di Fabrizio Verde https://www.lantidiplomatico.it
L’incaricato d’affari USA a Caracas Todd Robinson, capo della diplomazia USA in Venezuela, e il suo vice Brian Naranjo devono lasciare il paese sudamericano entro 48 ore.
Il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolas Maduro, ha infatti dichiarato i due diplomatici statunitensi ‘persona non grata’. Una locuzione latina che in lingua italiana significa ‘persona non gradita’. Questa locuzione viene di solito riservata ai diplomatici. In base all’articolo 9 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, una nazione ospitante può “in qualsiasi momento e senza dover motivare la sua decisione”, dichiarare un qualsiasi membro del corpo diplomatico come persona non grata – ovvero inaccettabile (mentre una persona grata è accettabile) – anche prima che questi arrivi all’interno della nazione.
È pratica comune che una persona dichiarata tale venga richiamata in patria. Se non viene richiamata lo stato ospitante “può rifiutarsi di riconoscere la persona in questione come un membro della missione diplomatica”.
«Devono lasciare il paese in 48 ore, in difesa e protesta per la dignità della Patria venezuelana. Lo faccio per la dignità, per l’indipendenza nazionale. Adesso basta con le cospirazioni! Basta!», ha denunciato Maduro.
Il dirigente bolivariano ha poi spiegato che Robinson e Naranjo hanno agito come ‘cospiratori’ commettendo ingerenze negli affari interni del Venezuela.
«Non vogliono capire che il Venezuela è sovrano e libero», ha affermato Maduro in una trasmissione congiunta di radio e televisione.
Dove ha ribadito che la nazione sudamericana è vittima di una minaccia mai vista prima e che lui è diventato il presidente più minacciato e attaccato della storia; Tuttavia, ha sottolineato che una tale situazione non ammansisce il suo carattere.
«Sono qui in piedi, sicuro del cammino. Con sanzioni, minacce o cospirazioni non fermeranno la nostra navigazione verso un Venezuela produttivo che riesca a superare gli attuali problemi».
Il presidente, però, decide di non chiudere definitivamente la porta agli Stati Uniti: «Sono pronto a dialogare con tutti i settori degli Stati Uniti per comprenderci e raggiungere accordi ma non sulla base di pressioni e minacce». L’espulsione dei diplomatici nordamericani avviene nel giorno in cui Washington accusa Maduro di essere un dittatore socialista, con il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence che ha definito l’elezione presidenziale «né libera né equa» e affermando che «l’elezione falsata» costituisce un duro colpo per «l’orgogliosa tradizione democratica» del Venezuela.
Per «orgogliosa tradizione democratica» gli Stati Uniti non fanno riferimento all’ultimo ventennio chavista dove si sono realizzate ben 25 tornate elettorali, con un sistema definito da un osservatore neutrale e insospettabile di simpatie chaviste come l’ex presidente statunitense Carter, «il migliore del mondo». Un periodo segnato, grazie alla Rivoluzione Bolivariana, dalla ‘democracia participativa y protagonica’ dove il popolo ha finalmente preso nelle sue mani le leve del proprio destino.
Ma per gli Stati Uniti «l’orgogliosa tradizione democratica» del Venezuela è quella della cosiddetta ‘democracia gorilla’ dove le risorse naturali, così come le politiche di Caracas, erano controllate direttamente da Washington. Una fase storica nefasta per il popolo venezuelano. Basti pensare che l’80% della ricchezza nazionale si trovava nelle mani del 3% della popolazione.
Quando essere comunista poteva costare la vita. Con il beneplacito di Washington.