Un altro centenario, quello di Nelson Mandela. Un’altra abbuffata di retorica in un mondo abituato a calpestare in concreto parole di cui si riempie la bocca torcendone il significato. Come altri grandi del Novecento –il secolo dei rivoluzionari, che si sono spezzati le unghie grattando sotto la vernice– anche Madiba è diventato un’icona post-moderna, spendibile persino in questa Europa delle gabbie, dei confini e dei muri, senza nulla intaccare. Un’icona per magliette in quest’Italia ipocrita e securitaria che ha imposto ai prigionieri politici più galera di quella scontata da Mandela, che continua a torturare in nome di “legalità e pace”, o che inalbera con arroganza la bandiera dell’esclusione.
L’America latina bolivariana ricorda invece il lascito di Mandela in maniera non rituale. Nei giorni scorsi, a Ginevra, Jorge Valero, ambasciatore venezuelano all’ONU, ha invece trasformato in denuncia presente gli ideali di Mandela. Ha ricordato l’apartheid in Palestina. Ha denunciato vecchi e nuovi colonialismi, il potere della finanza nella globalizzazione capitalista che distrugge la vita umana in nome dei “dio mercato”. Ha spiegato come la guerra economica, il blocco finanziario e le misure coercitive unilaterali imposte dagli Usa e dall’Unione Europea contro il Venezuela, si pongano contro il diritto internazionale e la normativa multilaterale. Queste sanzioni illegali e criminali – ha detto – “causano morte e dolore al nostro popolo, specialmente ai più vulnerabili: bambini, donne e anziani”. E ha esortato l’Unctad, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, a riprendere un ruolo da protagonista nella difesa degli interessi dei paesi in via di sviluppo, creando un contesto internazionale giusto e inclusivo “attraverso un’economia mondiale che permetta a tutte le nazioni di usufruire della giustizia sociale e dei diritti umani. Per il Venezuela – ha detto ancora Valero – ci sono temi considerati prioritari come il diritto allo sviluppo, il trasferimento di tecnologia e la questione del debito estero, sia nei termini di una sua ristrutturazione che della cancellazione. Così pensava Nelson Mandela; così pensava Hugo Chávez Frías, leader della rivoluzione bolivariana; e così pensa oggi, con forza rinnovata, il nostro presidente Nicolás Maduro Moros”, ha concluso l’ambasciatore.
Nelson Mandela è morto nel 2013, nove mesi dopo la scomparsa di Hugo Chavez.
L’ultimo messaggio di Chavez, un mese prima di morire, è stato per l’Africa, nella lettera del febbraio 2013, inviata al III Vertice dell’Asa (America del Sud e Africa). Chavez ha reso onore ai martiri dell’indipendenza africana e caraibica, ha ricordato il sacrificio di Lumumba e Cabral. Le relazioni con le potenze occidentali – ha detto – devono essere mantenute, ma in maniera sovrana, respingendo le mire neocoloniali contro le relazioni sud-sud che abbiamo cominciato a costruire nei nostri continenti e che devono rimanere il fulcro permanente del nostro sviluppo, rivolto ai nostri popoli. Nella lettera all’Africa, Chavez ha riconosciuto anche l’apporto di Lula Da Silva nella costruzione del summit. Ora che la nuova integrazione latinoamericana è messa a rischio dal ritorno arrogante delle destre in America latina, Lula è dietro le sbarre. Un prigioniero politico. Come Mandela – dicono in tanti – Fatte le debite proporzioni.
Mandela e Chavez. Due esempi di coerenza e dignità, che non hanno piegato la testa, che non si sono fatti comprare. Nel 1985, a Mandela era stata offerta la libertà in cambio della rinuncia alla violenza come arma di lotta politica, non solo di negoziato. Ma aveva rifiutato. Nel 1990, mesi dopo la sua liberazione, George Bush gli chiese di abbandonare la lotta armata, ma Mandela disse: “non prima che venga smantellato l’apartheid”. E anche Chavez subì un colpo di stato per aver rifiutato di trasformarsi nel solito caudillo al soldo degli Stati Uniti. Dovettero vedersela con lo stesso nemico. Nel pieno della guerra fredda, la CIA confezionò l’arresto di Mandela nel 1962 e lo lasciò nella lista dei terroristi fino al 2008: una lista approvata dagli USA e dalla Gran Bretagna. Come Mandela, Chavez non ha voluto vendette dopo aver sconfitto il colpo di stato. Nel Sudafrica di allora, i bianchi hanno però mantenuto le leve del potere economico, lasciando alla maggioranza nera quello politico. Nel Venezuela di Chavez, si sono invece intaccati di più i rapporti di proprietà. Un processo che dura ancora. Come resistere, inventare, approfondire? In vista del congresso del PSUV, ferve la discussione.