“La democrazia della sicurezza nazionale è la nuova forma di intervento USA”
Bruno Sgarzini http://misionverdad.com
Stella cammina con un bastone, ai suoi 83 anni, per le sale del Palazzo delle Convenzioni dell’Avana dove si svolge il XXIV Forum di Sao Paulo. Tra gorghi di gente, le si avvicinano persone per salutarla e parlarle mentre si reca nel luogo assegnato in uno dei saloni del Palazzo, all’incontro della Rete degli Intellettuali realizzato parallelamente alle attività del forum.
In questo contesto, circondato da figure politiche come Manuel Zelaya, Dilma Rousseff e Nicolas Maduro, Mission Verdad ha intervistato una delle ricercatrici con più lavori sulle strategie di intervento USA come corrispondente itinerante del quotidiano messicano La Jornada, tra cui si evidenzia, per la sua precisione e rigorosità, “Operazione Condor, un patto criminale”, dedicato agli anni più bui delle dittature militari del Cono Sud.
La lucidità delle sue definizioni, oltre alla profonda conoscenza del tema, fa che questa intervista si converta in un materiale di riferimento per chiunque, in futuro, voglia studiare le nuove forme d’intervento nella regione.
Dato che, secondo la stessa Stella, forse uno dei compiti pendenti del mondo intellettuale regionale è definire il campo di battaglia in cui ci scontriamo.
Dal 2014, c’è stata una nuova forma di intervento nei paesi della regione basata su giudici, media e forze di sicurezza, tra altri attori. In questo contesto, c’è un periodo di colpi di stato a presidenti come Dilma Rousseff, Fernando Lugo e Manuel Zelaya. Quando gli USA rielaborano questa strategia e come la mettono in pratica?
Nei primi anni 2000, Washington ha tracciato una fase, in avanti, basata sulla sostituzione del dispositivo che era stato creato con le dittature militari con uno schema noto come “democrazie della sicurezza nazionale”, secondo i documenti del Comando Sud.
A tal fine, gli USA si sono concentrati nell’infiltrazione dei media, dei partiti politici, del potere giudiziale e delle forze di polizia della maggior parte dei paesi della regione. Oltre a concentrare i propri finanziamenti attraverso fondazioni ed ONG, come la National Foundation for Democracy e l’Agenzia del Dipartimento di Stato per lo Sviluppo Internazionale, create durante l’amministrazione di Ronald Reagan.
Si crearono scuole giudiziarie e L’Accademia Internazionale per l’Applicazione della Legge, in El Salvador, con lo stesso approccio di reclutamento e formazione dei funzionari giudiziari e di polizia della famosa Scuola delle Americhe, nota per aver addestrato i militari che diressero le dittature del Cono Sud.
Per questo, oggi, i giudici, pubblici ministeri, giornalisti e poliziotti sono più importanti dei militari, tranne che in paesi come la Colombia, dove continuano, ancora, con un ruolo di primo piano nella politica interna.
Paradossalmente, per questo reclutamento si avvalgono della vanità dei professionisti di questi settori della società, come avevano previsto nei documenti di Santa Fe preparati da importanti figure dell’establishment conservatore dell’era Reagan.
Quale ti sembra uno dei casi più esemplari di questo cambio nel modo di intervenire nella regione?
Il colpo di stato in Honduras contro il presidente Manuel Zelaya riflette abbastanza come funziona, in pratica, questo sistema. Poiché quando il paese sfugge loro di mano, l’allora Segretaria di Stato, Hillary Clinton, nomina come ambasciatore in Honduras, John Negroponte, che era a capo della guerra sporca in Centro America, durante gli anni ’80, e dovrebbe essere imprigionato per crimini di lesa umanità
Negroponte, rapidamente, s’incarica di corrompere il parlamento e di spingerlo affinché nomini una Corte Suprema di Giustizia favorevole agli interessi USA. Fatto questo, i media generano un clima di opinione contro i presunti tentativi di Zelaya di farsi rieleggere, dimostratisi falsi, per giustificare che i militari l’allontanassero dal potere e lo trasferissero in una base militare in Costarica.
