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Con oltre il 53% dei voti, Andrés Manuel López Obrador (AMLO) ha vinto la presidenza del Messico, il 1° luglio. Quasi 24 milioni di voti fanno di lui il presidente co maggior numero di voti nella storia del Paese.
Fu presentato la prima volta a candidato alla Presidenza della Repubblica nel 2006, e la seconda volta nel 2012, e finalmente alla terza volta, in cui la schiacciante differenza di oltre 30 punti dal suo concorrente più vicino rese impossibile ripetere la frode elettorale che lo separò dalla presidenza nei due precedenti.
Definitiva non fu solo la persistenza nell’aspirazione alla presidenza del Messico, ma che avesse mantenuto un costante lavoro politico, creando il proprio partito MORENA, gradualmente incorporando nella campagna leader politici e sociali di diversi settori. Rimase attivo e bellicoso come critico deciso dei presidenti del momento, ma soprattutto per ciò che i suoi progetti rappresentano. Questa attiva perseveranza è un buon esempio per altri attori della regione come Gustavo Petro in Colombia, poiché traccia la rotta di un’opposizione che si consolida davanti l’istituzione.
Ma in questi tempi segnati dalla riattivazione della Dottrina Monroe nella regione, è necessario mantenere la prudenza, gestire le aspettative e cercare la massima obiettività possibile per analizzare i risultati.
La dura realtà del Messico
Il Messico è attualmente il paradigma del narco-stato, anche più della Colombia. Nessun Paese è visibilmente controllato dal narcotraffico come questo.
Sebbene sia considerata la seconda economia della regione, il suo confine col più grande consumatore di droghe al mondo lo consolida migliore posizione per i cartelli della droga che a poco a poco si sono trasferiti in Messico, e oggi controllano gran parte di territorio nazionale, economia e politica, naturalizzando violenza, terrorismo, omicidi, sparizioni e deportazioni.
La gigantesca economia messicana ha ora una crescita legata alle economie parallele che evadono le tasse, e la disuguaglianza nella distribuzione del PIL tra la popolazione la rende la più diseguale dell’OCSE e una delle più diseguali nella regione.
71 anni ininterrotti di dittatura faziosa del PRI, indebolita solo dall’elezione dell’ex-dirigente della Coca Cola Vicente Fox nel 2000, ma recuperati col ritorno di Peña Nieto alla presidenza nel 2012, hanno accumulato gravi violazioni ai diritti umani del popolo messicano, essendo forse più ricordato col massacro di Tlatelolco nel 1968.
A causa di quel grande confine che condivide con gli Stati Uniti, il Messico non è soggetto alla giurisdizione del Comando Meridionale, ma è l’unico Paese nell’emisfero il cui monitoraggio e controllo militare è nelle mani del Comando Centrale delle Forze Armate USA. La possibilità che il gigante del nord decida di minacciare la vita di AMLO prima di consentirgli di assumere la presidenza, continua nell’ambiente fin quando i suoi annunci affrontano o meno gli interessi che continuano a dominare il Paese. Solo in questo periodo elettorale, 130 persone che aspiravano a una delle posizioni disputate dalle elezioni popolari, o che facevano parte di squadre elettorali, sono state uccise negli ultimi mesi. Lo stesso giorno delle elezioni, furono segnalati omicidi di candidati e attacchi armati a seggi elettorali. Ciò ne aumenta le terribili cifre.
Il nuovo governo messicano contro i poteri de facto
I risultati ufficiali di queste elezioni non saranno noti fino all’8 luglio, come annunciato dall’INA, cioè una settimana dopo le elezioni. Anche così, i risultati di ciò che chiamano “conteggio rapido” sono già stati annunciati, coi due principali contendenti che avevano già riconosciuto il trionfo di AMLO, come da vari governi nel mondo.
MORENA è riuscita a costituire un nuovo potere esecutivo estremamente favorevole per il governo. Ottenuto, secondo questo rapido conteggio, il 52% del Senato, il 70% della Camera dei Deputati e 6 dei più importanti governatorati del Paese, tra cui il sindaco della capitale, Claudia Sheinbaum, la prima donna ad occupare la carica.
Ma la vera sfida di AMLO sarà affrontare traffico di droga, corruzione privata che depreda lo Stato e peso delle multinazionali sul destino economico del Messico.
