Franco Vielma http://misionverdad.com
L’assordante struttura propagandistica che è stata costruita attorno alla “crisi umanitaria” in Venezuela è stata sempre messa a punto per ottenere, mediante questa, che il Venezuela si collocasse di fronte alla comunità internazionale in questo scenario, e con questo promuovere o accettare un “necessario aiuto umanitario” cordialmente patrocinato dagli USA, lo stesso che orchestra il blocco economico-finanziario contro il paese.
E’ inutile sottolineare questa enorme contraddizione. Potrebbe sembrare ovvia a chi politicamente ha più di due dita di cervello.
Sull’ “aiuto umanitario” è necessario accettare che, naturalmente, una popolazione colpita da una crisi alimentata da fattori dominanti nell’economia, nella sfera interna ed esterna, è suscettibile alla propaganda. Di fronte ad innegabili livelli di deterioramento economico che si presentano come ferite di guerra, la disperazione sfumata in diverse tonalità campeggia.
Emerge in questo corollario la propaganda antichavista, che appare, ora, promettendo con molta pompa un “miglioramento della situazione” a spese del promosso aiuto, una parata in cui sono allineati dai leader della MUD, alcune ONG venezuelane che ricevono dollari dall’USAID, e persino gli stessi promotori politici venezuelani delle sanzioni che si trovano all’estero. Quest’ultimo gruppo è il più cinico di tutti.
Leggasi bene: l’ “aiuto umanitario” ha centralizzato gran parte del discorso anti-chavista e si è posizionato come una narrazione consistentemente sbandierata, che è stata una carota che è apparsa nelle “proposte” della campagna di Henri Falcon e Javier Bertucci. È, inoltre, un elemento condizionante che presuppongono gli USA, l’Unione Europea (UE) ed i paesi del Gruppo di Lima per considerare “regolarizzata” la situazione venezuelana.
All’unisono con questo fragore nei media convenzionali, la replica nei social network è sproporzionata. La presentazione del “disastro umanitario” venezuelano fa apparire l’ “aiuto umanitario” come una grande urgente panacea, qualcosa che “allevierebbe in modo significativo le devastazioni della crisi”, una specie di “enorme contributo per lottare contro il disastro”.
Quella presentazione di un “Venezuela affamato” implica, nell’abbindolato “aiuto umanitario”, un “superamento della catastrofe”; si traduce nelle aspettative dei consumatori di propaganda anti-chavista come bistecca sul piatto diversi giorni alla settimana, o risolvere la questione del pane quotidiano, o un integrale miglioramento della situazione.
Alla promozione dell’ “aiuto umanitario” sono state aggiunte cifre. Recentemente gli USA, attraverso l’USAID, hanno annunciato un nuovo contributo di 16 milioni di $ per l’ “assistenza umanitaria” del Venezuela, in concreto per i venezuelani che hanno lasciato il loro paese per la Colombia. Questo contributo si aggiunge a quello realizzato a marzo, per 2,5 milioni di $, in “assistenza alimentare e sanitaria” a quello stesso gruppo di venezuelani. Dando così continuità a un programma di aiuti che ha già speso 21 milioni dei contribuenti USA dal 2017.
In termini pratici, l’ “aiuto umanitario” USA volto al Venezuela si è tradotto (non esagero, ho le prove) in una sandwich, un paracetamolo (aspirina) ed una bottiglia di acqua minerale, che i venezuelani migranti mettono nella loro valigia, che già contiene arepas ripiene (pagnotta) coperto con un foglio di alluminio. Una provvista per il viaggio.
Un’iniziativa di “aiuto umanitario” da parte della UE fornirà denaro contante per “alleviare” la crisi venezuelana e dei paesi che accolgono i venezuelani che se ne sono andati. La consegna di questo “nuovo pacchetto di aiuti di emergenza e sviluppo” è stimata in 35,1 milioni di €.
La matematica smentisce “l’aiuto”
Al di là dell’ostentazione pubblicitaria intorno alla presentazione di questo quadro di “disastro umanitario” e l’ “aiuto umanitario” che arriva come Superman, è più odioso la sua tendenziosa gestione politica, confutata dalla forza di alcune cifre.
