Ana Cristina Bracho http://misionverdad.com
Quando in Brasile si è prodotta la privazione della libertà dell’ex presidente, Luiz Inácio Lula da Silva, il professore argentino Atilio Boron ha spiegato come l’imperialismo sta ora utilizzando il sistema di giustizia per ottenere quello che una volta gli hanno garantito i militari.
In questo contesto, ha detto che “ciò che prima richiedeva l’intervento delle forze armate oggi lo fanno nuovi attori, opportunamente indottrinati e formati da varie agenzie del governo USA con i suoi programmi di buone pratiche. Queste selezionano giudici, pubblici ministeri, legislatori e giornalisti e offrono loro corsi specializzati sui temi di loro competenza”.
Queste manovre le abbiamo viste con grande intensità nel sud del continente dove già si è naturalizzato l’anglicismo lawfare per riferirsi a questa strategia che abbiamo visto aver successo contro Luiz Inácio Lula da Silva ed il Vice Presidente dell’Ecuador, Jorge Glas, così come tentarsi contro Rafael Correa e Cristina Fernández de Kirchner.
Nel nostro caso, abbiamo potuto vedere -e non meno importante– come si sono intentati processi in Venezuela quando, dalla Procura Generale della Repubblica, rappresentata in quel momento da Luisa Ortega Diaz, si sono presentate azioni azioni che non hanno avuto esito per non avere a loro favore né la legislazione né la magistratura, e come davanti a tale frustrazione il lawfare ha acquisito un nuovo aspetto: lapersecuzione giudiziaria internazionale contro il governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela.
E’ proprio questo il compito che ci riunisce oggi, il dipanare lo scenario di un processo che è stato annunciato davanti alla Corte Penale Internazionale (CPI) e con cui il segretario dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA cerca, dal 2017,) garantire la partecipazione del suo ufficio benché il Diritto non glielo consenta.
Osservazione preliminare: come funziona il sistema internazionale?
Non v’è alcuna Scuola di Diritto che ci inizi gli studi giuridici parlando della nozione di Stato, di questa costruzione che vediamo onnipresente capace di sottomettere i propri cittadini a leggi che possono non piacergli, pagare imposte e obbedirgli. Lo Stato è un concetto importante per capire che cosa è il Diritto, perché ci rendiamo conto che questo è un un principio preliminare, esterno e che ha poco a che fare con la nostra volontà.
Quindi, cercare di comprendere il Diritto Internazionale è una sfida per le classiche dottrine giuridiche e politiche, perché in esso, i principali soggetti sono dotati di un potere che non ha eguali nell’ambito nazionale: la sovranità. Sulla base di questo, gli Stati decidono obbligatsi e possono cambiare idea, non hanno alcuna forza che li obblighi giuridicamente come i cittadini sono obbligati nei loro paesi.
Per queste ragioni, tradizionalmente si riteneva che il Diritto Internazionale non fosse molto più che un sistema di regole di convivenza, non giuridiche che si rispettano per cortesia e la cui massima garanzia di compimento era ancorata alla promessa di reciprocità internazionale. Così, nella commitas gentium c’era molto interesse a non nuocere ad un altro affinché questo non attentasse contro di noi.
Nel discorso più diffuso, i cambi centrali del Diritto Internazionale sono riportati nel XX secolo, soprattutto dopo la II Guerra Mondiale, quando, a causa delle dei gravi danni che si sono verificati in questo conflitto, si sono stabilite le basi di una nuova convivenza che sarebbe stata garantita nel sistema dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).
Quindi, allo stato attuale, il Diritto Internazionale è un insieme di strutture principalmente divise in due sistemi: il sistema universale che tenta di riunire nell’ONU tutti gli Stati riconosciuti ed ha diverse aree tematiche; ed il sistema regionale, che si riferisce ad unioni continentali, principalmente rappresentate dal sistema europeo ed interamericano, avendo gli altri continenti un minore livello di sviluppo.
Pertanto, la regola principale, essendo lo Stato un essere sovrano, è che i governi devono dare il loro consenso per essere vincolati e possono ritirarsi dagli spazi internazionali a cui appartengono. Cioè, a differenza di un cittadino di un qualche paese, lo Stato sì ha il diritto di decidere che cosa va ad obbligarsi, a chi permettere che gli venga a a chiedere conto e, in caso di un certo rilievo, con il potere di andarsene.
