Nicaragua: rivolta popolare o destabilizzazione golpista?

Fabrizio Verde https://www.lantidiplomatico.it

Quanto accade in Nicaragua è palese. Un copione già visto recentemente in Venezuela. Senza dimenticare quanto accaduto in Siria e Ucraina.

Viene individuato il nemico da abbattere, in questo caso il presidente Daniel Ortega e la vicepresidente Rosario Murillo. Viene offerta assistenza all’opposizione locale, finanziaria ma non solo. L’addestramento militare è parte fondamentale di questi scenari. La situazione viene portata all’esasperazione provocando morti attraverso atti estremi in modo da poter accusare il dittatore di turno di brutalità verso il proprio popolo.

La guerra economica riveste anch’essa un ruolo centrale di questo copione. Così facendo si cerca di strangolare il paese finito nel mirino anche dal punto di vista economico. L’ultimo passaggio, quello più drammatico, arriva quando si giunge a chiedere apertamente l’intervento militare per fermare la repressione del dittatore di turno.

A Managua, così come a Caracas e prima ancora a Damasco e Kiev, le similitudini sono inquietanti. Con l’informazione mainstream sempre schierata, elmetto in testa, dalla parte della destabilizzazione golpista. Quest’oggi è ‘La Repubblica’ ad attaccare Ortega con un reportage da Città del Messico (sic!). Stendiamo invece un velo pietoso su Amnesty International, sempre al fianco della destabilizzazione di quei governi che si oppongono all’egemonia imperialista e pronti a difendere la propria sovranità.

A tal proposito risulta utile andare a rileggere quanto scritto su Mision Verdad dal giornalista William Serafino in un articolo di approfondimento tradotto in italiano da l’AntiDiplomatico: «Quello che era iniziato con un paio di dimostrazioni sparse per protestare contro le riforme INSS, si è però presto trasformato in un movimento con vocazione alla scontro di strada e la violenza armata: la mutazione classica delle rivoluzioni colorate che cercano di raggiungere i livelli più elevati di scontro indebolendo lo Stato e mettendolo in una situazione difensiva.

Nel racconto sembra esserci l’intenzione di istituire un (postmoderno) fronte politico dove si può articolare una serie di “richieste” prodotte da USAID, organizzazione che a sua volta contribuisce a rilanciare l’immagine dell’opposizione ampliando la sua base di sostegno politico con “il giovane” e lo “scontento”. È per questo motivo che le proteste hanno un taglio giovanile e universitario, sono gli “extra” di cui hanno bisogno per distogliere l’attenzione dei gruppi armati che portano avanti gli attacchi più seri».

Un articolo dove viene citata anche la morte del giornalista Angel Gahona, che Repubblica definisce appunto «caso emblematico». Vediamo perché si tratta di un caso emblematico: «Mentre questa messa in scena conquista i toni sempre più emergenziali, i media locali e internazionali hanno già commesso i loro rispettivi crimini, portando il bilancio delle vittime a 10, quando in realtà sono morti in cinque – tra questi un poliziotto e un giornalista di Canale 6, Angelo Gahona- per poi trasferire la responsabilità di tutti i fatti al governo di Daniel Ortega camuffando i danni umani e materiali generati dai gruppi violenti. Nessuna delle vittime, infatti, ha partecipato alle proteste».

A questo punto, facciamo nostra la domanda posta dal giornalista italiano Giorgio Trucchi che vive in Nicaragua. «Chi approfitta di questa situazione di violenza e caos?».

La risposta è presto detta. «Settori dell’autoproclamata società civile, movimenti politici ultra conservatori senza rappresentanza popolare, settori conservatori della gerarchia cattolica e imprese private, studenti scioccati dalla morte e altri che sono la punta di lancia di movimenti che cercano di capitalizzare politicamente la crisi, che puntano a un solo obiettivo: le dimissioni incondizionate di Ortega, del suo governo e di tutte le autorità pubbliche legalmente elette. Settori che guardano al dialogo come un ostacolo al loro progetto, alla loro vendetta (anche di questo si tratta).

Settori già infiltrati da elementi violenti», spiega Giorgio Trucchi in una dettagliata cronaca della giornata del 30 maggio, segnata da violenti scontri provocati da gruppi organizzati dell’opposizione.

Chi si cela dietro la ‘rivolta’?

