In Nicaragua, l’operazione “Contra 2” fallisce?

Gettata sotto i riflettori da metà aprile, la patria di Sandino ancora affronta un’intensa crisi politica. D’ora in poi, la crisi sembra avvicinarsi alla sua risoluzione finale. Da un lato, il popolo nicaraguense si mobilita sempre più a fianco delle autorità smantellando le barricate nei punti ribelli. E d’altra parte, in una settimana si sono svolte due grandi manifestazioni per la pace.

Contro la volontà dell’opposizione e dei portavoce dell’amministrazione statunitense, il messaggio di Daniel Ortega durante la marcia per la pace del 7 luglio a Managua fu chiarissimo: “Ecco le persone che stabiliscono le regole della Costituzione della Repubblica. Non cambieranno da un giorno all’altro per volontà di certi capi golpisti. Se i golpisti vogliono andare al governo, chiedano il voto popolare nelle prossime elezioni. Con tutta la distruzione che hanno provocato, vedremo quale supporto avranno”. Ma questi fatti sono minimizzati dai media privati e dalle principali agenzie di stampa, che continuano a nascondere l’evoluzione sul terreno e a soffiare sulle braci delle tensioni. Dove parte punta la bilancia?

Un terribile piano di propaganda

 

In un recente articolo si esaminava una serie di contraddizioni nel trattamento da parte dei media internazionali del Nicaragua. In particolare, si può riconoscere uno dei principi della propaganda di guerra, scambiare l’aggressore con la vittima. Lo schema funziona come segue: in primo luogo, un settore dell’opposizione, che rifiuta il dialogo col governo, prevede di controllare alcune parti della capitale e altre città per mezzo delle barricate. Tali aree sono quindi considerate “liberate dalla tirannia”, e rappresentano il cuore dell’insurrezione che deve diffondersi in tutto il Paese, per sconfiggere le operazioni di “repressione” della polizia. Tale tattica delle barricate fu teorizzata come mezzo efficace per impedire alle autorità di controllare il territorio nazionale, perché è “impossibile per il governo avere abbastanza personale per controllare ogni centimetro del Paese”. La prima cosa ovvia da sottolineare è che non c’è una crisi spontanea nata da una massiccia mobilitazione popolare, ma esiste effettivamente un piano insurrezionale per opporsi alle autorità per mesi. Si assiste alla prima fase di una guerra non convenzionale per rovesciare un governo eletto democraticamente. Quindi, si svolgono numerosi scontri in tali aree “liberate” dall’opposizione. A questo punto, non è banale notare che gli attivisti che difendono le barricate non sono più manifestanti pacifici che i media mainstream dipingevano. Le immagini di giovani incappucciati che maneggiano mortai domestici ed altri ordigni esplosivi sono impossibili da nascondere. In effetti, contribuiscono anche alla creazione della dimensione “romantica” della resistenza popolare nel contesto del faccia a faccia con la polizia regolare. È qui che entra in gioco la seconda fase della guerra non convenzionale, il ruolo decisivo delle corporazioni dei media che contribuiscono alla produzione della narrativa dominante e unilaterale della crisi. È più facile identificarsi con un giovane dimostrante che si ribelle che non a un giovane agente di polizia costretto a usare la forza per far rispettare la legge. Quindi, quando ci furono dei morti sulle barricate, diventa complicato a un osservatore esterno sapere la verità. Chi non è interessato a tali vittime? Un semplice e rapido tour delle notizie dai media private farà capire a tutti che tale dimensione idealizzata serve solo a delegittimare l’azione del governo. Nessuno si pone questa semplice domanda: “La vittima era un sandinista filogovernativo che aiutava la polizia a smantellare le barricate o un oppositore che le difendeva?” Molte testimonianze a favore della prima versione sono state sistematicamente respinte! In effetti, il ruolo dei media privati è fondamentale per dare massima credibilità alla parte opposta. Quest’ultima starebbe manipolando la memoria delle vittime con la complicità di alcuni media privati in Nicaragua? Questo è un punto molto importante: che dire dei numerosi casi di vittime la cui appartenenza al campo governativo era dimostrata?
