Così rompiamo il cappio mediatico

e combattiamo il nuovo Piano Condor

di Geraldina Colotti

Dall’Europa all’America Latina, un’agenda comune contro la guerra mediatica e la censura. Questo il proposito del “Foro itinerante por la comunición y el dialogo intercultural entre UE y América Latina” che ha preso avvio presso il Parlamento Europeo a Bruxelles, è proseguito poi verso Londra, Stoccolma, Berlino ed è arrivato nella città di Cremona, prima di far tappa a Milano e concludere il giro a Parigi.

Nei locali dell’Associazione Latinoamericana di Cremona, si proietta un cortometraggio del giovane documentarista argentino Joaquín Polo. La voce di Hugo Chavez grida: “Vayanse al carajo, yankees de mierda” mentre sfilano bandiere rosse e immagini che ricordano il buco nero dell’ultima dittatura argentina. Al tavolo, insieme al regista, c’è Liliana Mazure, ex deputata del Frente Para la Victoria ed ex presidenta dell’INCAA. Con lei, due giornaliste, Celeste del Bianco e Cynthia Garcia, con la quale abbiamo conversato per questa intervista. Garcia, Premio Rodolfo Walsh 2017, dirige la piattaforma digitale che porta il suo nome, La Garcia.

In cosa consiste il tuo progetto informativo?

Ha preso forma nel gennaio 2016, dopo la vittoria di Mauricio Macri in argentina. Da allora si è installato un governo neoliberista autoritario che ha istituito una lista nera di giornalisti e comunicatori di cui sono rimasta vittima anche io. Insieme a una decina di compagne e compagne abbiamo quindi costituito un collettivo della comunicazione e la piattaforma digitale, il cui perno è la pagina web e che si serve delle reti sociali intervenendo direttamente, generando contenuti per sviluppare un’agenda di lotta popolare. Non vogliamo fare comunicazione alternativa, ma mettere in causa la centralità monopolistica della comunicazione per sviluppare coscienza politica. Riceviamo contenuti da tutto il paese, con una presenza costante sui territori e una visione non centralista: non parte tutto da Buenos Aires, per capirsi. Questo ci permette di rompere più facilmente il cerchio mediatico imposto dai grandi conglomerati informativi ora che non riceviamo più alcun tipo di finanziamento governativo.

Non è un momento facile per l’Argentina e per l’America latina progressista. Qual è il tuo pensiero?

La destra è tornata a vincere nel continente con una forza mai vista negli ultimi quarant’anni. Sta dando corso a una persecuzione dei leader regionali, dei dirigenti sociali e degli attivisti che criticano il modello neoliberista. All’inizio del 2016 non sapeva ancora quale governo avessimo di fronte, poi ci siamo resi conto che stava applicando una ricetta neoliberista prevista a livello regionale: la stessa imposta nel decennio degli anni ’70 e che ha portato al golpe contro Dilma Rousseff, che conta su un cavallo di Troia com’è ora Lenin Moreno in Ecuador. Siamo di fronte a un nuovo Plan Condor giudiziario che ha una poderosa ala mediatica. I mezzi di informazione sono il braccio di una destra politica ed economica con cui dobbiamo fare i conti. Dobbiamo vedercela con la nostra classe media, con una frangia di questo settore, nonostante abbia tratto vantaggio dai governi progressisti come mai negli ultimi quarant’anni. Siamo nel peggior momento del giornalismo, anche peggior di quello vissuto negli anni ’90 per effetto della grande concentrazione monopolistica dei media. Vediamo però sorgere un nuovo pubblico, maturato per effetto della legge sul servizio di comunicazione audiovisivo approvata nel 2009. Una gran percentuale di popolazione consapevole, che si concepisce come soggetto politico e comunicativo con volontà di fare egemonia. Una situazione che si è determinata quando in Argentina l’esecutivo ha assunto la discussione più proficua che si svolgeva nelle accademie sulla necessità di democratizzare la parola, di ridurre il latifondo mediatico e che ha portato alla legge sui media. Un processo analogo c’è stato in Venezuela e, in modo più accentuato, in Ecuador con una legge sulla responsabilità dei media che conteneva un aspetto punitivo per il sistema capitalista. Una discussione che non ho avvertito in Europa se non parzialmente, per esempio nel discorso di Pablo Iglesias quando parla di dare accesso a un terzo dello spettro radioelettrico al settore sociale. In America Latina questo ha generato una polarizzazione delle nostre società: da una parte i media egemonici, dall’altra chi di noi cerca di combattere la nuova colonizzazione dell’immaginario, in mezzo una frangia che crede di non essere permeata dalla politica ma che in reltà è inflitrata dal neocolonialismo e ne regge il gioco.