Alcuni autori dissidenti pensano che ciò non è avvenuto in questo modo, perché per giungere all’attuale Diritto Internazionale, prima della II Guerra Mondiale e dopo di essa, avremmo visto processi fondamentali come l’Indipendenza d’America e l’Indipendenza dell’Africa, che andavao a esigere l’esistenza di alcuni principi quali: l’uguaglianza giuridica degli Stati, l’autodeterminazione dei popoli e la condanna dell’uso della forza, che formano anche punti chiave per capire cos’è il Diritto Internazionale.
Con questo come norma, nessuno deve sorprendersi che non esista un solo trattato che sia firmato da tutti gli Stati, per cui pensare a questi temi sempre ci evidenzia che non esiste un solo standard ma molti, la cui intensità sarà determinata da ciascuno dei soggetti internazionali.
Nel nostro caso, il Venezuela è un paese che ha una storia di ratificare la maggior parte dei trattati internazionali, essendo anche stata, nel corso della sua vita repubblicana, una nazione proattiva sulla scena internazionale e avendo vissuto, in tempi rivoluzionari, un periodo in cui con tutta serietà si propose contribuire all’equilibrio internazionale delle nazioni, proponendo nuove organizzazioni internazionali, nuovi soggetti internazionali (come i popoli indigeni) o nuove carte dei diritti (come la Carta Sociale delle Americhe). Per questo motivo, il Venezuela fa parte del sistema interamericano e delle unioni nostre-americane (UNASUR e CELAC) e di quasi tutte le istanze del tessuto ONU.
Ora il momento che vive il Venezuela nel sistema internazionale è estremamente complicato e la principale caratteristica è che è attualmente vittima di una persecuzione che è guidata dal Segretariato Generale dell’OSA, che è diretta dall’ uruguaiano Luis Almagro, eletto in carica nel marzo 2015, con 33 voti a favore, tra cui quello del Venezuela e di tutti i governi progressisti della regione che sono stati spiazzati con il suo consenso o indifferenza.
I capitoli precedenti
Quando Almagro è stato eletto dopo essere stato l’unico candidato per sostituire il cileno José Miguel Insulza, l’allora Cancelliere della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Delcy Rodríguez, ha festeggiato il suo arrivo perché gli anni precedenti -tutti dall’inizio della Rivoluzione- si erano caratterizzati dalla decisione dell’OSA di portare tutte le questioni che fossero possibili davanti alla Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), per cui si allontanava anche dalla sua stessa dottrina, scrivendo una sezione separata per il Venezuela i cui casi si è ordinato processare più velocemente e senza richiedere l’esaurimento delle risorse interni, considerando che nel paese si vive in un clima di impunità.
Questo ci porta necessariamente a considerare alcuni fatti storici come il fatto che il Venezuela è uno dei membri fondatori della OSA e, senza dubbio, padre dell’idea dell’unione americana, tradita al Congresso di Panama. Il sistema interamericano è in sé il modo in cui si è instrumentato il pensiero che si è opposto ai piani di Bolivar ed ha accettato la Dottrina Monroe, per cui è stato così giustamente definito da Fidel Castro come il “Ministero delle Colonie” degli USA.
In qualità di membro fondatore, il Venezuela è stato presente, in tutta la storia dell’organizzazione, in tempi in cui si stavano attuando pratiche contrarie ai popoli e tenendo a nostro favore la dignità di alcuni cancellieri che hanno difeso i propri ideali, persino se questo non fu quello che si pensava, ha istruito da Caracas che, in quel momento, puntava a seguire gli ordini di Washington.
Così, il Venezuela è stato anche parte del sistema inter-americano dei diritti umani sin dalla sua genesi e durante il lungo periodo di inattività delle sue istanze, noto come il tempo della disoccupazione tecnica, perché la Commissione e la Corte dei Diritti Umani, per molti anni, sono stati senza pronunciarsi su qualsiasi situazione nel continente.
