientes nombramientos del presidente Trump en puestos claves de su administración reflejan claramente el acento belicista, de poder fuerte y chantaje imperial que le está imprimiendo a la política exterior estadounidense.
Junto a los cambios en el mando del Departamento de Estado y el Consejo de Seguridad Nacional, también el presupuesto que Trump acaba de firmar el pasado viernes, para lo que queda de ejercicio fiscal 2018, exhibe la preeminencia de las políticas de fuerza por sobre la diplomacia, al más clásico estilo del llamado “hard power”. Mientras las partidas del Departamento de Defensa crecen en más de 60 mil millones de dólares, el presupuesto de la cancillería estadounidense y sus órganos conexos para la diplomacia pública ha sido recortado en un 32%. Mientras el gasto total en defensa, incluida la renovación del arsenal nuclear, llega a los 700 mil millones de dólares, el resto de los gastos sumarán 591.000 millones. Estados Unidos eroga en defensa, más de lo que gastan juntos los siete países que le siguen.
Al presentar hace un año la propuesta de presupuesto 2018, el director de la Oficina del Prespuesto de Trump, Mick Mulvaney, fue rotundo: “El presidente dijo que se iba a gastar menos dinero en la gente de fuera y más en la de casa”[…]”Es un presupuesto de poder duro, no blando, y es algo intencionado. Este el mensaje que queremos enviar a nuestros aliados y adversarios. Este es un Gobierno fuerte y poderoso”, señaló en rueda de prensa.
Los halcones hacen nido
En un remedo de los días más siniestros de la administración W. Bush, viejos y nuevos halcones asumen la conducción de la política exterior imperial.
Donald Trump acaba de nombrar como su Consejero de Seguridad Nacional al siniestro John Bolton, uno de los principales promotores de la guerra de Irak. En 2001, Bolton se convirtió en subsecretario de Estado para el control de armas, una posición que cobró peso en la antesala de la invasión de Irak porque la justificación de Bush para atacar se centró en la supuesta posesión de armas químicas y biológicas por parte de Sadam Huseín, que luego no se encontraron. “Estamos seguros de que Sadam Husein ha escondido armas de destrucción masiva”, dijo Bolton en un discurso en 2002.
Es una figura tan polémica en Washington que en 2006 tuvo que abandonar su cargo de embajador estadounidense ante la ONU después de apenas 14 meses, debido a la negativa del Senado a confirmarle definitivamente para ocupar el puesto, al que Bush le nombró aprovechando un receso congresional.
Bolton, de 69 años, quien asumirá sus nuevas funciones el 9 de abril, fue una de las candidaturas barajadas por Trump al ganar las elecciones para estar al frente del Departamento de Estado. El hombre es un reacio defensor del unilateralismo hegemónico de Washington. Entre sus frases célebres, se encuentra una que es auténtica muestra de su intolerancia: “Por mí, si la ONU pierde 10 pisos, no hay franca diferencia”, dijo en 1994 cuando Kofi Annan anunció su voluntad de limitar los conflictos armados para así instalar las fuerzas de paz de la ONU. En una conferencia de prensa dijo también que “las Naciones Unidas no existen como institución” y cuando le preguntaron de qué manera reformaría el Consejo de Seguridad fue absolutamente claro: “La reforma sería poner en el Consejo de Seguridad a un solo miembro permanente porque ese es el reflejo real de la distribución de poder en el mundo Ese miembro sería Estados Unidos”.
Comentarista habitual en la cadena televisiva FOX, Bolton es un ideólogo ultraconservador, vehemente defensor del “interés nacional” de Estados Unidos, y que respalda sin remilgos los ataques militares como estrategia preventiva. “Es perfectamente legítimo que Estados Unidos ataque primero para responder a la ‘necesidad’ (de defensa propia) que presentan las armas nucleares de Corea del Norte”, escribió en un artículo publicado hace dos semanas en el diario The Wall Street Journal.
Bolton tendrá al parecer un buen aliado en la Secretaría de Estado. La salida de Rex Tillerson de ese puesto no sorprendió a nadie. El magnate petrolero no congeniaba con el magnate inmobiliario y de los realities shows televisivos que hoy manda en la casona presidencial de Washington; por más que a la larga compartían los propósitos estratégicos. Todo lo contrario de lo que sucede con Mike Pompeo, el nuevo jefe de la diplomacia estadounidense, a quien se considera como el más leal a Trump de los miembros del gabinete. “Con Mike Pompeo, tenemos una forma de pensar muy similar”, dijo el presidente al anunciar su nuevo nombramiento.