Con questo pretesto, la Corte Suprema stabilì che non vi era stato alcun golpe ma una difesa dello Stato contro i tentativi di Zelaya di violare la costituzione honduregna. Episodio che si concluse con l’elezione di Roberto Michelletti come presidente de facto da parte del Parlamento.
Un chiaro esempio di come, in questo caso, agiscono media, politici, giustizia e militari.
Parliamo di democrazie tutelate nelle quali esiste un controllo diretto dei paesi attraverso la gestione della giustizia, dei media, della polizia e dei diversi attori della società come possono essere i giovani od i gruppi indigeni.
In un certo senso, è come se esistesse una dittatura della sicurezza nazionale ma senza i militari al potere.
Un altro chiaro esempio è quello della Colombia, dove formalmente ci sono elezioni, ed un presidente eletto dai voti, nonostante sia una nazione gestita dalle Forze Armate, totalmente formate dagli USA.
Questo ha anche la sua replica nei piani come quello della Sicurezza Democratica di Álvaro Uribe Vélez, dove si riordinò parte del territorio colombiano in funzione d’installare un sistema di governo che consentisse l’estrazione di risorse naturali senza alcuna tipo di opposizione locale.
Sì, perché in Colombia quello che è successo con queste “zone di pacificazione” è che, dopo queste sono rimaste pieni di paramilitari. In realtà, ciò che hanno fatto è stato utilizzare la figura del nemico interno, con le FARC, per affinare una struttura di controllo, in queste aree, che poi fornisse sicurezza alle transnazionali per sfruttare le risorse naturali di queste zone.
In un certo senso, lo stesso accade ora in Patagonia con lo stesso uso dei mapuche come nemici interni, mentre vicino a Vaca Muerta, uno dei principali bacini energetici del paese, viene installata una base militare USA.
In Messico succede la stessa cosa con il pretesto della lotta contro il traffico di droga per firmare l’Iniziativa Merida, simile al Plan Colombia.
Così, in questo modo, gli USA prestano denaro affinché, in seguito, gli acquistino armi ed i loro consiglieri li addestrino per usarle.
Come in Colombia, ciò che questa modalità ha dato come risultato è la pulizia della popolazione dei luoghi nel nord del paese, dove molte persone sono fuggite davanti all’impossibilità di poter sopportare omicidi e rapimenti.
In questo modo, puliscono intere aree della regione per riorganizzare il territorio in funzione dell’estrazione di risorse naturali per il progetto capitalista USA, oggi necessitato di aprire altri fronti davanti all’ascesa di Cina e Russia.
È in questo contesto dove si vede che, in paesi come il Brasile, c’è un’occupazione militare a Rio de Janeiro e una condanna politica di Lula. Dove sta andando la regione?
Ad un punto in cui il Comando Sud afferma che ci deve essere, paradossalmente, una sicurezza democratica in tutto il continente. Dove si vede, con il modello messicano e colombiano, che l’obiettivo è una dissoluzione, nella pratica, degli stati-nazione. Con la differenza che prima cercavano di farlo con le occupazioni con la forza ed ora hanno scommesso farlo in un altro modo.
Perciò è necessario sederci a pensare, con un gruppo di lavoro, ai piani USA per la regione, al fine di escogitare modi per anticiparli. Che valutiamo quali siano le armi che conta ogni paese e creiamo un’unità per affrontarli.
Poiché gli USA in qualche modo, oggi, sono un gigante dai piedi di argilla a causa del loro contesto interno. Che si trova disperato perché non c’è una solida gestione della situazione nel suo establishment, che è disperato per non essere stato in grado di controllare, completamente alcun paese del Medio Oriente, negli ultimi decenni, nonostante aver occupato l’Iraq.
In questo contesto, dobbiamo uscire da alcune posizioni dogmatiche, proporci un serio lavoro di massa, come quello che è stata fatta in Venezuela, per superare i limiti imposti da progetti come quello degli USA, poiché in paesi come l’Argentina non possiamo solo lavorare in strutture medie ed alte.