Insomma, i contributi riportati, fino ad oggi, dagli USA e dalla UE si aggirano sui 60 milioni di $, e questo ci porta, obbligatoriamente, a chiederci: questi importi sono significativi? Quale somma in $ può combattere, significativamente, le circostanze del Venezuela? Quanto rappresenta in termini reali la somma dell’ “aiuto”?
La presentazione del quadro dell’ “affamato” Venezuela, che sarebbe, come alcuni dicono, “superata” grazie agli “aiuti umanitari”, è estremamente subdola trattandosi di alimenti. I presentatori di quella panacea nascondono, con ciò, il problema.
Facciamo alcuni calcoli. Nel 2017, il Venezuela ha subito un calo nella rotazione del riso, essenziale la cui produzione in terra venezuelana lo scorso anno è stata pari al 28,9% del consumo medio nazionale degli anni precedenti. Secondo Fedeagro, la media storica del consumo si trova a 1 milione 400 mila tonnellate all’anno. La produzione nazionale fu di 405 mila tonnellate.
Il prezzo internazionale del riso alla fine di aprile di quest’anno equivale a circa 450 $ per tonnellata metrica, secondo il US Department of Agricullture. Se i 60 milioni di $ di “aiuti” fossero destinati solo all’acquisto di riso, il paese potrebbe acquisire solo 133333 tonnellate dell’articolo, appena il 6% del consumo nazionale.
Nel caso del grano, secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), i prezzi del grano USA hanno raggiunto i 246 $ per tonnellata all’inizio dello scorso aprile. A seconda dell’origine del grano, in Venezuela ogni tonnellata potrebbe costare circa 330 $ per i costi di trasferimento.
Se tutti gli “aiuti umanitari” proposti fossero spesi in grano, sarebbero equivalenti all’acquisto di quasi 182 mila tonnellate. Il fabbisogno nazionale mensile è stimato a 90 mila tonnellate dell’articolo in modo che, in teoria, ci sarebbe la piena disponibilità. Tuttavia, lo Stato venezuelano importa, ad oggi, circa 60 mila tonnellate del prodotto, al mese, dalla Federazione Russa.
In riferimento al mais, secondo il suo prezzo internazionale di 175 $ per tonnellata secondo la FAO, che nel porto venezuelano costerebbe circa 250 $, l’ “aiuto umanitario” raggiungerebbe le 240000 tonnellate.
Nel 2016, il direttore di Alimentos Polar, Manuel Felipe Larrazabal, ha segnalato che l’industria della farina precotta venezuelana richiede 1 milione e 400 mila tonnellate, solo di mais bianco, l’anno. L’impatto dell’ “aiuto” sarebbe meno significativo se consideriamo che il mais per il consumo umano, nel 2017, ha avuto una ingannevole rotazione (per diverse variabili), pur essendo il raccolto dello scorso anno, in 1 milione di tonnellate dell’articolo. Livelli accettabili di rifornimento (senza considerare le forme di deviazione degli alimenti che abbiamo conosciuto nella guerra economica) potrebbero costruirsi attorno ai 3 milioni di tonnellate l’anno, cifra che è enormemente lontana da ciò che si potrebbe acquistare con il vantato “aiuto”.
Se ci riferiamo all’ “aiuto umanitario” internazionale attorno ad una combinazione di alimenti, supponiamo identici a quelli CLAP, potremmo calcolarla nel modo seguente. El Estímulo, un media anti-chavista, ha stimato, l’anno scorso, che i prodotti CLAP nel loro paese di origine (Messico) si aggirano per il loro costo a 26 $. Supponiamo che questo costi, oggi, circa 30 $.
Supponiamo che gli USA comprino simili combinazioni per il Venezuela e aggiungiamo a ciò i costi di trasferimento, ad esempio, di circa 10 $ per cassa. Cioè, una combinazione “CLAP Donald Trump Humanitarian Help for Venezuelan Poors” costerebbe circa 40 $. L’ iper-promozionato “aiuto umanitario” raggiungerebbe, per acquisti, solo 1 milione e 500 mila combinazioni, che è significativamente molto inferiore alla copertura fatta dallo Stato venezuelano attraverso 5 milioni di combinazioni allo stesso numero di famiglie, incluse in quel programma con una gamma di frequenza variabile tra 30 e 45 giorni.
