L’Italia, il Venezuela e la costruzione del senso comune

 L’Emilia Romagna apre le porte della Regione alle destre venezuelane

di Geraldina Colotti

La vicepresidente del Venezuela, Delcy Rodriguez, ha denunciato che sul Venezuela si sta costruendo un senso comune: quello della “crisi umanitaria”. Un pretesto per “giustificare” l’intervento armato degli Stati uniti, con il beneplacito della “comunità internazionale”. Con che diritto? Con quello dell’arroganza imperialista con cui sono stati smembrati e devastati interi paesi. Se il Venezuela dev’essere invaso perché in “crisi umanitaria”, ha aggiunto Rodriguez, bisognerebbe invadere “tutto il mondo capitalista” che produce vere catastrofi umanitarie e milioni di profughi.

Come si costruisce un senso comune? Basta guardare all’Italia, dove uno dei giornali che più feticizza la legalità (borghese) ha fatto un’intervista a dir poco “sdraiata” al ricercato Antonio Ledezma, definito semplicemente “ex sindaco di Caracas”. Non una parola sul suo passato di “sceriffo”, sul perché sia finito in carcere (per poco, poi è stato messo agli arresti domiciliari per malattia ed è immediatamente fuggito dai suoi padrini spagnoli), sulle violenze e i morti che ha provocato, sia nella IV Repubblica che contro il governo Maduro.

Di più. Si è consentito al ricercato di inneggiare all’attacco con i droni esplosivi che avrebbe dovuto uccidere il presidente venezuelano e fare una strage, e che è stato sventato. Il putrido quadretto dato in pasto agli italiani è stato quello del “sincero democratico” legittimato a uccidere il “tiranno”. Come se non bastasse, il “giornalista” ha anche messo in dubbio l’autenticità dell’attacco, riesumando un’altra delle tesi preferite dai valletti di Washington: quella dell’auto-attentato.

Perle del genere si leggono o si ascoltano tutti i giorni, in Italia e in Europa. Intanto, come un’infezione, la destra venezuelana si è ramificata nei posti che contano, potendo godere di solidi agganci sia nel suo campo che in quello della ex sinistra che ha da gran tempo scelto di farsi stritolare nell’abbraccio mefitico con il gran capitale. L’opposizione venezuelana più estremista, fa opinione nei media, nelle università, nelle istituzioni. Il governo precedente le ha aperto tutte le porte, e di certo quello attuale non fa mostra di volerle neanche accostare.

Così, anche a ridosso dell’incontro tra il papa Bergoglio e la rabbiosa Conferenza episcopale venezuelana, si sta preparando il terreno per consolidare quel senso comune.

In Emilia Romagna – un tempo “regione rossa” abituata a distinguere tra sfruttati e sfruttatori – la presidente del consiglio regionale (del Partito Democratico, PD) sta sponsorizzando una mostra nelle sedi istituzionali. Non una semplice mostra, ma un pezzetto di quello “show hollywoodiano” di cui ha parlato il presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente, Diosdado Cabello, per definire la propaganda di guerra costruita intorno al “grande esodo” dei migranti venezuelani.

La mostra s’intitola “Venezuela, diritto alla salute”. Ci sono le fotografie di “giovani malati in attesa di medicine, donne disperate e la rabbia dei loro mariti”. E c’è un film drammatico come accompagnamento. Durerà quasi un mese: il tempo che l’Associazione Ali per il Venezuela, insieme alla Caritas e ai “volontari” del Programma de Ayuda Humanitaria para Venezuela possano svolgere la loro propaganda e “raccogliere medicine”.

Di certo in quelle foto non comparirà il corpo in fiamme del povero Figuera, gli operai sgozzati dalle loro trappole, i poliziotti e gli studenti uccisi, le bombe e tutto il resto. Di certo non racconteranno delle merci sottratte, dei prezzi alle stelle in barba alle leggi, dei loro sporchi guadagni sulla pelle delle persone.

Sarà tutto un inno all’”umanitario” per chiedere che, umanitariamente, intervenga nel loro paese il signor Trump, noto difensore dei “diritti umani”. Dall’Italia, dove costruiscono i loro proclami pieni di menzogne con cui giustificano l’uccisione di Maduro, quell’invasione è già cominciata. Nelle retrovie delle “guarimbas” lo abbiamo già visto quel tipo di “volontari”.

E la cosa più desolante è che da noi la gente ci caschi, anche a sinistra. Basterebbe un briciolo di logica. Se la destra volesse il bene del paese e non solo quello del proprio portafoglio dovrebbe essere contenta che vi sia una ripresa economica. Invece no: perché quella ripresa andrebbe prima di tutto a favore dei settori popolari, mentre loro vogliono abolire la costituzione per poter consegnare il paese nelle mani dei soliti noti.

Il vicepresidente esecutivo per l’area economica, Tareck El Aissami, è invece stato chiaro: “Tutti i guadagni che arriveranno, saranno investiti in spese sociali. Stiamo dimostrando che si può fare una politica alternativa al capitalismo”.

Una strada diversa da quella che ha messo in ginocchio la Grecia e sta prostrando nuovamente l’Argentina. Diversa da quella imperante in Colombia, dove chi si oppone viene semplicemente eliminato, e l’unica pace a cui ha diritto è quella della tomba. Una strada diversa dal gioco sporco che va per la maggiore in Brasile, dove per impedire a Lula di vincere lo si mette in galera.

Una strada che confida nell’organizzazione del potere popolare: senza delegarne gli esiti ai corsi e ricorsi della “democrazia procedurale”, come sta avvenendo in Brasile e com’è già successo durante l’impeachment a Dilma Rousseff.

Il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), il più grande dell’America Latina, ha reagito alla sconfitta elettorale del 2015, alla guerra economica, alle magagne interne, facendo leva sugli ideali, i principi, la coscienza politica. Lo si è visto in questo IV Congresso che sta accompagnando il pacchetto “integrale” di misure economiche varate dal governo.

Adesso tocca al JPSUV, i giovani del partito, fare il proprio congresso. Una delle novità più significative è l’obbligo di eleggere per ogni carica sia una ragazza che un ragazzo, tra i 15 e i 30 anni: per rispettare la legge che prevede una completa parità di genere in politica. Dopo 10 anni di vita del partito e quasi venti di chavismo al governo, il dato più evidente è quello della partecipazione dei giovani alla vita politica. Su 20 milioni iscritti nel registro elettorale, 7,5 milioni sono giovani, votano, partecipano e si organizzano nel partito. Molti delegati sono giovanissimi, non ancora in età per votare. Quello che si terrà tra il 10 e il 12 di settembre è il terzo congresso del JPSUV. Si prevede che parteciperanno oltre 2 milioni di militanti iscritti al partito.

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