Alcuni dati danno conto di ciò che stiamo esponendo. Possiamo osservare, per esempio, il caso della CIDH, la cui normativa è entrata in vigore il 18 luglio 1978 ed iniziò formalmente ad operare il 3 settembre 1979. Da quella data fino alla fine della IV Repubblica, questo organismo ha dettato solo tre sentenze sul Venezuela:
Corte IDH. Caso El Amparo Vs Venezuela. Interpretazione della Sentenza su Riparazioni e Costi. Ordinanza della Corte del 16 aprile 1997. Serie C n. 46.
Corte IDH. Caso El Amparo Vs Venezuela. Riparazioni e Costi. Sentenza del 14 settembre 1996. Serie C n. 28.
Corte IDH. Caso El Amparo Vs Venezuela. Fondo. Sentenza del 18 gennaio 1995. Serie C n. 19.
Mentre dall’arrivo del presidente Chávez al governo venezuelano, la Corte Interamericana ha emesso 193 sentenze relative al caso venezuelano. Ciò che è giunto ad essere considerato, da Caracas, come un’azione di persecuzione che è stata cantestata dalla diplomazia creola attraverso il meccanismo previsto dal Patto di San José per opporsi alle azioni della CIDH: la denuncia della giurisdizione inter-americana, atto che si è configurato attraverso comunicazione, diretta al Segretario Generale dell’OSA, il 10 settembre 2012.
In questo contesto è imperioso renderci conto che la persecuzione inter-americana contro il Venezuela andava avanti da anni, ma che da settembre 2012 ha perso il suo principale strumento perché il CIDH è l’unica istanza capace di sanzionare il Venezuela al considerare l’esistenza di responsabilità dello Stato derivate dalla mancanza di rispetto dei diritti umani.
Uscendo il Venezuela dal sistema, alla Corte è solo rimasto continuare a conoscere cause in corso o che erano state generate in un periodo di tempo già trascorso, per cui le questioni sono cominciate ad esaurirsi davanti alla Commissione Interamericana che non ha giuridicamente la forza per sanzionare alcuno Stato, iniziando così il lavoro per spostare il tema ai forum politici dell’organizzazione, che è stato limitato, nel 2017, da Caracas quando ha annunciato il ritiro dal paese dall’OSA, periodo questo in cui è iniziata l’avventura delle istanze interamericane di fabbricare un caso da ventilare all’Aia.
La persecución de Venezuela desde la OEA: el inicio de la historia
Ana Cristina Bracho
Cuando en Brasil se produjo la privación de libertad del ex presidente, Luiz Inácio Lula da Silva, el profesor argentino Atilio Borón explicó cómo el imperialismo usa ahora el sistema de justicia para conseguir lo que en otrora les garantizaron los militares.
En este contexto, dijo que “lo que antes requería la intervención de las fuerzas armadas hoy lo hacen nuevos actores, convenientemente adoctrinados y entrenados por diversas agencias del gobierno de Estados Unidos con sus programas de buenas prácticas. Estos seleccionan jueces, fiscales, legisladores y periodistas y les ofrecen cursos especializados sobre los temas de su incumbencia“.
Estas maniobras las hemos visto con mucha intensidad en el sur del Continente donde ya se ha naturalizado el anglicismo lawfare para referir esta estrategia que vimos tener éxito en contra de Luiz Inácio Lula da Silva y el vicepresidente de Ecuador, Jorge Glas, así como intentarse en contra de Rafael Correa y Cristina Fernández de Kirchner.
En nuestro caso, podríamos ver -y no deja de tener interés- cómo se intentaron juicios en Venezuela cuando, desde la Fiscalía General de la República, representada en ese momento por Luisa Ortega Díaz, presentó acciones que no prosperaron por no tener a su favor ni la legislación, ni el Poder Judicial, y cómo ante esa frustración el lawfare ha adquirido una nueva faceta: la persecución judicial internacional en contra del gobierno de la República Bolivariana de Venezuela.
Es precisamente ésta la tarea que nos convoca hoy en día, el desenmarañar el escenario de un juicio que ha sido anunciado ante la Corte Penal Internacional (CPI) y con el cual busca, desde el 2017, el Secretario de la Organización de Estados Americanos (OEA) garantizar una participación de su oficina aunque el Derecho no se lo permita.
Nota previa: ¿cómo funciona el sistema internacional?