Il sovradimensionamento della “mancia umanitaria”
Alla luce di queste cifre, è essenziale sottolineare che lo straccione “aiuto” non avrebbe il suo molto pubblicizzato impatto. I suoi effetti sarebbero molto al di sotto di quanto sperato da coloro che seguono ciecamente i promotori di esso.
Tuttavia, ci sono elementi che potrebbero essere significativi per soddisfare le esigenze dei venezuelani e che ricadono esclusivamente nelle mani del governo USA e UE. Ad esempio, sbrogliare le risorse venezuelane congelate dall’agenzia bancaria Euroclear, parte del sistema finanziario allineato al blocco del Venezuela. Nel novembre dello scorso anno, il presidente Maduro ha denunciato il congelamento di 450 milioni di $ in contanti destinati all’acquisto di medicinali e alimenti e che sono ancora trattenuti da Euroclear. Oltre a circa 1 miliardo e 200 milioni di $ in obbligazioni della Repubblica che rimangono congelati a mercé delle sanzioni emesse dalla Casa Bianca.
Il 1 miliardo e 650 milioni di dollari che Euroclear ha congelato al paese sono risorse 27 volte superiori a quelle della “mancia umanitaria” offerta, oggi, dagli aggressori del Venezuela.
Se la Casa Bianca sopprime il suo ordine esecutivo del 25 agosto, il Venezuela potrebbe tornare sul mercato finanziario e rifinanziare il suo debito, il che significa circa 8 miliardi di $ l’anno. Soldi che sarebbero molto utili per importare cibo, materie per la produzione e medicine. Inoltre, il paese potrebbe acquisire nuovi finanziamenti e rivitalizzare le proprie finanze, potendo emettere nuove obbligazioni che si tradurrebbero in entrate liquide per il paese.
Se, d’altra parte, gli USA consentono alla compagnia venezuelana CITGO di inviare i suoi profitti al Venezuela, cosa che non è permessa grazie alle sanzioni, CITGO potrebbe trasferire alla Repubblica, stimiamo, circa 2 miliardi di $ che oggi sono congelati.
In breve, i sovradimensionati riferimenti ad un assurdo e degradante “aiuto” fornito dalla comunità internazionale all’unisono con le sue stesse azioni di blocco al Venezuela sono condite con una stridente dose di inganno. In questi casi, chi in Venezuela assume seriamente che i paesi che bloccano il paese siano interessati ad aiutarci, mancano di buon senso politico, non conoscono la realtà che devono affrontare e/o sono accecati dalla scaltra propaganda di coloro che colpiscono con un mazza da baseball e poi offrono una caramella.
Una propina: en cifras la “ayuda humanitaria” ofrecida a Venezuela
Franco Vielma
El estruendoso entramado propagandístico que se ha construido alrededor de la “crisis humanitaria” en Venezuela fue siempre afinado para conseguir, mediante ésta, que Venezuela se colocara ante la comunidad internacional en ese escenario, y con ello promover u aceptar una “necesaria ayuda humanitaria” cordialmente patrocinada por Estados Unidos, el mismo que orquesta el bloqueo económico-financiero contra el país.
Demás está subrayar esa enorme contradicción. Podría parecer obvia para quien políticamente tengamos más de dos dedos de frente.
Sobre la “ayuda humanitaria” hay que aceptar que, por supuesto, una población vapuleada por una crisis aupada por factores dominantes en la economía en el ámbito interno y externo es susceptible a la propaganda. Ante unos indiscutibles niveles de deterioro económico que surgen como heridas de guerra, la desesperación matizada desde diversas tonalidades campea.
Sobresale en este corolario el propagandismo antichavista, que luce ahora prometiendo con mucha pompa un “mejoramiento de la situación” a expensas de la promocionada ayuda, una comparsa en la que están alineados desde los dirigentes de la MUD, algunas ONG venezolanas que reciben dólares de la USAID, y hasta los mismos promotores políticos venezolanos de las sanciones que están en el extranjero. Este último grupo es el más cínico de todos.
Léase bien: la “ayuda humanitaria” ha centralizado gran parte del discurso antichavista y se ha posicionado como una narrativa tan consistentemente pregonada, que fue una zanahoria que apareció en las “propuestas” de campaña de Henri Falcón y Javier Bertucci. Es, además, un elemento condicionante que suponen EEUU, la Unión Europea (UE) y los países del Grupo de Lima para considerar “regularizada” la situación venezolana.
