Contro coloro che pretendono di ridurlo a una cartolina o a una moda, vi sono le domande insoddisfatte di una società che chiede ancora giustizia.
Ernesto Guevara de la Serna non è semplicemente il personaggio romantico e romanzesco che ancora viene dipinto (anche se la sua vita sembra – e merita – una grande romanzo epico). Il Che non è l’icona della moda, un mero riferimento estetico, un prodotto dei mercati e delle boutique (benché tanta gente porti con orgoglio la sua immagine stampata sui vestiti). Il Che è molto più della cartolina o del poster, o del giro turistico per i monumenti che lo ricordano. Ernesto Guevara deve essere più che una pagina sui libri di storia.
A novanta anni dalla sua nascita, la sua lotta continua inconclusa.
Pertanto, il Che ha ancora molto da fare.
Le ingiustizie che ha denunciato e combattuto persistono, e in alcuni casi si sono aggravate. La piena dignità dell’uomo (di milioni di persone nel mondo intero) è ancora un’utopia. I tempi sono cambiati (e con loro gli strumenti per assumerli e trasformarli), ma l’ansia di emancipazione continua intatta, anche se tanta gente sembra sonnacchiosa.
Commercializzare l’impatto di una personalità politica e culturale di questa statura non è una casualità, fa parte di un impegno ben ponderato: il diabolico meccanismo che banalizza quelli che lo affrontano, li trasforma in figurini. Il Che non può morire perché la società contemporanea ha domande insoddisfatte che l’eroe ha contribuito a identificare. E ha anche offerto un esempio di azione legata al pensiero. Coloro che sostengono l’idea che il divenire del Che fu una strada verso il fallimento, la conferma di un errore strategico, ignorano l’impero delle circostanze. E soprattutto, la forza dell’esempio. Il cammino dei precursori non è mai tranquillo. E il Che ha aperto una strada. È lì, bisogna raggiungerlo.
Autore: Yuris Nórido – Traduzione: Redazione di El Moncada