Tutto questo ha a che vedere con la crisi del peronismo e con l’assenza di una sinistra di alternativa in Argentina?

Il peronismo è un fenomeno complesso e le sinistre latinoamericane sono state spesso funzionali alle destre, talvolta sono andate così all’estremo da fare il giro completo e finire a destra.

I governi Kirchner sono sorti dalla parte legale del peronismo, il Partido Justicialista, con tutte le sue luci e ombre che storicamente ha avuto. Hanno però superato il peronismo realizzando politiche di stato che non si erano mai viste negli ultimi quarant’anni. Secondo dati del Conicet, l’Argentina ha avuto indici di benessere imparagonabili con il decennio degli anni ’70. Il Piano casa, l’assegnazione universale per il figlio è stato un baluardo della socialdemocrazia. La madre riceveva una somma di denaro a condizione che il bambino andasse a scuola e venisse vaccinato questo ha sviluppato un conseguente e importante piano sanitario. Inoltre, con il Plan Conectar igualdad sono stati distribuiti 5 milioni di computer gratuiti in un paese che ha 44 milioni di abitanti. Siamo riusciti a sostituire l’immagine del bambino scalzo e col moccolo con quella di un bambino connesso al computer, che va a scuola. In quei 12 anni, è stata costruita la più importante rete a fibra ottica. Perché ha perso questo progetto politico di acquisizione di diritti? I fattori sono molteplici, e in parte hanno a che vedere con la dispersione di voti del PJ e con il fatto che ci sono dirigenti peronisti che sono più affini alla destra di Macri che la governo di distribuzione popolare. Cristina propone un fronte anti-neoliberista che non può rivolgersi a un peronismo di destra, ma a una sinistra adeguata. Nessuno dei nostri paesi ha fatto una rivoluzione, ma ha generato un’equa distribuzione come mai prima.

Il Venezuela bolivariano è però il processo che più ha rimesso in causa i rapporti di proprietà, e per questo risulta un pericoloso esempio da distruggere per l’imperialismo.

Il credo che Chavez sia stato il grande ombrello dell’America latina. La collaborazione con Fidel, Kirchner, Tabaré Vazquez e con Lula ha configurato l’America latina come potenza regionale, sbattendo l’Alca in faccia a Bush. Chavez è stato il grande leader di questa costruzione. Un figlio di Fidel. Ma Cristina, al G20 ha attaccato i grandi capitali transnazionali che fluiscono senza controllo nel mondo. Se Macri avesse vinto con 10 punti di differenza mi porrei diversamente la questione, ma ha vinto con solo il 2% per cui, più che alla divisione del peronismo, bisogna guardare all’influenza dei grandi media di comunicazione.

La guerra mediatica sta portando un attacco frontale al governo Maduro, per aprire la porta a un’aggressione militare. Come vedi la situazione in Venezuela?

Maduro è diventato il nuovo grande demonio del mondo occidentale. Se non ci fosse, la destra mondiale lo inventerebbe. Il Venezuela è diventata la Cuba del XXI secolo, sottoposta a un blocco economico-finanziario altrettanto feroce. Un’aggressione per appropriarsi delle risorse e per questo tesa a criminalizzare e a demonizzare il presidente bolivariano convertendolo in un sinonimo di terrore da abbattere. In Spagna un giornalista ha condotto un’inchiesta. Gli intervistati non sapevano chi era il presidente del Portogallo, ma conoscevano Maduro, a cui venivano attribuiti tutti i dati di crisi, fame e disoccupazione che invece… erano dati della Spagna. Il Venezuela ha ereditato problemi complessi, ma non si capisce perché debba essere preso a bersaglio quando vi sono paesi come il Messico, la Colombia, eccetera che hanno ben altre pecche. Evidentemente, il problema è un altro. L’ex vicepresidente Usa Rex Tillerson ha concluso il suo viaggio in Argentina, dove ha salutato il suo “socio regionale”. E nessuno gli ha ribattuto che l’Argentina non è il socio regionale degli Stati uniti.

In questo momento, il presidente Colombiano Santos, che ha ricevuto il Nobel per la pace per la soluzione politica con le Farc sta facendo morire in carcere uno dei mediatori, l’ex guerrigliero Jesus Santrich, in sciopero della fame da oltre 13 giorni. Garcia partecipa alla mobilitazione per la sua liberazione?

Ascoltandoti, mi rendo conto che spesso sappiamo di più quel che succede in Europa che nei singoli paesi del continente. E’ davvero fondamentale organizzare la comunicazione popolare, costruire un’agenda comune per il potere popolare.

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