Nel quadro dei colloqui di pace, il governo nicaraguense ha accettato per primo che l’IACHR (Commissione interamericana per i diritti umani, organo dell’Organizzazione degli Stati americani (OSA)) guidasse una missione di osservazione dei diritti umani. Ma continuava a denunciare che il suo rapporto non include molti casi di attacchi con vittime civili e funzionari pubblici, a seguito della violenza scatenata dall’opposizione. I dadi sono tratti? Ecco alcuni esempi che illustrano una situazione molto più sfumata di quella descritta da certi media:
– Il 19 giugno, le autorità lanciano un’operazione a Masaya per liberare il vicedirettore della polizia nazionale Ramon Avellan e i suoi agenti, trinceratisi nella stazione di polizia, circondati da barricate dal 2 giugno. Ogni sera , i manifestanti sparavano coi mortai contro il commissariato di polizia, assieme a minacce: “Cosa ne pensate? Che c’erano solo “güevones” (furfanti) in questa lotta? Qui di nuovo, ecco mia sorellina… ” Poi, il fuoco dei mortai ricominciava vicino la stazione di polizia… Col pretesto di un’azione goliardica, un video mostra come i manifestanti dietro una barricata cantassero minacciose contro il Generale Avellan, accompagnate da tiri. Secondo l’organizzazione ANPDH dell’Associazione per i diritti umani del Nicaragua, a seguito dell’operazione di salvataggio della polizia, sei persone, tra cui tre da identificare, furono uccisi in diversi quartieri circostanti.
– Il 30 giugno, nel contesto di una marcia di opposizione, un manifestante veniva ucciso da colpi d’arma da fuoco. Registrato pochi minuti prima della tragedia da un giornalista, un video mostra come membri dell’opposizione circondassero un agente della sicurezza privata e gli chiedessero di consegnare la sua arma, simulando un rapimento per giustificare l’azione. Quindi, le immagini mostrano una persona dietro l’agente, puntarli una pistola alla tempia e rubargli il fucile. Più tardi, i manifestanti ne attribuivano la morte alla repressione governativa.
– 3 luglio, due persone furono rapite a Jinotepe da un gruppo di uomini armati: il maggiore della polizia Erlín García Cortez e il lavoratore dell’Enacal Erasmo Palacios. Tre giorni dopo, anche Bismarck de Jesús Martínez Sánchez, operaio del municipio di Managua, fu rapito. Una settimana dopo, i parenti non avevano ancora ricevuto alcun segno di vita.
– 5 luglio, il corpo senza vita dell’agente della polizia nazionale Yadira Ramos veniva trovato a Jinotepe. Fu rapita, violentata e torturata. Costretta a scendere dalla sua auto e suo marito fu ucciso sul posto.
– 6 luglio, il militantedell’FSLN Roberto Castillo Cruz veniva ucciso da teppisti dell’opposizione che occupavano le barricate a Jinotepe. Suo figlio, Christopher Castillo Rosales fu ucciso una settimana prima. In un video pubblicato poco prima dell’omicidio, Castillo Cruz denunciava gli assassini: “Questa banda criminale di destra ha ucciso mio figlio, chiedo solo giustizia e che la pace prevalga affinché i nostri figli non perdano la vita!”
