Gli USA e la OSA, nello stesso seno di questa organizzazione che è “il ministero delle colonie degli USA”, come disse il cancelliere della dignità Raúl Roa, dagli inizi degli anni ’60 del secolo scorso non riescono a vincere contro il Venezuela, così come non potranno mai farlo con Cuba.
Gli USA hanno di nuovo tentato con una proposta di Risoluzione di sospendere il Venezuela dall’OSA, ma necessitavano 24 voti dei suo membri e ne hanno ottenuti solo 19, con 11 astensioni e 4 voti contrari.
Per il cancelliere venezuelano, Jorge Arreaza, citato da Telesur, la pressione esercitata ella OSA dal vicepresidente USA Mike Pence, non era per non avere astensioni, ma perché tutti votassero a favore della Risoluzione contro il Venezuela ma indubbiamente ha prevalso la dignità delle nazioni.
«Neppure con tutte queste pressioni hanno potuto vincere contro la dignità e il coraggio dei popoli dei Caraibi», ha sostenuto.
C’è una sceneggiatura chiaramente stabilita nella OSA, un formato e noi abbiamo il diritto di ritirarci quando lo decidiamo », ha dichiarato Arreaza, riferendosi al processo d’uscita da questo organismo, che il Venezuela ha iniziato nell’aprile del 2017.
«Il paese rispetterà le sue responsabilità e gli impegni con l’organismo», ha detto a proposito dell’uscita del Venezuela dalla OSA ed ha aggiunto che è un orgoglio, è allegria, è felicità per il popolo del Venezuela la decisione annunciata l’anno scorso e che si concreterà nel 2019.
«Non possiamo continuare a stare in un’organizzazione che viola il Diritto Internazionale», ha sentenziato Arreaza.
Nuovo fiasco all’OSA: gli USA non riescono a cacciare il Venezuela
Mision Verdad, 6 giugno 2018
La XLVIII Assemblea Generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) è stata contrassegnata dalla minaccia di sospendere il Venezuela dall’organizzazione, come richiesto dal vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence, in vista dell’evento. Il bilancio finale del grande evento del “Ministero delle Colonie” dice altro ponendo gli Stati Uniti, ancora una volta, al punto di partenza del 2016.
Anticamera, contesto e Assemblea Generale
Questo nuovo round d’assedio contro il Paese iniziava un mese fa, precisamente il 7 maggio, quando il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence fece un discorso alla sessione speciale del Consiglio permanente dell’OSA, preparato dal segretario generale Luis Almagro con il solo scopo di accettarlo ed aggravarlo.
La ragion d’essere di tale evento senza precedenti nella politica statunitense e regionale, consisteva nell’assumere in prima persona, e usando il peso istituzionale come secondo alla Casa Bianca, l’obbligo di sospendere il Venezuela dall’organizzazione multilaterale che continua ad avere il copyright a Washington. In tale evento, che apriva e chiudeva il discorso di Pence, l’amministrazione Trump prefigurava la sospensione della Repubblica bolivariana come obiettivo politico principale da perseguire nell’Assemblea Generale.
Quasi un mese dopo, già coi riflettori che illuminavano l’anticamera dell’evento, Pence nuovamente sottolineava di essere vicini a sospendere il Paese, a pochi giorni dalla giornata. Tale dichiarazione fu rafforzata ricevendo delegazioni di 22 Paesi membri dell’organizzazione , tra cui Repubblica Dominicana, Ecuador, Saint Kitts e Nevis e Trinidad e Tobago, per convincerle a votare a favore della sospensione, inviando un messaggio di sicurezza all’opinione pubblica e segnando uno scenario in cui la missione era garantita.
Mentre l’Assemblea Generale progrediva, tale persuasione iniziale divenne minacce e poi estorsioni di diversi tipi, pubblici e privati, per cercare di ottenere ciò che l’assenza di carisma del vicepresidente Pence non aveva raggiunto in sede di governo prima.
Con lo stesso tono, il rappresentante degli Stati Uniti nell’organizzazione, Carlos Trujillo, dichiarò due giorni prima dell’Assemblea Generale che avevano i voti necessari per la sospensione della Repubblica Bolivariana. Entrambe le dichiarazioni, di Pence e di Trujillo, posero tale misura come unico obiettivo politico dell’incontro annuale dell’agenzia, una posizione rischiosa perché non lasciava alcuna sfumatura che potesse essere gestita politicamente se qualcosa fosse accaduto al di fuori di tale pianificazione, come in effetti accadde alla fine delle intense due giornate.