Al unísono de este estruendo en medios convencionales, la réplica en redes sociales es desproporcionada. La presentación del “desastre humanitario” venezolano hace lucir a la “ayuda humanitaria” como una gran panacea urgente, algo que “aliviaría significativamente los estragos de la crisis”, una especie de “contribución enorme para palear el desastre”.
Esa presentación de una “Venezuela hambrienta” supone, en la manoseada “ayuda humanitaria”, una “superación de la catástrofe”; se traduce en las expectativas de los consumidores de propaganda antichavista como un bistec en el plato varios días a la semana, o un resuelve al pan de cada día, o un mejoramiento integral de la situación.
A la promo de la “ayuda humanitaria” se le han sumado cifras. Recientemente EEUU, por medio de la USAID, ha anunciado un nuevo aporte de 16 millones de dólares para la “asistencia humanitaria” de Venezuela, concretamente para venezolanos que han salido de su país rumbo a Colombia. Este aporte se suma a uno efectuado en marzo de 2,5 millones de dólares en “asistencia alimenticia y sanitaria” a ese mismo grupo de venezolanos. Dando así continuidad a un programa de ayuda que ya ha gastado 21 millones de los contribuyentes estadounidenses desde 2017.
En términos prácticos, la “ayuda humanitaria” estadounidense destinada a Venezuela se ha traducido (no exagero, tengo pruebas) en un sanduchito, un paracetamol y una botella de agua mineral, que los venezolanos migrantes colocan en su maleta, que ya contiene arepas rellenas cubiertas con papel aluminio. Un avío para el viaje.
Una iniciativa de “ayuda humanitaria” por parte de la UE aportará dinero en metálico para “aliviar” la crisis venezolana y de los países que acogen a los venezolanos que han salido. La entrega de este “nuevo paquete de ayuda de emergencia y desarrollo” está calculada en 35,1 millones de euros.
Las matemáticas desmienten la “ayuda”
Más allá de la parafernalia publicitaria alrededor de la presentación de este cuadro de “desastre humanitario” y la “ayuda humanitaria” que llega como Superman, es más odioso su manejo político tendencioso, refutado por la contundencia de algunas cifras.
En suma, los aportes señalados hasta la fecha por EEUU y la UE redondean unos 60 millones de dólares, y esto obligatoriamente nos lleva a preguntarnos: ¿son significativos esos montos? ¿Qué monto en dólares puede palear significativamente las circunstancias de Venezuela? ¿Cuánto representa en términos reales el monto de la “ayuda”?
La presentación del cuadro de “hambruna” venezolana, y que sería, como dicen algunos, “superada” gracias a la “ayuda humanitaria”, es sumamente artera tratándose de alimentos. Los presentadores de esa panacea barren bajo la alfombra con ellos.
Hagamos algunos cálculos. En 2017, Venezuela sufrió una caída en la rotación del arroz, esencial cuya producción en suelo venezolano el pasado año fue equivalente al 28,9% del consumo interno promedio de años anteriores. Según Fedeagro, el histórico promedio de consumo se ubica en 1 millón 400 mil toneladas al año. La producción nacional fue de 405 mil toneladas.
El precio internacional del arroz para finales de abril de este año equivale a unos 450 dólares por tonelada métrica, según el US Department of Agricullture. Si los 60 millones de dólares de “ayuda” se destinaran sólo para comprar arroz, el país podría adquirir sólo 133 mil 333 toneladas del rubro, apenas el 6% del consumo nacional.
Tratándose del trigo, según la Organización de las Naciones Unidas para la Alimentación y la Agricultura (FAO), los precios del trigo estadounidense alcanzaron los 246 dólares por tonelada para inicios de abril pasado. Dependiendo de la procedencia del trigo, a Venezuela cada tonelada podría costarle unos 330 dólares por costes de traslado.
Si toda la “ayuda humanitaria” planteada se gastara en trigo, equivaldría a la compra de casi 182 mil toneladas. El requerimiento nacional mensual está estimado en 90 mil toneladas del rubro para que, en teoría, hubiera pleno abastecimiento. No obstante, el Estado venezolano importa a la fecha unas 60 mil toneladas del rubro mensuales desde la Federación Rusa.