Soprattutto se capiamo che c’è una crisi che apre un’opportunità, per uscire da questi piani, se si unificano gli approcci. Di fronte a questo incrocio in cui siamo sia quelli di sopra come quelli di sotto.
Stella Calloni: “La democracia de seguridad nacional es la nueva forma de intervención estadounidense”
Bruno Sgarzini
Stella camina con un bastón a sus 83 años por los pasillos del Palacio de Convenciones de La Habana donde se desarrolla el XXIV Foro de São Paulo. Entre remolinos de gente, se le acercan personas a saludarla y hablarle mientras se dirige hacia el sitio asignado en uno de los salones del Palacio, al Encuentro de la Red de Intelectuales realizado en paralelo a las actividades del foro.
En este contexto, rodeado de figuras políticas como Manuel Zelaya, Dilma Rousseff y Nicolás Maduro, Misión Verdad entrevistó a una de las investigadoras con más trabajos sobre las estrategias de intervención de Estados Unidos como corresponsal itinerante del diario mexicano La Jornada, entre los que destaca por su precisión y su rigurosidad “Operación Cóndor, un pacto criminal”, dedicado a los años más oscuros de las dictaduras militares del Cono Sur.
La lucidez de sus definiciones, además del conocimiento profundo acerca del tema, hace que esta entrevista se convierta en un material de referencia para todo aquel que en el futuro quiera estudiar las nuevas formas de intervención en la región.
Dado que, según la propia Stella, quizás una de las tareas pendientes del mundo intelectual regional sea la de definir el campo de batalla en el que nos enfrentamos.
Desde el año 2014 se da una nueva forma de intervención en los países de la región basada en los jueces, los medios de comunicación y las fuerzas de seguridad, entre otros actores. En este contexto, se da un periodo de golpes de Estado a presidentes como Dilma Rousseff, Fernando Lugo y Manuel Zelaya. ¿Cuándo Estados Unidos reelabora esta estrategia y cómo la lleva a la práctica?
A principios de los años 2000, Washington trazó un periodo hacia delante basado en reemplazar el dispositivo que se había creado con las dictaduras militares con un esquema conocido como “democracias de seguridad nacional”, según documentos del Comando Sur.
Con este objetivo, Estados Unidos se centró en infiltrar los medios de comunicación, los partidos políticos, el poder judicial y las fuerzas policiales de la mayoría de los países de la región. Además de enfocar su financiamiento a través de fundaciones y ONGs, como la Fundación Nacional para la Democracia y la Agencia del Departamento de Estado para el Desarrollo Internacional, creadas durante la administración de Ronald Reagan.
Se crearon escuelas de justicias y La Academia Internacional Para el Cumplimiento de la Ley en El Salvador con el mismo criterio de captación y formación de funcionarios judiciales y policiales de la famosa Escuela de Las Américas, reconocida por haber adiestrado a los militares que encabezaron las dictaduras del Cono Sur.
Por esto hoy los jueces, fiscales, periodistas y policías son más importantes que los militares, excepto en países como Colombia donde estos aún continúan con un papel preponderante en la política interna.
Paradójicamente, para esta captación se valen de la vanidad de los profesionales de estos sectores de la sociedad, tal como lo habían previsto en los documentos de Santa Fe elaborados por importantes figuras del establecimiento conservador de la era Reagan.
¿Cuál te parece uno de los casos más ejemplares de este cambio en la forma de intervenir en la región?
El golpe en Honduras contra el presidente Manuel Zelaya refleja bastante cómo funciona este esquema en la práctica. Ya que cuando el país se les va de las manos, la por entonces secretaria de Estado, Hillary Clinton, nombra como embajador en Honduras a John Negroponte, quien estuvo a cargo de la guerra sucia en Centroamérica durante los ochenta y debería estar preso por crímenes de lesa humanidad.
Negroponte rápidamente se encarga de corromper el parlamento y presionarlo para que nombre una Corte Suprema de Justicia favorable a los intereses de Estados Unidos. Hecho esto, los medios generan un clima de opinión contra los supuestos intentos de Zelaya de reelegirse, comprobadamente falsos, para justificar que los militares lo sacaran del poder y lo trasladasen a una base militar en Costa Rica.