Il nuovo presidente è un nazionalista, e parlare di nazionalismo nel Paese che ha più di 3 mila chilometri di confine con gli Stati Uniti, basta a dire quali interessi strategici globali affronta. I poteri reali del Messico, incoraggiati dagli Stati Uniti, il cui potere economico sul Messico è innegabile, renderanno molto difficile ogni decisione politica ed economica. Pertanto, la posizione economica assunta da AMLO sarà definita dal rapporto con l’amministrazione Trump. Se continua con il modello economico “liberale finanziario”, che finora ha prevalso in Messico, funzionale alla globalizzazione, il confronto col modello di Trump può continuare. Ma se opta per un’economia liberale nazionalista conservatrice, può trovare una nuova alleanza col presidente degli Stati Uniti, secondo l’analista politico Daniel Estulín.
Cosa può dire il nuovo governo di AMLO a Venezuela e regione?
Sebbene AMLO sia un progressista, nulla l’attira da vero uomo di sinistra. Le sue proposte economiche sono vicine a quelle fatte da Trump per raggiungere la presidenza. Fondamentalmente, potrebbero trovarsi in disaccordo sugli accordi di libero scambio che indeboliscono l’economia nazionale, il loro impegno ad incoraggiare produzione interna, riduzione delle tasse ed aumento dell’occupazione come i supremi interessi nella loro campagna. Anche AMLO ha considerato la revisione degli accordi con la Cina, che a suo parere sono svantaggiosi per il Messico. Vale a dire, entrambi, almeno nei discorsi, si confrontano con la tendenza neoliberista che in Messico ha imposto PRI e PAN, sempre al servizio degli interessi statunitensi. Ma entrambi i discorsi economici sembrano concordare sull’approccio economico liberale conservatore. La pressione economica annunciata era già iniziata con un leggero calo del peso, attribuito al suo trionfo. Ieri, dopo che Trump si era complimentato pubblicamente con il nuovo presidente, esprimendo disponibilità a collaborare e dicendo che vede molto da fare a beneficio di entrambi i Paesi, il Presidente Maduro presentava le sue congratulazioni e chiedeva il rafforzamento delle relazioni bilaterali, ma sottolineando non interferenza degli affari interni e rispetto dell’autodeterminazione dei popoli.
Successivamente, il 2 luglio ebbe luogo la prima comunicazione diretta tra Donald Trump e Andrés López, nella quale, come noto, quest’ultimo sollevò la necessità di firmare accordi che tendano ad aumentare l’occupazione in Messico per minimizzare l’emigrazione a nord. Ciò dimostra l’importanza che il governo di Trump attribuisce a questo trionfo e la fretta ad allinearlo.
Nella campagna, Lopez aveva detto che la migliore politica estera è all’interno. È una definizione molto importante che dà conto dell’importanza a sviluppo nazionale e risoluzione dei conflitti interni. Sulla stessa falsariga, parlava del rispetto della sovranità e della non ingerenza negli affari interni di altri Paesi, citando persino José Martí nella sua ideologia nostramericana. Ciò significherebbe la rottura con la politica internazionale del governo di Peña Nieto, estremamente belligerante col Venezuela, coinvolgendo il Paese nel cosiddetto Grupo de Lima, che presentava risoluzioni antivenezuelane all’OAS e al Vertice delle Americhe, e in generale si posizionava contro il governo venezuelano sull’agenda internazionale messicana. Con l’uscita di Enrique Peña Nieto, il Gruppo di Lima perde un altro dei suoi protagonisti.
L’ala interventista del Congresso e la Casa Bianca, nel frattempo, nel primo scambio sembra perdere un potente alleato economico e finanziario per espandere l’assedio al Venezuela. Lo stesso accadrà con Luis Almagro e l’OSA, dove Peña ha costantemente alzato la voce contro il Venezuela. Cosa sarebbe positivo per il Venezuela. Se in aggiunta a ciò, AMLO contribuisse al rafforzamento dei meccanismi di integrazione e si concentrasse agli affari interni mettendo da parte la pressione sul Venezuela, il cambiamento nella correlazione di forze a favore della pace regionale e del nostro Paese sarebbe sostanziale. AMLO assumerà la presidenza solo a dicembre. Quasi mezzo anno in cui molte cose possono ancora accadere in Messico, Stati Uniti e continente.
Traduzione di Alessandro Lattanzio