Gli Stati Uniti, attraverso National Endowment for Democracy (NED) e l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID, considerata una delle varie facciate della CIA), hanno destinato ingenti fondi per finanziare la destabilizzazione violenta del Nicaragua. Come abbiamo denunciato nell’articolo precedentemente linkato. Organismi, onnipresenti nella destalinizzazione imperiale a livello globale, che a loro volta foraggiano presunte organizzazioni della società civile nicaraguense le quali in apparenza lavorano per il miglioramento della democrazia. In realtà, queste ONG, fomentano le azioni violente volte a destabilizzare il legittimo governo sandinista guidato da Daniel Ortega.

Perché destabilizzare il Nicaragua?

Innanzitutto perché gli Stati Uniti temono di perdere il vantaggio geostrategico che dal Novecento  godono grazie al Canale di Panama. Questo perché il Nicaragua ha approvato la costruzione di un canale interoceanico insieme alla Cina che andrebbe a fare concorrenza diretta a quello di Panama, oggi unica arteria commerciale tra i due oceani.

L’entrata in funzione di questo grandioso progetto significherebbe che nel medio termine gli Stati Uniti perderebbero il controllo finanziario e commerciale sulla regione. Proprio in una fase in cui Trump ha deciso di andare allo scontro commerciale contro la Cina.

Altra chiave di lettura molto interessante è quella fornita dall’avvocato, teologo e antropologo, nonché attivista per la difesa dei diritti umani Ollantay Itzmaná.

Questi ci rammenta con dati precisi e inconfutabili che il Nicaragua sulla scia degli altri paesi socialisti e progressisti della regione, grazie a politiche trasferimento diretto delle risorse alle famiglie e alle imprese economiche familiari, è sfuggito all’essere inghiottito dal mostro della violenza del Triangolo della Morte (Honduras, Guatemala e El Salvador).

Ollantay Itzmaná scrive: «Secondo gli attuali rapporti della Banca Mondiale, l’economia del Nicaragua è cresciuta nell’ultimo decennio di una media tra il 4 e il 5% del prodotto interno lordo nazionale (PIL).

Secondo il rapporto CEPAL 2017, nell’ultimo decennio, il Nicaragua ha cessato di essere il paese più povero del continente, dopo Haiti. Per il 2014, mentre la povertà in Guatemala e in Honduras ha raggiunto in media il 60% delle rispettive popolazioni, il Nicaragua è riuscito a ridurre la povertà al 29% e l’estrema povertà all’8%. In Honduras, la povertà estrema raggiunge il 44% della popolazione, e in Guatemala il 30%.

Nell’ultimo decennio, dal Nicaragua non ci sono state notizie di esodi, come avviene nei suoi tre vicini del Triangolo della Morte. Mentre le rimesse per questo paese rappresentano appena il 7% del PIL, in Guatemala o in Honduras, le rimesse rappresentano tra il 13 e il 15% del PIL.

Dopo Cuba, il Nicaragua è l’unico paese delle Americhe in cui le case non sono presidi sorvegliati con recinzioni elettriche, telecamere di sorveglianza, guardie private, ecc. È uno dei paesi più sicuri del continente, con una polizia civile nazionale efficiente e istruita (riferimento per la regione). Un paese austero, sicuro e ordinato.

Mentre in Guatemala, Honduras o El Salvador uccidono violentemente quasi una persona ogni ora, in Nicaragua la violenza mortale è minima. In Nicaragua non si parla di uno stato fallito o cooptato da apparati criminali (in Honduras e in Guatemala, sì).

In sintesi, nell’ultimo decennio, il Nicaragua è emerso dalla fossa della miseria, evitato di far parte del mortale Triangolo della Morte, evitato di diventare un paese occupato dall’industria del narcotraffico e ha fermato l’espulsione dei suoi abitanti verso la rotta mortale del Sogno americano Di conseguenza, non è un membro del piano di prosperità degli Stati Uniti».

La domanda a questo punto è: chi non gradisce questi cambiamenti? Chi ha l’interesse a far retrocedere il Nicaragua al livello dei suoi vicini del cosiddetto ‘Triangolo della Morte’?

Ci viene in soccorso ancora Ollantay Itzmaná. «La gerarchia cattolica e il settore economico, ex alleati dell’attuale governo, chiedono elezioni generali, all’unisono con il governo nordamericano e l’OSA. Questi stessi settori che restano silenziosi di fronte alla sistematica crisi umanitaria ad Haiti. In Honduras e Guatemala dove coesistono/promuovono governi che aumentano la miseria e la corruzione».

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