En referencia al maíz, acorde a su precio internacional de 175 dólares por tonelada según la FAO, que costaría en puerto venezolano unos 250 dólares, la “ayuda humanitaria” alcanzaría para adquirir 240 mil toneladas.
En 2016, el director de Alimentos Polar, Manuel Felipe Larrazábal, señaló que la industria de harina precocida venezolana demanda 1 millón 400 mil toneladas, sólo de maíz blanco, al año. El impacto de la “ayuda” sería menos significativo si sopesamos que el maíz para consumo humano en 2017 tuvo una escamoteada rotación (por diversas variables), aún siendo la cosecha del año pasado, en 1 millón de toneladas del rubro. Unos niveles de abastecimiento aceptables (sin contar con las formas de desviación de alimentos que hemos conocido en guerra económica) podrían construirse alrededor de unas 3 millones de toneladas al año, cifra que dista enormemente de lo que podría adquirirse con la cacareada “ayuda”.
Si referenciamos la “ayuda humanitaria” internacional alrededor de un combo de alimentos, supongamos, idéntico al de los CLAP, podríamos calcularlo de la siguiente manera. El Estímulo, medio antichavista, calculó el año pasado que los productos CLAP en su país de origen (México) redondean su costo por los 26 dólares. Supongamos que eso cueste, al día de hoy, unos 30 dólares.
Asumamos que EEUU comprará combos similares para Venezuela, y sumemos a ello los costos de traslado, supongamos, unos 10 dólares por caja. Es decir, un combo “CLAP Donald Trump Humanitarian Help for Venezuelan Poors” costaría unos 40 dólares. La hiperpromocionada “ayuda humanitaria” alcanzaría para adquirir, apenas, 1 millón 500 mil combos, que es significativamente mucho menos que la cobertura que hace el Estado venezolano mediante 5 millones de combos a igual número de familias, incluidas en ese programa con un rango de frecuencia variable entre 30 y 45 días.
El sobredimensionamiento de la “propina humanitaria”
A la luz de estas cifras, es indispensable destacar que la fulana “ayuda” no tendría su pregonado impacto. Sus efectos estarían muy por debajo de lo esperado por parte de quienes siguen ciegamente a los promotores de ella.
No obstante, sí hay elementos que podrían ser significativos para atender las necesidades de los venezolanos y que recaen exclusivamente en manos del gobierno estadounidense y la UE. Por ejemplo, desentrabar los recursos venezolanos congelados por la agencia bancaria Euroclear, pieza del sistema financiero alineada en el bloqueo a Venezuela. En noviembre del año pasado, el presidente Maduro denunció la congelación de 450 millones de dólares en efectivo que estaban destinados para la compra de medicinas y alimentos y que siguen retenidos por Euroclear. Además de unos 1 mil 200 millones de dólares en bonos de la República que permanecen congelados a expensas de las sanciones emitidas por la Casa Blanca.
Los 1 mil 650 millones de dólares que Euroclear le ha congelado al país son recursos 27 veces superiores a los de la “propina humanitaria” que hoy ofrecen los agresores de Venezuela.
Si la Casa Blanca suprime su orden ejecutiva del 25 de agosto, Venezuela podría volver al mercado financiero y refinanciar su deuda, que significa unos 8 mil millones de dólares al año. Dinero que sería muy útil para importar alimentos, insumos para la producción y medicamentos. Además, el país podría adquirir nuevo financiamiento y revitalizar sus finanzas, pudiendo emitir nuevos bonos que se traducirían en ingresos líquidos al país.
Si, por otro lado, EEUU permite a la empresa venezolana CITGO enviar sus ganancias a Venezuela, cosa que no es permitida gracias a las sanciones, CITGO podría transferir a la República, estimamos, unos 2 mil millones de dólares que hoy están congelados.
En suma, las sobredimensionadas referencias a una absurda y degradante “ayuda” provista por la comunidad internacional al unísono de sus propias acciones de bloqueo a Venezuela vienen aderezadas con una estridente dosis de falacia. En estas instancias, quien en Venezuela asuma seriamente que los países que bloquean al país están interesados en ayudarnos, carecen de sentido común político, no conocen la realidad que les toca lidiar y/o están enceguecidos por la propaganda artera de quien golpea con un bate y luego ofrece un caramelo.