– 8 luglio, durante uno scontro notturno a Matagalpa, un uomo di 55 anni di nome Aran Molina fu ucciso mentre salvava Lalo Soza, attivista sandinista aggredito. Il giorno seguente, il Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN) gli rese omaggio con una processione. Lo stesso giorno, altre due persone furono uccise: l’assistente sociale Tirzo Ramón Mendoza, giustiziato da persone incappucciate dopo essere stato rapito, e una terza vittima la cui identità rimane sconosciuta.
– 9 luglio, le autorità smantellavano le barricate che impedivano la libera circolazione nelle città di Diriamba e Jinotepe. Molti residenti poi testimoniarono su numerose azioni violente dell’opposizione, come la tortura di sandinisti. Allo stesso tempo arrivarono i rappresentanti della Conferenza episcopale. I cittadini di Jinotepe entrarono poi nella chiesa dove trovarono membri dell’opposizione camuffati da chierici. I residenti accusarono i funzionari della chiesa di proteggerli e di non dire nulla o fare nulla per fermare la violenze scatenate negli ultimi due mesi. A Diriamba, gli abitanti scoprirono un arsenale di mortai nascosto nella chiesa di San Sebastian.
– 12 luglio, una banda criminale attaccava il municipio di Morrito a Rio San Juan. Uno storico combattente sandinista, Carlos Hernandez, fu rapito. Gravemente ferito e incapace di fuggire, un giovane attivista sandinista, due poliziotti e i loro superiori furono uccisi. Un attivista sandinista fu colpito da un proiettile nell’addome. Più tardi, il maestro di scuola Marvin Ugarte Campos morì per le ferite. La versione dell’opposizione? Dice che il massacro era… un “auto-attacco da parte dei paramilitari”!
Sembra che alcuni morti e violenze non abbiano valore, mentre altri sono eretti a martiri della sacra causa. Alla fine, tutto dipende dal prisma attraverso cui guardiamo alla realtà? Siamo già finiti in un campo del vonflitto senza saperlo o persino sospettarlo? In questo caso, sarebbe una perdita di tempo tentare di formare la propria opinione dall’analisi dei fatti? La ricerca di pace e verità ci impedisce di soccombere a tale rassegnazione. In un notevole lavoro di 46 pagine intitolato “Il monopolio della morte, come gonfiare le cifre e attribuirle al governo”, Enrique Hendrix identificava numerose incongruenze nelle varie relazioni presentate dalle tre principali organizzazioni per i diritti umani, CENIDH (Centro nicaraguense per i diritti umani), IACHR e ANPDH. Confrontando le varie relazioni dall’inizio della crisi fino alle ultime relazioni presentate (dal 18 aprile al 25 giugno), conclusi che le tre organizzazioni hanno registrato in totale 293 morti. Nel 26% dei casi (77 cittadini), le informazioni sui decessi sono incomplete e vanno verificate. Nel 21% dei casi (60 cittadini), i morti erano persone uccise dall’opposizione, funzionari pubblici o militanti sandinisti assassinati per aver aiutato le autorità a smantellare le barricate. Nel 20% dei casi (59 cittadini), i morti erano manifestanti, membri dell’opposizione o persone che eressero barricate. Nel 17% dei casi (51 cittadini), i morti non avevano rapporto diretto con le dimostrazioni. Infine, nel 16% dei casi (46 cittadini), i morti erano dei passanti. Come si può vedere in questo studio, i bilanci di tali organizzazioni sono privi di rigore e mescolano le vittime (scontri tra bande, incidenti stradali, omicidi nel contesto di furti di auto, conflitti tra proprietari di terreni, agenti di polizia, donna incinta in un’ambulanza bloccata da barricate…). Conclusione: se prendiamo in considerazione le circostanze esatte di ogni morte, è ovvio che non possiamo attribuire la responsabilità al solo governo. Alla luce di questi elementi, abbiamo il diritto di sfidare i media internazionali sulla loro assenza di obiettività. Perché tale allineamento con un settore dell’opposizione che si è dichiarato ferocemente ostile a qualsiasi dialogo?