Il segretario di Stato Mike Pompeo fece una breve presenza all’incontro per dare maggiore peso e credibilità alla domanda di Pence, poi confermata da Carlos Trujillo. Ribadì nel discorso che si doveva passare ai fatti tentando di dimostrare che, dai grandi campioni della politica statunitensi, l’evento veniva preso in considerazione e soprattutto coloro che non avevano il comando in quel momento, dovevano rispettare i piani della Casa Bianca. Tale terza dimostrazione di forza verbale, non necessaria se si suppone che l’incontro si svolgeva a Washington e che l’OSA ha come guida spirituale gli Stati Uniti, confermava che le cose non andavano bene come celebrata a margine da Pence e Trujillo.
Di nuovo, ancora senza successo, gli Stati Uniti giocarono l’estrema polarizzazione nell’organizzazione sul Venezuela puntando alla vittoria politica su un obiettivo difficile da raggiungere. Il “tutto o niente” tipico e sempre meno efficace, che tanti risultati negativi ha portato all’amministrazione Trump nei conflitti esistenziali contro Russia, Cina, Siria, Iran, Corea democratica e ovviamente Venezuela. Fare la stessa cosa più e più volte e aspettarsi risultati diversi viene spesso usato come frase che spiega bene il concetto di follia; in termini politici e diplomatici, gli Stati Uniti pensavano che, lavorando nello stesso modo dal 2016, applicando le stesse formule e esercitando lo stesso tono, avrebbero raggiunto, ora e per sempre, l’obiettivo di scomunicare il Venezuela.
Più che valida tale espressione, perché se c’è un’istituzione che rappresenta al meglio la religione del libero mercato e del saccheggio transnazionale è proprio l’OSA. La similitudine non solo dice ciò che è evidente, ma mostra anche la mancanza di pensiero creativo e di comprensione flessibile dell’ambiente internazionale dai funzionari statunitensi nell’interpretare il momento e raggiungere approcci tattici per sminuire la belligeranza nell’approccio venezuelano. Esattamente, e con fastidio di Mike Pence, successe il contrario: il comportamento ostile di Carlos Trujillo e il linciaggio combinato dei Paesi del gruppo di Lima, diedero ulteriore peso alle argomentazioni del Ministro degli Esteri venezuelano Jorge Arreaza, generando un posizionamento difensivo e ostinato, atteggiamenti che colpiscono in qualsiasi scenario diplomatico Stati Uniti e vassalli. Così passarono i due giorni dell’Assemblea Generale, centralizzando l’agenda sulla situazione venezuelana.
I Paesi del gruppo di Lima, in particolare Brasile, Canada e Cile, tra gli altri, ebbero un particolare rilievo nel linciaggio del Paese cercando di imporre l’apparenza che tali attacchi fossero parte del “clamore emisferico” e non un piano che Mike Pence aveva delineato un mese prima. Alcuna sorpresa.
Risoluzione espressa come premio di consolazione
Il bilancio finale di tale offensiva diplomatica degli Stati Uniti è più che dimostrativo, dato che l’unica cosa che ottenevano fu una risoluzione supportata da 19 dei 24 Paesi necessari per sospendere il Venezuela dall’agenzia. 11 astensioni e 4 voti contrari completarono il quadro generale del voto nominale della risoluzione.
Quindi, di fronte all’urgente necessità di consolidare un’azione di forza contro il Venezuela, quando rimasero 11 mesi per materializzarne il ritiro dall’organizzazione, l’amministrazione Trump ottiene una risoluzione in cui cerca d’impegnare i ministri degli esteri della regione in futuro nell’applicazione della Carta Democratica, un obiettivo che non raggiunge dal 2016. Ripete, ancora una volta, la stessa correlazione di forze del 2016, 2017 e febbraio di quest’anno, dove i Paesi che sostengono, con sfumature se guardiamo alle nazioni caraibiche, alcuni piani dell’agenda statunitense, non hanno mai superato la barriera dei 20 Paesi membri. In tale contesto, gli Stati Uniti col gruppo di Lima, hanno dovuto accontentarsi di una risoluzione simbolica , piuttosto un premio di consolazione, che richiedeva:
– Qualificare le elezioni presidenziali del 20 maggio al di fuori degli “standard internazionali”, senza appellarsi alla verbosità della “frode”.