Pompeo viene de una meteórica carrera política, convenientemente financiada por los reaccionarios hermanos Koch. Graduado de la Academia Militar de West Point, en 2010 fue electo a la Cámara de Representantes, donde estuvo seis años, hasta que Trump lo nombró al frente de la CIA.
Adquirió fama en Washington por la dureza con la que fustigó a Hillary Clinton en la comisión especial para investigar el atentado de Bengasi (Libia) de 2012, cuando la excandidata presidencial era secretaria de Estado. La investigación acabó sin hallar responsabilidades en Clinton, pero Pompeo llegó a calificar el caso como algo “peor que el Watergate en algunos aspectos”. Eso lo puso en la línea de mira de Donald Trump a la hora de conformar su gobierno.
Se le considera un halcón, seguidor de la filosofía ultraconservadora del Tea Party. Su visión como director de la CIA era claramente imperial: “Para ser exitosa la CIA debe ser agresiva, implacable, tenaz”, afirmó. No pocas veces invocó con sorna la posibilidad de asesinar al líder norcoreano Kim Jong-un, levantando temores de un probable retorno de Washington a la práctica de los asesinatos de líderes extranjeros.
Pompeo, que ahora debe lidiar con los vericuetos de la política exterior, se ha mostrado partidario de un “cambio de régimen” en Corea del Norte y de sabotear los acuerdos nucleares con Irán.
El dúo Bolton-Pompeo será bien asistido en la proyección agresiva hacia el resto del mundo por la embajadora USA en la ONU Nikki Haley , una déspota con puesto diplomático.
El pasado diciembre, Haley amenazó a los estados miembros de la ONU con represalias si apoyaban una resolución que criticaba la decisión de Washington de reconocer a Jerusalén como capital de Israel, y dijo que el presidente Donald Trump tomaba la votación como “asunto personal” y Estados Unidos “anotará nombres”.
En carta que envió a los representantes de 180 países, Haley advirtió: “El presidente observará esta votación cuidadosamente y me ha pedido que informe sobre los países que votaron contra nosotros.Tomaremos nota de cada voto sobre este asunto”.
A ello añadió un mensaje enérgico en su cuenta en la red social Twiter: “En la ONU siempre se nos pide que hagamos más y demos más. Por eso, cuando tomamos una decisión por voluntad del pueblo estadounidense sobre dónde situar NUESTRA embajada, no esperamos que aquellos a quienes ayudamos nos ataquen. El jueves se votará sobre una crítica a nuestra elección. EU anotará los nombres”.
Dos simples perlas del pensamiento y actuar de la dama del equipo de Trump para la política exterior.
Venezuela y Cuba en la mira
Si algo distingue y une a los personajes nombrados es su obsecada visión injerencista e imperial sobre Venezuela y Cuba, su cercanía con el Senador Marco Rubio y su mirada hacia América Latina como traspatio que ha de ser obediente.
Todos deben recordar la prepotente intervención de la señora Haley en Naciones Unidas el día que se aprobó por abrumadora mayoría la resolución contra el bloqueo estadounidense a Cuba; la que, por cierto, recibió contundente respuesta del Canciller cubano.
Haley no ha dejado de usar la tribuna de la ONU para atacar reiteradamente a Cuba y a Venezuela.
Recientemente anduvo por Miami para reunirse con la más rancia ralea anticubana. Haley se encontró en la Universidad Internacional de la Florida (FIU) con los congresistas anticubanos Ileana Ros-Lehtinen, Marco Rubio , Carlos Curbelo y Mario Díaz-Balart para debatir, de acuerdo a los reportes, sobre “cómo se puede fortalecer la democracia en América Latina y especialmente en Cuba y Venezuela”.
Según el senador Marco Rubio, el encuentro se organizó a petición de Nikki Haley para conocer las demandas de exiliados de Cuba y Venezuela, aunque se habló también del estado actual de los negocios norteamericanos en América Latina y la relación de Estados Unidos con la región.