Chi non è interessato al dialogo?

 

Tale propaganda è completata dal “blackout” di altre informazioni non considerate rilevanti. Tuttavia, mentre i media si concentrano sugli scontri, altri settori dell’opposizione continuano a partecipare alle varie sessioni dei “tavoli di dialogo per la verità, la pace e la giustizia”, organizzati per ascoltare diversi punti di vista e cercare di stabilire la responsabilità delle violenze che devastano il Paese. Inoltre, le conclusioni finali delle varie missioni di osservazione dei diritti umani nel Paese non erano ancora state tratte, dovevano essere discusse e includere nuovi elementi. Ma cosa possiamo aspettarci dal dialogo tra le parti, quando numerosi osservatori avevano già deciso in anticipo che il solo governo era responsabile delle violenze? In tutto il mondo, il ruolo della polizia è reprimere in caso di “disturbo dell’ordine pubblico”. Ma lottiamo per capire perché le autorità ordinano di attaccare i civili selvaggiamente e arbitrariamente mentre si svolge il dialogo di pace. D’altra parte, ci si potrebbe aspettare tale atteggiamento da chi, rifiutandosi di partecipare ai dialoghi, cercherebbe di sabotarlo, avendo interesse nel deragliarli. In tal caso, non è improbabile che i teppisti incappucciati si siano presentati come forze di polizia in diverse occasioni. In ogni caso, non è meno credibile la versione di tali teppisti incappucciati che affermano che il governo di Daniel Ortega avrebbe dato il via libera ai civili mascherati per distruggere le infrastrutture e uccidere altri civili! Tuttavia, il governo non ha negato che all’inizio della crisi alcuni agenti di polizia a volte agissero con violenza sproporzionata, e rispose che la giustizia ne determinasse la propria in azioni punibili per legge. L’Assemblea nazionale, da parte sua, lanciava un’iniziativa per creare una “Commissione per la verità, la giustizia e la pace” con l’obiettivo di riferire sulle responsabilità delle violazioni dei diritti umani entro tre mesi. Ma nella fiaba che i media mainstream fabbricano dall’alba al tramonto, e su Internet 24 ore al giorno, non è neppure concepibile che il governo del Nicaragua si trovi di fronte a difficoltà le cui cause sarebbero complesse e numerose. Il clamore mediatico e le posizioni di personalità politiche straniere ne sono prova inconfutabile! Come fu in Venezuela negli ultimi anni, prendere in ostaggio il pubblico in questo modo è un insulto alla sua intelligenza. Certo, non tutto è spiegato dai tentacoli del polpo imperialista. Ma per chi è interessato alla storia delle relazioni interamericane negli ultimi due secoli, è grave dimenticarne il peso e considerare che tale influenza sia cosa del passato.

Come esportare la democrazia coi dollari

 

Sembra che pochi osservatori siano davvero scioccati dalla rapida progressione di tali eventi, che hanno la forma di fila di briciole verso un unico obiettivo: condannare il governo di Ortega e chiedere elezioni anticipate. È qui c’è il culmine: Paesi dell’America Latina dove assassini di sindacalisti, contadini e leader sociali sono una cosa comune da anni, dove gli sforzi per la pace dei governi sono considerati, nel migliore dei casi, totalmente inefficaci e nel peggiore inesistenti, come Colombia, Honduras o Messico, non sono affatto preoccupati per l’immagine delle loro “democrazie”. C’è qualcosa che non va, no? Per far luce su tale mistero, va ricordato la peggiore sovversione della storia del ventesimo secolo. I colpi di Stato e le destabilizzazioni fomentate dall’estero, come nella Repubblica Dominicana o in Guatemala, mostrano che nella seconda metà del XX secolo il contesto latinoamericano era ancora segnato dall’interventismo militare della Dottrina Monroe e dal “destino manifesto” degli Stati Uniti. Non era nient’altro che una politica imperialista di controllo delle risorse e materie prime dell’America Latina, ora presentata come “crociata” anticomunista nel contesto della Guerra Fredda. D’altra parte, il dominio degli Stati Uniti non si limitò a una dimostrazione di forza per il “cambio di regime” e l’invio di truppe, ma assunse anche forme di dominio culturale, in particolare attraverso il le cosiddette politiche di “aiuto allo sviluppo”. Nel suo discorso del gennaio 1949, il presidente statunitense Harry Truman descrisse i Paesi non industrializzati come “sottosviluppati”. Così, nel 1950, il Congresso degli USA approvò una legge per lo sviluppo internazionale (AID). Il 4 settembre 1961, una legge del Congresso degli Stati Uniti sostituì l’AID con l’USAID, che avrebbe dovuto implementare una nuova visione più ampia di “assistenza allo sviluppo” in qualsiasi parte del pianeta. Come si può vedere nel colpo di Stato contro Jacobo Arbenz in Guatemala nel 1954, la lotta anticomunista era solo un pretesto. La preoccupazione principale del governo degli Stati Uniti era impedire lo sviluppo della coscienza nazionale negli eserciti e nella polizia dei “Paesi sottosviluppati”. Ecco perché, dal 1950 al 1967, “il governo degli Stati Uniti spese più di 1,5 miliardi di dollari in aiuti militari ai Paesi dell’America Latina”. (1)
Dopo la vittoria della rivoluzione cubana nel 1959, John Kennedy annunciò l’Alleanza per il progresso, nel 1961. Era un’iniziativa simile al piano Marshall per l’Europa. Tra il 1961 e il 1970, l’Alleanza per il progresso fornì 20 miliardi di dollari in assistenza economica all’America Latina. Uno degli obiettivi era stabilizzare i regimi che combattevano il comunismo e l’influenza di Cuba. “John F. Kennedy e i suoi consulenti sviluppano un piano d’azione per la regione, l’Alleanza per il progresso, che consiste in investimenti da 20 miliardi di dollari per lo sviluppo economico e una massiccia assistenza militare. Il decennio degli anni sessanta è caratterizzato dalla formazione di una nuova generazione di militari latinoamericani e dal trasferimento di capitale e tecnologia dall’esercito statunitense all’America Latina. Pentagono e CIA tracciano la loro strategia per fermare l’avanzata del socialismo: la Scuola di Panama, gestita dall’esercito degli Stati Uniti, addestra i quadri delle forze armate latinoamericane”. (2) Sotto il fallace concetto di “politiche di aiuto allo sviluppo”, “creazione di forti eserciti e polizia” e “aiuti militari a regimi reazionari e filoimperialisti” servivano ad offrire ai monopoli “le condizioni più favorevoli di sfruttamento dei Paesi sottosviluppati”. (3) In altre parole, tale “aiuto” rappresentava soprattutto un’arma politica a favore degli interessi economici dei Paesi del Nord Globale. Questi erano rappresentati dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), fondata nel 1961 e conosciuta anche come il “Country Club dei ricchi”. Consisteva in 27 Paesi, principalmente da Nord America, Europa occidentale e Giappone.

