di Geraldina Colotti
Si chiamano “Soldados de Franela” e si erano già fatti sentire l’anno scorso, presentandosi come una componente della cosiddetta Resistencia. Sono loro che hanno rivendicato l’attentato con i droni che avrebbe dovuto uccidere Nicolas Maduro durante una cerimonia ufficiale, ieri, a Caracas. L’hanno chiamata “operazione Fenix” e il loro comunicato è stato immediatamente diffuso a Miami dalla giornalista di opposizione Patrizia Poleo. Come in precedenza, si qualificano come “militari e civili patriottici”, criticano “l’educazione comunista” che ha corrotto il paese e sciorinano il programma dell’opposizione oltranzista, che invita le Forze armate alla rivolta per instaurare “un governo di transizione”.
Lo stesso programma dei gruppi mercenari che, per mesi, hanno devastato e bruciato istituzioni pubbliche e anche persone, nel tentativo di far cadere il governo. Si definiscono “patrioti” e parlano di “libertà”, mentre i loro padrini politici girano per l’Europa a chiedere l’invasione armata del proprio paese: per far man bassa delle risorse in piena “libertà”.
Solo la prontezza dei tiratori scelti della Guardia Nazionale Bolivariana ha evitato che i droni, azionati da un appartamento vicino, raggiungessero l’obiettivo. Sette gli agenti feriti, arrestati alcuni attentatori.
Se l’esplosivo avesse ucciso il presidente “saremmo stati a un passo dalla guerra civile”, ha dichiarato il Procuratore Generale Tareck Saab, ventilando l’ipotesi di una “cooperazione terrorista straniera”.
Chi ha lavorato perché la cerimonia ufficiale anziché a Los Proceres si svolgesse nell’Avenida Bolivar?
Nel suo discorso alla nazione, Maduro ha fatto riferimento esplicito alla Colombia che, all’interno del Gruppo di Lima, intensifica la ragnatela economico-militare-diplomatica voluta dagli Stati Uniti e appoggiata dalle sanzioni dell’Unione Europea.
L’anno scorso, una delle rappresentanti dei Soldados de Franela è stata intervistata da una tv italiana, nel pieno della guerra mediatica contro “il dittatore Maduro”.
Questi gruppi rovesciano spazzatura dagli stessi canali che, dalle prime “rivoluzioni colorate” a quelle odierne, intossicano il consumatore passivo di “post-verità”. Antenne provenienti da Miami e Bogotà, ma foraggiate dai grandi gruppi imprenditoriali che hanno fatto fortuna in Venezuela: e che sono anche di marca italiana, come italiane sono molte delle grottesche voci che si esprimono su queste emittenti.
Di un italiano era anche la targa della moto che si vede nel video mentre viene bruciato vivo il giovane chavista Orlando Figuera, nel maggio del 2017. Dagli stessi canali, dalle stesse sigle arrivavano gli aggiornamenti sulle imprese dell’ex poliziotto Oscar Pérez, che tentò di sganciare bombe sulle istituzioni da un aereo militare. Il pericolo è reale, come hanno dimostrato gli assalti ad alcune guarnizioni militari tentati l’anno scorso.
La rivoluzione “non è un pranzo di gala”: neanche quando si impone per la via elettorale e cerca di disinnescare dall’interno i meccanismi dello Stato borghese. A quasi vent’anni dalla vittoria di Hugo Chavez, la lotta di classe è permanente come è permanente la propaganda mediatica che mira a deviarne il senso e a confonderne gli obiettivi. I lettori italiani non hanno saputo niente del dibattito in corso in Venezuela, del Congresso del Partito Socialista Unito del Venezuela, della Marcia dei contadini ricevuta dal presidente a Miraflores, né della reazione dei latifondisti che, il giorno dopo, hanno mandato i loro sgherri a uccidere altri tre leader della marcia. Avrebbero però potuto “appassionarsi” al nuovo “giallo” internazionale per scoprire come ha fatto “il dittatore Maduro” a inviare il coltan in Europa, beffando le sanzioni imposte dalla UE.
La posta in gioco, in Venezuela, è altissima. La riforma economico-finanziaria approvata dal governo minerebbe interessi giganteschi legati all’egemonia del dollaro. L’irruzione del potere popolare, la forza della “democrazia partecipativa e protagonista” sta apportando nuova linfa al socialismo bolivariano, fa scricchiolare vecchi privilegi e burocrazie, dando solidità al gruppo dirigente di Maduro. E’ un momento di svolta. Per i grandi potentati economici, è il momento di giocarsi il tutto per tutto.