– Un dialogo nazionale etereo e senza via pratica che “consenta elezioni libere”.
– Applicare misure (senza fare alcun riferimento specifico) per “ripristinare la democrazia in Venezuela”.
– Consentire l’ingresso di “aiuti umanitari” e assistere “gli immigrati venezuelani”, ripetendo la stessa risoluzione approvata a febbraio.
– Trattare la sospensione del Venezuela in un’eventuale riunione straordinaria dei ministri degli Esteri, senza specificarne la data.
In termini politici, l’approvazione di tale risoluzione implica la sconfitta politica degli Stati Uniti, poiché l’obiettivo fondamentale era la sospensione. A questo punto del conflitto, abbassare la barra e accontentarsi di un documento diplomatico che non ne rappresenta gli obiettivi strategici, non può essere descritto come esito positivo: in nessun punto la risoluzione menziona il sostegno alle sanzioni di Washington, un piano di supporto che ha cercato di generare la creazione e il lancio del Gruppo Lima.
Tale fiasco è stato osservato in diversi momenti politici chiave dell’Assemblea Generale, dominati da verbosità aggressiva e basso livello istituzionale dei Paesi alleati degli Stati Uniti. Casi che, sebbene ripetitivi, non mancano di mostrare in ogni aspetto la stasi diplomatica che la politica di Washington ha nell’ente che Fidel Castro chiamava “Ministero delle Colonie”. Un aspetto essenziale della risoluzione è la composizione ibrida avvicinando i Paesi neutrali dell’organizzazione all’agenda degli Stati Uniti, perciò appariva un flebile appello al dialogo insieme all’ignoranza delle elezioni presidenziali e all’offerta di “aiuti umanitari”.
Tuttavia, dati toni ed indirizzo del discorso, la risoluzione non consentiva di portare oltre l’agenda di sanzioni degli Stati Uniti per distruggere l’economia nazionale del Venezuela, almeno dalla piattaforma OSA che essendo delegittimata dal governo bolivariano, crea ostacoli alla permanenza della pressione diplomatica. Andare oltre significava per Washington distanziarsi ancora dai nuovi Paesi e di conseguenza assenza di copertura diplomatica per legittimare i successi attacchi finanziari. Se in futuro numerosi Paesi non si uniranno alla sospensione al Venezuela e alla rottura delle relazioni economiche e commerciali, la risoluzione, anche col sostegno dei 19 Paesi, tra cui certuni dei Caraibi, rimarrà irrilevante che non avrà il sostegno necessario affinché gli Stati Uniti adempiano alla politica del confronto col Venezuela.
Di fronte a tale nuovo fiasco, il governo venezuelano guadagnava tempo e spazio di manovra: due elementi fondamentali per difendersi dalle misure unilaterali che potrebbero arrivare per compensare la sconfitta nell’assemblea generale.
Pressioni, minacce e momenti chiave
Tutto quanto era accompagnato inoltre da un fatto inedito, più perché reso pubblico che per altro motivo, di un alto funzionario come il vicepresidente: l’appello al presidente ecuadoriano, Lenín Moreno, da Mike Pence per sostenere la sospensione.
Sulla stessa falsariga c’erano le dichiarazioni del dipartimento di Stato, che annunciavano di “prendere atto” di chi sosteneva e chi respingeva tale mozione, intimando rappresaglie. Una pratica comune nei contesti internazionali in cui gli Stati Uniti sono in svantaggio.
L’anno scorso, quando il senatore Marco Rubio minacciò El Salvador, Haiti e Repubblica Dominicana per non aver sostenuto l’attuazione della Carta Democratica al Venezuela, fu una tentata pubblica estorsione degli Stati Uniti. In tale contesto di pressioni, nelle quattro sessioni dell’Assemblea, si osservò l’insulto politico riflesso dalla reazione esagerata sul caso venezuelano, tra cui la dichiarazione del ministro degli Esteri cileno Roberto Ampuero che accusava l’omologo venezuelano Jorge Arreaza d’essere “il perfetto rappresentante del regime dittatoriale di Nicolás Maduro”, una diatriba tipica da capo antichavista come María Corina Machado che di un rappresentante diplomatico di uno Stato membro dell’OSA.