La resistenza emerge prima o poi

 

Ma la nuova realtà derivante dalla decolonizzazione in Asia e in Africa rappresentava anche una consapevolezza: la forza dei Paesi liberati ora risiedeva nella loro unità. Ciò gli consentì di esercitare un certo orientamento nell’agenda dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e di difendere il “diritto allo sviluppo” autonomo. Così, negli anni ’70, la Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) avrebbe svolto un ruolo importante nella difesa degli interessi del Gruppo 77. Creata nel 1964, l’UNCTAD era caratterizzata dalla Dichiarazione Comune dei 77 Paesi come “storica svolta”. Invasione ed occupazione militare del Nicaragua da parte degli Stati Uniti rese possibile apprezzare meglio il valore storico della rivoluzione popolare sandinista e della resistenza alle interferenze come dimostrato negli anni ’80. Lo scandalo del finanziamento dei contras da parte della CIA col traffico di droga in America centrale era la prova che tali piani non sono infallibili. Nonostante interferenze e destabilizzazioni subite nel corso della storia, i popoli del Sud hanno un vantaggio sui potenti: memoria collettiva ed intelligenza. Dopo la repressione delle dittature, la crisi del debito e il governo del FMI negli anni ’70 e ’80, negli anni ’90 l’America latina avrebbe vissuto molte rivolte sociali, aprendo la strada all’arrivo di nuovi governi progressisti in Brasile, Ecuador, Venezuela e Bolivia. Il passo successivo era il lancio dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), un organismo di cooperazione regionale creato nel 2004 per sconfiggere la proposta Area di libero scambio delle Americhe (ALCA in spagnolo) degli Stati Uniti.

Cosa rimane oggi dell’intromissione di ieri?

 