No existe una Escuela de Derecho que no empiece los estudios jurídicos hablando de la noción de Estado, de esta construcción que vemos omnipresente capaz de someter a sus ciudadanos a leyes que pueden no gustarles, a pagar impuestos y a obedecerles. El Estado es un concepto importante para entender qué es el Derecho, porque entendemos que este es una norma previa, externa y que poco tiene que ver con nuestra voluntad.
De allí que intentar entender el Derecho Internacional sea un reto para las doctrinas jurídicas y políticas clásicas, porque en él, los principales sujetos, están dotados de un poder que no tiene parangón en el ámbito nacional: la soberanía. Con base a este, los Estados deciden obligarse y pueden cambiar de opinión, no tienen ninguna fuerza que les obligue jurídicamente como a los ciudadanos se les obliga en sus países.
Por estas razones, tradicionalmente se sentía que el Derecho Internacional no era mucho más que un sistema de normas de convivencia, no jurídicas que se cumplían por cortesía y cuya máxima garantía de cumplimiento estaba anclada en la promesa de la reciprocidad internacional. Así, en el commitas gentium había mucho interés en no dañar a otro para que este no atentara contra nosotros.
En el discurso más difundido, los cambios centrales del Derecho Internacional se dan en el siglo XX, en especial después de la Segunda Guerra Mundial, cuando, debido los grandes destrozos que en ese conflicto ocurrieron, se fijaron las bases de una nueva convivencia que estaría garantizada en el sistema de la Organización de las Naciones Unidas (ONU).
Así las cosas, en el presente, el Derecho Internacional es un conjunto de estructuras divididas principalmente en dos sistemas: el sistema universal que intenta reunir en la ONU a todos los Estados reconocidos y tiene distintos espacios temáticos; y el sistema regional, que se refiere a uniones continentales, principalmente representadas por el sistema europeo y el sistema interamericano, teniendo los otros continentes un nivel menor de desarrollo.
Por ello, la regla principal, al ser el Estado un ser soberano, es que los gobiernos deben dar su consentimiento para obligarse y pueden retirarse de los espacios internacionales a los que pertenecen. Es decir, que a diferencia de un ciudadano de algún país, el Estado sí tiene derecho a decidir a qué va a obligarse, a quién le va a permitir que le venga a exigir rendir cuentas y, en caso de algún desagravio, con el poder de irse.
Algunos autores disidentes piensan que esto no ocurrió de esta manera, porque para llegar al actual Derecho Internacional, antes de la Segunda Guerra Mundial y luego de ella, íbamos a ver procesos fundamentales como la Independencia de América y la Independencia de África, que iban a exigir la existencia de algunos principios tales como: la igualdad jurídica de los Estados, la autodeterminación de los pueblos y la condena al uso de la fuerza, que conforman igualmente puntos centrales para entender qué es el Derecho Internacional.
Con esto como norma, no debe nadie sorprenderse de que no exista un solo tratado que haya sido firmado por la totalidad de los Estados, por lo cual pensar en estos temas siempre nos va a evidenciar que no existe un solo estándar sino muchos, cuya intensidad va a ser determinada por cada uno de los sujetos internacionales.
En nuestro caso, Venezuela es un país que tiene un histórico de ratificar la mayor parte de los tratados internacionales, habiendo incluso sido durante toda su vida republicana una nación proactiva en la escena internacional y habiendo vivido en los tiempos revolucionarios, un período donde con toda seriedad se propuso contribuir al equilibrio internacional de las naciones, proponiendo nuevas organizaciones internacionales, nuevos sujetos internacionales (como los pueblos indígenas) o nuevas cartas de derechos (como la Carta Social de las Américas). Por ello, Venezuela forma parte del sistema interamericano y de las uniones nuestroamericanas (Unasur y Celac) y de casi todas las instancias del tejido onusino.
Ahora, el tiempo que vive Venezuela en el sistema internacional es sumamente complicado y la principal característica es que está siendo víctima de una persecución que se impulsa desde la Secretaría General de la OEA, que es dirigida por el uruguayo Luis Almagro, elegido para el cargo en marzo de 2015, con 33 votos a favor, entre ellos el de Venezuela y de todos los gobiernos progresistas de la región que fueron desplazados con su anuencia o indiferencia.