Con este pretexto fue que la Corte Suprema estableció que no había habido un golpe sino una defensa del Estado contra los intentos de Zelaya de violar la constitución hondureña. Episodio que terminó con la elección de Roberto Michelletti como presidente de facto por parte del parlamento.
Un ejemplo claro de cómo actúan los medios, los políticos, la justicia y los militares en este caso.
Hablamos de democracias tuteladas en la que se tiene un control directo de los países a través del manejo de la justicia, los medios de comunicación, la policía, y diferentes actores de la sociedad como pueden ser los jóvenes o los grupos indígenas.
En cierto sentido, es como si existiese una dictadura de seguridad nacional pero sin los militares en el poder.
Otro ejemplo claro es el de Colombia, donde formalmente hay elecciones, y un presidente elegido por votos, a pesar de ser una nación manejada por las Fuerzas Armadas, totalmente formadas por Estados Unidos.
Eso también tiene su réplica en planes como el de la Seguridad Democrática de Álvaro Uribe Vélez, donde se reordenó parte del territorio colombiano en función de instalar un sistema de gobierno que permitiese la extracción de recursos naturales sin ningún tipo de oposición local.
Sí, porque en Colombia lo que sucedió con estas “zonas de pacificación” es que, después éstas, quedaron repletas de paramilitares. En realidad lo que hicieron fue utilizar la figura del enemigo interno con las FARC para afinar en estas zonas una estructura de control que luego brindase seguridad a las transnacionales para explotar los recursos naturales de estas zonas.
En cierta forma, lo mismo sucede ahora en la Patagonia con el mismo uso de los mapuches como enemigos internos, mientras cerca de Vaca Muerta, uno de los principales reservorios energéticos del país, se instala una base militar de Estados Unidos.
En México sucede lo mismo pero con el pretexto de la lucha contra el narcotráfico para firmar la Iniciativa Mérida, similar al Plan Colombia.
Así, de esta forma, Estados Unidos le presta dinero para que después le compren armas y sus asesores los formen para usarlas.
Al igual que en Colombia, esta modalidad lo que ha dado como resultado es la limpieza de la población de lugares del norte del país, donde muchas personas huyeron ante la imposibilidad de poder lidiar con los asesinatos y los secuestros.
De esta forma, limpian zonas enteras de la región para reorganizar el territorio en función de la extracción de recursos naturales para el proyecto capitalista de Estados Unidos, hoy necesitado de abrir otros frentes ante el ascenso de China y Rusia.
Es en este contexto donde se ve que en países como Brasil se da una ocupación militar en Río de Janeiro y una condena política a Lula. ¿Hacia dónde va la región?
A un punto donde el Comando Sur afirma que debe haber, paradójicamente, una seguridad democrática en todo el continente. Donde se ve con el modelo mexicano y colombiano que el objetivo es una disolución en la práctica de los Estados-nación. Con la diferencia de que antes buscaban hacerlo con ocupaciones por la fuerza, y ahora apuestan hacerlo de otra manera.
Por eso es necesario sentarnos a pensar con un grupo de trabajo los planes para la región de Estados Unidos, bajo el fin de idear formas para anticiparnos a éstos. Que evaluemos cuáles son las armas que cuenta cada país y creemos una unidad para enfrentarlos.
Ya que Estados Unidos en cierto punto hoy es un gigante con pies de barro debido a su contexto interno. Que se encuentra desesperado porque no hay un manejo sólido de la situación en su establecimiento, que está desesperado por no haber podido controlar completamente ningún país de Medio Oriente en las últimas décadas, pese a haber ocupado Irak.
En este contexto, debemos salir de algunas posiciones dogmáticas, proponernos un trabajo de masas en serio, como el que se hizo en Venezuela, para superar los límites impuestos por proyectos como el de Estados Unidos, que en países como Argentina no pudimos pasar por solo hacer trabajo en estructuras medias y altas.
Sobre todo si entendemos que hay una crisis que abre una oportunidad para salir de estos planes si se unifican criterios. Ante esta encrucijada en la que estamos tanto los de arriba como los de abajo.