T. Deronne, Venezuela Infos – https://aurorasito.wordpress.com
Il Vicepresidente boliviano Alvaro Garcia Linera l’annunciò pochi giorni prima: “Il popolo del Venezuela ora detiene, ancora una volta, la chiave per il futuro dell’America Latina. Proprio come due secoli fa, ai tempi di Simon Bolivar, il suo ruolo storico è proteggere il nostro continente da un impero ed impedire che spazzino via gli altri capisaldi della resistenza. Dopo quattro anni di guerra economica, il compito è stato difficile, come gli indigeni di Autana, nello stato di Amazonas, si allineavano sotto la pioggia per attraversare il fiume Orinoco e votare.
La campagna di destra consisteva, attraverso la maggioranza dell’economia privata, nell’aumentare i prezzi oltre quanto era noto finora, e promuovere il boicottaggio del voto, paralizzando persino i trasporti nella regione della capitale il giorno delle elezioni. Un diritto sotto una forte influenza esterna, in osmosi cogli annunci anticipati da Unione Europea e Casa Bianca di rifiutare il verdetto delle urne. In una conferenza stampa tenuta poco prima dell’annuncio dei risultati, il candidato dell’opposizione Henri Falcon improvvisamente si rifiutava di riconoscere la legittimità delle elezioni e chiese di organizzarne un’altra, mentre criticava la destra radicale: ¨oggi è chiaro che questa richiesta di astensione ha perso un’opportunità straordinaria di porre fine alla tragedia che il Venezuela vive”.
Col 92,6% dei voti contati, il Centro elettorale nazionale dava i primi risultati ufficiali, irreversibili. La partecipazione totale ammontava al 46%, 8 milioni 360 mila voti. Di questi, 5 milioni 823 mila andavano al candidato Nicolas Maduro che ha vinto le elezioni presidenziali con quasi il 68% dei voti. Da parte sua, l’avversario Henry Falcon ottenne 1820552 voti o 21%, l’evangelista Javier Bertucci 925042 voti (11%) e Reinaldo Quijada 34614 voti.
La Costituzione venezuelana, nell’articolo 228, recita: “sarà proclamato vincitore il candidato che ha ottenuto la maggioranza dei voti validi“: qualunque sia il livello di partecipazione, è la maggioranza semplice che determina la vittoria.
Va detto che il “nucleo duro” del chavismo, che ha sempre oscillato tra 5 e 6 milioni di voti, è rimasto intatto e che l’astensione riguarda essenzialmente l’opposizione. La pressione della guerra economica e le sanzioni eurostatunitensi si sono scontrate con la fibra storica della resistenza popolare e persino risvegliando l’intera organizzazione di base, specialmente nella distribuzione e produzione di cibo, in un’alleanza concreta con le misure sociali e i programmi di Nicolas Maduro.
Dopo 26 giorni di campagne ufficiali che hanno visto quattro candidati annunciare proposte antagoniste nei media, il Centro Nazionale Elettorale installava 14638 seggi elettorali nel Paese.
C’erano circa 2000 osservatori internazionali, tra cui le nazioni caraibiche della CARICOM, Unione africana e CEELA, il Consiglio degli esperti elettorali dell’America latina. Furono organizzati 17 osservazioni del sistema elettorale. Composto in maggioranza dai presidenti dei tribunali elettorali nazionali di Paesi governati dalla destra, il Consiglio degli esperti elettorali latinoamericani spiegava per voce del suo presidente Nicanor Moscoso: “Abbiamo avuto incontri con ciascuno dei candidati che hanno accettato i risultati di ispezioni e controlli. Siamo alla presenza di un processo trasparente e armonioso“. Luis Emilio Rondón, Rettore del Centro elettorale nazionale e membro dell’opposizione, affermava pubblicamente che il voto offriva le stesse garanzie di trasparenza delle elezioni del 2015, vinte dalla destra con due milioni di voti di vantaggio.
L’ex-Presidente dell’Ecuador Rafael Correa, presente come osservatore, ricordava che le elezioni venezuelane si sono svolte con assoluta normalità. “Ho assistito al voto in quattro centri: flusso permanente di cittadini, poco tempo di attesa per votare. Sistema molto moderno con doppio controllo. Da quello che ho visto, un’organizzazione impeccabile. Nessuno può mettere in discussione le elezioni in Venezuela e su tutto il pianeta non ci sono elezioni più controllate che in Venezuela”.
Un altro osservatore, l’ex-primo ministro spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero, dichiarava che la posizione di Stati Uniti e Unione europea di “disapprovazione” delle elezioni presidenziali in Venezuela, prima che avessero luogo, era un’”assurdità”, ammettendo di essere “un po’ arrabbiato per ciò che era in gioco. È molto grave dire ad un Paese: queste elezioni non sono utili, sono inutili, prima che abbiano luogo. È segno d’irresponsabilità nei confronti di un popolo e del suo futuro. Che posizioni così importanti siano state prese con così pochi elementi di giudizio, mi spaventa”. Zapatero metteva in discussione i pregiudizi dell’UE contro il Venezuela: “Perché l’ha fatto col Venezuela? Non è ragionevole, non è facile da spiegare(…) Credo che l’Unione europea debba ridiventare una potenza regionale che dia priorità a dialogo e pace. Credo che l’America Latina si aspetti che l’Unione europea punti al dialogo”. Zapatero prese come esempio Cuba: “Dopo tutto abbiamo sentito parlare di Cuba, ora c’è un totale cambiamento di situazione, è molto facile discutere con Cuba. L’atteggiamento nei confronti del Venezuela rimane un grande mistero. Chi dice prima di aver sperimentato che le condizioni non sono soddisfatte per le elezioni in Venezuela è un indovino o è prevenuto. Se il governo bolivariano volesse frodare, non avrebbe invitato il mondo intero ad osservare le elezioni. Ma a parte l’Organizzazione degli Stati americani (OSA), il mondo intero è stato invitato a vivere il processo elettorale. Unione europea e ONU non hanno esperti per verificare un processo elettorale? Certo che li hanno, ma siamo bloccati da un grave pregiudizio, da dogmi che portano al fanatismo e al disastro”. Concludeva dicendo che “si deve venire sul campo. Vita ed esperienza politica consistono nel bandire i pregiudizi e conoscere la verità da sé”.