Una riflessione che, oltre a uscire dalle forme minimali che dovrebbero regnare in uno quadro come l’OSA, chiarisce anche la colonizzazione del discorso anti-venezuelano esportato da Marco Rubio, forse una delle voci che ha meno valore e tatto nel costruire il consenso a coercizione e pressione sui Paesi della regione. In tale senso, lo scontro tra il cancelliere venezuelano con l’omologo argentino Jorge Faurie e colombiana María Ángela Holguín, hanno anche mostrato la fine di qualsiasi accenno istituzionale di tale coalizione, evidenziando assenza di leadership alternativa al degli Stati Uniti sul Venezuela, come visto nei precedenti tentativi frustrati d’isolare il Paese dall’organizzazione.
Forse uno degli esempi più eclatanti di questa mancanza di professionalità e rispetto fondamentale delle regole e dei protocolli dell’OSA, si vide nella terza sessione quando il cancelliere del Paraguay, Eladio Loazaiga, arbitrariamente tolse la parola al Ministro degli Esteri Jorge Arreaza, abituato a rispondere al rappresentante degli Stati Uniti nell’OSA Carlos Trujillo sugli effetti delle sanzioni al Paese. In tale contesto, il Venezuela, nella voce di Arreaza, ebbe un quadro favorevole confrontandosi direttamente con la Casa Bianca e il gruppo di Lima in un clima che evidenziava la chiara natura unilaterale delle misure finanziarie contro la Repubblica bolivariana.
Conclusione e proiezioni future di questo nuovo round all’OSA
È interessante notare che ci sono ancora 11 mesi per formalizzare l’uscita del Venezuela dall’agenzia, quindi l’intenzione degli Stati Uniti è ottenerne simbolicamente la sospensione per mostrare un risultato diplomatico minimo. Il pretesto che, inoltre, gli permetta di continuare ad aggravare le misure unilaterali, al di fuori del diritto internazionale, oltre a spingere i compari ad indurire l’assedio.
Finora, e nonostante l’amministrazione Trump, alcuno dei Paesi alleati si è mostrato incline a prendere sanzioni economiche dello stesso peso di quelle firmate dal presidente degli Stati Uniti, né ha rotto i rapporti commerciali con Caracas. Per ora il costo politico nel non raggiungere l’obiettivo, presentato come infallibile, ricade sul duo Pence/Pompeo, ma anche su Marco Rubio e la lobby anti-venezuelano della Florida del Sud, che ha María Corina Machado e la coalizione Soy Venezuela come facciata per legittimare sull’interferenza degli Stati Uniti in Venezuela.
Hanno tutti perso. Mancano ancora i 24 voti necessari per un’eventuale sospensione dall’ente, così il vicepresidente Mike Pence annunciava un prossimo tour in Brasile ed Ecuador per fare la dovuta pressione per ottenerli. Anche con tale nuovo tour, Washington difficilmente riuscirà ad avere tutti tali voti nell’orizzonte, ancora una volta, dell’obiettivo irraggiungibile, dato che l’unico consenso con cui potrebbe esercitare una qualche influenza sarebbe lo scenario del dialogo: scenario da cui l’opposizione legata agli Stati Uniti fugge data la fine garantita del capitale politico che rappresenta stingere la mano di Maduro.
La politica di pressione dell’amministrazione Trump si traduce nell’espulsione del Venezuela dall’OSA e nella relazione costruttiva col gruppo Lima. In tale modo, Washington, nel tentativo d’isolare il Venezuela, inibisce il proprio soft power negoziale nell’influenzare in modo efficace lo scenario venezuelano.
Tale realtà dimostra l’incapacità dell’amministrazione Trump di mutare l’agenda emisferica del consenso sul Venezuela che sia completa e inclusiva al fine di favorire la propria strategia sull’ulteriore escalation. Un fatto marginale, ma di chiaro contenuto politico è che, col Venezuela al di fuori dell’organizzazione, l’anno prossimo l’OSA potrebbe inscenare la discussione sul trattamento dell’amministrazione Trump nei confronti degli immigrati latinoamericani e la costruzione del muro al confine col Messico.
Dato l’imminente trionfo di Manuel López Obrador in Messico, sicuramente la prossima Assemblea Generale dell’OSA avverrebbe in un clima molto sfavorevole per gli Stati Uniti, dediti a linciare senza successo la Repubblica Bolivariana del Venezuela.
Traduzione Alessandro Lattanzio https://aurorasig.wordpress.com