El nuevo Secretario de Estado Mike Pompeo, por su parte, es el brazo de apoyo de Marco Rubio en la armazón de las mentiras de los supuestos “ataques sónicos” en Cuba contra funcionarios estadounidenses, buena parte de los cuales son, a decir de la agencia AP, funcionarios de inteligencia. Esto ha sido denunciado por varias fuentes y recientemente ratificado por el diario español El País, que atribuye los supuestos ataques acústicos contra funcionarios estadounidenses en Cuba a una argucia de la CIA para enfriar y eventualmente eliminar el proceso de acercamiento entre ambas naciones.
Tanto Pompeo como Rubio comparten la línea ideológica ultraconservadora del Tea Party. Tienen un estrecho vínculo desde hace varios años. En 2015, cuando Pompeo era representante por Kansas, copatrocinó el proyecto de ley impulsado por Rubio, Cuban Military Transparency Act, para impedir cualquier transacción financiera con empresas gestionadas por los militares cubanos. Entonces no fue aprobada, pero el presidente Trump los complació en sus anuncios de política hacia Cuba en junio 2017.
Apenas tres días después de aquel discurso de Trump en Miami, el director de la Agencia Central de Inteligencia (CIA), Mike Pompeo, se reunió en Langley, el 19 de junio, con varios miembros de la Brigada mercenaria 2506encabezados por Félix Rodríguez Mendigutia (uno de los involucrados en el asesinato del Che en Bolivia) y otros personajes, entre ellos el comisionado del condado de Miami-Dade, Esteban Bovo Jr., el Sheriff Jorge Gutiérrez Izaguirre y el senador cubanoamericano, Marco Rubio.
Pompeo también ha sido un activo adalid de las políticas antivenezolanas de la administración Trump. El pasado enero, durante un intercambio en el American Enterprise Institute, aludió a la influencia que tuvo desde la CIA para que Trump dispusiera sanciones contra el gobierno de Nicolás Maduro,en base “a la propia inteligencia que habíamos entregado y él había solicitado”.
Ya en julio 2017, el entonces director de la CIA había realizado unas declaraciones polémicas sobre Venezuela durante un foro de seguridad del Instituto Aspen, en Colorado. “Tenemos muchas esperanzas de que pueda haber una transición en Venezuela y la CIA está haciendo lo mejor para entender la dinámica allí”.
“Venezuela podría convertirse en un riesgo para Estados Unidos”, diría un mes después a la cadena televisiva Fox. “Los cubanos están ahí; los rusos están ahí, los iraníes, Hezbolá están ahí. Esto tiene el riesgo de llegar a un lugar muy malo, por lo que Estados Unidos debe tomarlo muy seriamente”.
El mentiroso de Bolton
Pocos políticos estadounidenses en las últimas décadas han sido tan tan perversos y manipuladores hacia Cuba como John Bolton. Muy recordadas son sus acusaciones en mayo de 2002 -cuando Bush hablaba de atacar 60 o más países, Afganistán había sido invadido por las fuerzas imperiales, se amenazaba a Irak por supuestamente construir armas quìmicas y Chávez había sufrido el Golpe de Estado impulsado desde Washington- de que Cuba estaba fabricando armas biológicas y las estaba pasando a países “terroristas”.
“He aquí lo que sabemos: Estados Unidos considera que Cuba está llevando a cabo al menos una labor ofensiva limitada de investigación y desarrollo de guerra biológica. Cuba ha proporcionado tecnología de doble uso a otros estados renegados. Nos preocupa que esa tecnología pueda respaldar programas de armas biológicas en esos estados. Exhortamos a Cuba a que cese toda cooperación aplicable a las armas biológicas con los estados renegados y a que respete plenamente todas sus obligaciones en virtud de la Convención sobre las Armas Biológicas.”, señaló Bolton entonces ante una sorprendida audiencia que le escuchaba en la Heritage Foundation.
Pocos días después, Fidel Castro le respondería a Bolton contundentemente: “En lo que se relaciona con las armas de destrucción masiva, la política de Cuba ha sido intachable. Nunca nadie ha presentado una sola prueba de que en nuestra patria se haya concebido un programa de desarrollo de armas nucleares, químicas o biológicas. Para los que no entiendan de ética, apego a la verdad y transparencia en la conducta de un gobierno como el de Cuba, podrían comprender al menos que hacer lo contrario habría constituido una colosal estupidez. Cualquier programa de esa índole arruina la economía de cualquier pequeño país; Cuba nunca habría estado en condiciones de transportar tales armas; cometería adicionalmente el error de introducirlas en combate contra un adversario que cuenta con miles de veces más armas de ese carácter, el cual recibiría, como un regalo, el pretexto de usarlas.