Los capítulos anteriores
Cuando Almagro resultó electo, tras ser el único candidato para sustituir al chileno José Miguel Insulza, la entonces canciller de la República Bolivariana de Venezuela, Delcy Rodríguez, celebró su llegada porque los años anteriores -todos desde el inicio de la Revolución- se habían caracterizado por la decisión de la OEA de llevar todos los asuntos que fuesen posibles ante la Corte Interamericana de Derechos Humanos (CIDH), para lo cual se apartaba incluso de su propia doctrina, escribiendo una sección aparte para Venezuela cuyos casos se ordenaron tramitar más rápido y sin exigir el agotamiento de los recursos internos, por considerar que en el país se vive en un clima de impunidad.
Esto nos lleva necesariamente a considerar algunos hechos históricos tales como que Venezuela es miembro fundador de la OEA, y, sin duda, padre de la idea de la unión americana, traicionada en el Congreso de Panamá. El sistema interamericano es en sí la manera en la que se instrumentalizó el pensamiento que se opuso a los planes de Bolívar y aceptó la Doctrina Monroe, por lo que fue tan justamente definida por Fidel Castro como el “Ministerio de las Colonias” de los Estados Unidos de Norteamérica.
Como miembro fundador, Venezuela ha estado en toda la historia de la organización en los momentos en que prácticas contrarias a los pueblos se fueron dando, y teniendo a nuestro favor la dignidad de algunos cancilleres que defendieron sus ideales, incluso si esto no fue lo que se suponía, instruyó desde Caracas que, en aquel momento, apostaba a seguir las órdenes de Washington.
Así, Venezuela formó parte también del sistema interamericano de derechos humanos desde su génesis y durante el largo periodo de inactividad de sus instancias, conocido como el tiempo del desempleo técnico, porque la Comisión y la Corte de Derechos Humanos pasaron muchos años sin pronunciarse sobre ninguna situación en el continente.
Algunos datos dan cuenta de lo que estamos exponiendo. Podemos observar, por ejemplo, el caso de la CIDH, cuya normativa entró en vigor el 18 de julio de 1978 e inició formalmente actividades el 3 de septiembre de 1979. Desde esa fecha hasta el fin de la IV República, esta instancia sólo dictó tres sentencias sobre Venezuela:
Corte IDH. Caso El Amparo Vs. Venezuela. Interpretación de la Sentencia de Reparaciones y Costas. Resolución de la Corte de 16 de abril de 1997. Serie C No. 46.
Corte IDH. Caso El Amparo Vs. Venezuela. Reparaciones y Costas. Sentencia de 14 de septiembre de 1996. Serie C No. 28.
Corte IDH. Caso El Amparo Vs. Venezuela. Fondo. Sentencia de 18 de enero de 1995. Serie C No. 19.
Mientras que, desde la llegada del presidente Chávez al gobierno venezolano, la Corte Interamericana ha dictado 193 sentencias referidas al caso venezolano. Lo que llegó a ser considerado por Caracas como una acción de persecución que fue contestada por la diplomacia criolla a través del mecanismo previsto en el Pacto de San José para oponerse a las actuaciones de la CIDH: la denuncia de la jurisdicción interamericana, acto que se configuró mediante comunicación, dirigida al Secretario General de la OEA, el 10 de septiembre de 2012.
En este contexto es imperioso darnos cuenta de que la persecución interamericana en contra de Venezuela tenía años andando, pero que desde septiembre de 2012 perdió su principal herramienta porque la CIDH es la única instancia capaz de sancionar a Venezuela por considerar la existencia de responsabilidades de Estado derivadas del irrespeto a los derechos humanos.
Al salirse Venezuela del sistema, a la Corte solo le quedó seguir conociendo causas en curso o que se hubiesen generado en un periodo de tiempo que ya transcurrió, por lo cual los asuntos comenzaron a agotarse ante la Comisión Interamericana que no tiene jurídicamente la fuerza para sancionar a ningún Estado, empezando así el trabajo para desplazar el tema a los foros políticos de la organización, lo cual fue contenido en 2017 por Caracas al anunciar el retiro del país de la OEA, tiempo éste en el que empezó la aventura de las instancias interamericanas de fabricar un caso que ventilar en La Haya.