Dagli anni ’90, dalla fine della Guerra Fredda, gli aiuti degli Stati Uniti non avevano più il pretesto di limitare il comunismo. Assunsero quindi la forma di “antiterrorismo” o “politiche di sicurezza e antidroga”. Ecco i principali destinatari degli aiuti statunitensi in America Latina: 9,5 miliardi di dollari alla Colombia; 2,9 miliardi al Messico; e dal 2016, gli aiuti a tutti i paesi del Triangolo settentrionale dell’America centrale (El Salvador, Guatemala e Honduras) hanno superato quello dei primi due. (4) Il che spiega perché condannano sistematicamente alcuni paesi e non altri… indipendentemente da realtà e grado di violenze. Eppure la guerra fredda non è finita nella testa di alcuni. Pertanto, il segretario generale dell’OAS Luis Almagro riteneva necessario nel 2018 rispettare i requisiti della Casa Bianca e molestare giorno e notte Paesi come Nicaragua o Venezuela a rischio del ridicolo. In effetti, quando in una sessione speciale dell’OSA il portavoce degli Stati Uniti criticò le violenza in Nicaragua attribuendole esclusivamente al governo, va creduto sulla parola? Sarebbe meglio ricordargli che il suo Paese non ha la minima legittimità per parlare del Nicaragua, perché l’invasa e l’occupata militarmente per 21 anni, poi continuò a sostenere il clan del dittatore Somoza per altri 43 anni! Il “restauro conservativo” degli ultimi anni, coi “soft coups” per rovesciare Lugo in Paraguay, Zelaya in Honduras, Rousseff in Brasile; il fallimento del processo di pace in Colombia, la persecuzione giudiziaria contro Jorge Glas, Lula Da Silva e ora Rafael Correa, è il contesto ideale per l’OSA organizzazione obsoleta, per cercare di porre fine alla memoria delle conquiste sociali degli ultimi anni. Dato che gli Stati Uniti non hanno inventato l’acqua calda, per raggiungere i loro scopi devono usare i mezzi a portata di mano. Non sorprende che Freedom House, finanziata tra l’altro da USAID, e National Endowment for Democracy (NED), abbiano deciso di creare una task force speciale per combattere l’FSLN in Nicaragua nel 1988. È sempre opportuno ascoltare il cofondatore di NED Allen Weinstein: “Molto di ciò che facciamo oggi fu fatto in segreto 25 anni fa dalla CIA. La grande differenza è che quando tali attività vengono svolte apertamente, il possibile fallimento è vicino allo zero. L’apertura è la sua protezione”. (5)
Oggi, l’interferenza continua a finanziare i movimenti di opposizione, inquadrati da programmi di formazione per “giovani leader” pronti a difendere coi denti i valori della “democrazia” sacrosanta e a rovesciare le “dittature” dei loro Paesi di origine. Dal 2014 al 2017, la NED concesse 4,2 milioni do dollari a organizzazioni nicaraguensi come IEEPP (Istituto per gli studi strategici e politiche pubbliche), CPDHN (Commissione permanente per i diritti umani in Nicaragua), Invermedia, Hagamos Democracia e Fundacion Nicaraguense para el Desarrollo Economico y social. Quando ricordiamo questo, giovani oppositori e loro simpatizzanti fingono di non capire… Sebbene possa essere stato estremamente efficace in alcuni Paesi, come l’Ucraina nel 2014, il modello che abbiamo descritto va confrontato con la realtà e le tradizioni politiche di ciascun Paese. In Nicaragua, l’FSLN è la forza politica dominante che ha vinto democraticamente nelle ultime tre elezioni. È significativo che settori dell’ opposizione che si affidano al sostegno di Stati Uniti, destra e proprietari locali siano costretti a utilizzare riferimenti al Sandinismo nel tentativo di ottenere credibilità. Tuttavia, tale pratica va troppo lontano quando cerca di confrontare governo sandinista e dittatura di Somoza, demonizzando così Daniel Ortega. La marcia per la pace convocata dal FSLN il 13 luglio, in omaggio al 39° anniversario dello storica “ritirata tattica” del sandinismo a Masaya, fu una nuova dimostrazione di forza del popolo nicaraguense e della sua volontà di sconfiggere la strategia violenta dell’opposizione. I popoli del mondo ravviveranno la solidarietà che questo momento richiede?

Note
1) Yves Fuchs; La cooperazione. Aiuto o colonialismo? Edizioni sociali. Parigi, 1973, pp. 55
2) Claude Lacaille; In missione nel tormento dei dittatori. Haiti, Ecuador, Cile: 1965-1986. Novalis, Montreal, 2014. p 23
3) Gustavo Esteva, “Desarrollo” in Sachs Wolfgang (coord.) Diccionario del Desarrollo, Lima, PRATEC, 1996. p. 52.
4) Wola
5) Washington Post, 22 settembre 1991.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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