“Desde el punto de vista político, vivimos en una época en la que hay y habrá cada vez armas más poderosas que cualquiera de las nacidas de la tecnología: las armas de la moral, la razón y las ideas. Sin ellas ninguna nación es poderosa; con ellas ningún país es débil. Tal apotegma requiere una motivación excepcionalmente profunda, sangre fría e inteligencia. Debiera saberse que para el pueblo cubano, por encima de cualquier otro valor sobre la Tierra, están los valores que inspiran la libertad, la dignidad, el amor a su patria, su identidad, su cultura y el más estricto sentido de la justicia que pueda concebir el ser humano. No son armas de destrucción masiva, son armas de defensa moral masiva, y estamos dispuestos a combatir y a morir por ellas.”
¿Habrá entendido el mensaje el Sr. Bolton?
En el 2014, cuando los presidente de Cuba y EEUU anuncian el inicio de una nueva etapa en las relaciones bilaterales, John Bolton declaró en un programa de radio: “Yo creo que es una tremenda derrota para los Estados Unidos. El Presidente, con su acción, ha dado legitimidad política a esta dictadura y le ha extendido un salvavidas económico al régimen precisamente en el momento en que debiéramos incrementar las presiones”.
El regreso de Bolton a posiciones de poder en la política exterior imperial augura nuevos días de amenazas y conflictos. Sobre sus proyecciones, un alto funcionario de la administración republicana dijo a El Nuevo Herald: “Para América Latina, siempre ha hecho énfasis en cómo Cuba, Venezuela y Nicaragua han socavado los intereses de Estados Unidos en toda la región”[…] “Bolton cree que Venezuela, con su crisis económica, es vulnerable y y que otros países, incluido Irán, continúan teniendo una gran influencia en su Gobierno”.
Mientras, el senador Marco Rubio mostraba su regocijo por el nombramiento del nuevo Consejero de la Casa Blanca: “Conozco bien a John Bolton, es una excelente elección y va hacer un gran trabajo como asesor de seguridad nacional”, escribió Rubio en su cuenta de Twitter.
En agosto pasado, Bolton dijo al portal de extrema derecha Breitbart que Venezuela era una amenaza para Estados Unidos y urgió a Washington a no ser “tímido” con respecto a la “dictadura” de Nicolás Maduro, llamando a apoyar más a la oposición que busca “restaurar” un gobierno representativo.
“No olvidemos que Irán tiene bastante peso en la Venezuela de Maduro y lo tuvo también durante (el gobierno de Hugo) Chávez”, dijo. “¿Por qué la embajada iraní más grande del mundo está en Caracas? Porque a través de ella están lavando dinero y porque Venezuela, junto con Canadá, tiene las mayores reservas comprobadas de uranio”.
Otro ahijado de Rubio en la OEA
Cobrando los no pocos favores que Trump al parecer le debe, el senador Rubio refuerza su influencia en la actual política exterior estadounidense al lograr nombrar como Embajador de Estados Unidos en la OEA al exrepresentante estatal de la Florida Carlos Trujillo.
“Carlos ha servido a sus electores de manera diligente en la cámara baja de Florida durante los últimos ocho años y sé que hará lo mismo como representante del pueblo estadounidense en la OEA”, indicó Marco Rubio en un comunicado, al ser el encargado de informar el nombramiento.
Trujillo se convierte así en voz preminente de la política de la administración Trump hacia América Latina, una vez que todavía el Congreso no ha confirmado a Kimberly Breier como subsecretaria de Estado para el hemisferio occidental.
Junto al hipócrita de Almagro hará buena dupla en la OEA para conducir los intereses imperiales en nuestra región. Trujillo ha expresado que Venezuela es la prioridad de su gestión.
América Latina vivirá momento de redefiniciones de su relación con Estados Unidos en la muy próxima Cumbre de las Américas. Allí Trump acudirá rodeado de toda esta banda de halcones, herederos de la doctrina Monroe. Tiempos borrascosos se aproximan.