di Geraldina Colotti
Senza vergogna. Il neo presidente colombiano, Iván Duque, ha affermato che, a causa del Venezuela, l’America latina si trova alle soglie di “una delle peggiori crisi umanitarie contemporanee”, per cui ha richiesto l’appoggio di tutta la regione. Concludendo una visita al municipio El Soccorro, nel dipartimento di Santander, ha insistito che si tratta, quasi certamente, della “crisi migratoria più grande che abbia avuto l’America latina nella sua storia recente”. Affermazioni provenienti dal capo di Stato del paese che produce uno dei più alti numeri di sfollati interni e di rifugiati all’estero del mondo: moltissimi dei quali (5,6 milioni su complessivi 6,5 milioni di immigrati) vivono in Venezuela, dove godono di tutti i diritti. Perché vi rimangono se il paese ha provocato una simile “crisi umanitaria”? Tutti masochisti?
In una conferenza stampa, tenuta da Delcy e Jorge Rodriguez – rispettivamente vicepresidente e ministro della comunicazione – il governo bolivariano ha respinto l’uso politico della poderosa campagna sulla presunta crisi umanitaria alle frontiere del Venezuela. I due Rodriguez – figli di un militante morto sotto tortura durante gli anni delle democrazie camuffate della IV Repubblica, a cui le destre vorrebbero tornare – hanno ribaltato le menzogne mediatiche fornendo altri dati, provenienti dall’Acnur e supportati dalla logica.
Una situazione confermata anche dalle numerose richieste di ritorno che giungono alle ambasciate e ai consolati del Venezuela in America Latina da parte di quei cittadini che, dopo essere rimasti vittima del martellamento mediatico di opposizione, hanno toccato con mano cosa significhi vivere nei paesi che mettono al centro il profitto e non i diritti dei lavoratori, come in Venezuela. Il Governo ha organizzato il ritorno di qualche centinaio di concittadini, sia dal Perù che dal Brasile e continuerà ad adoperarsi per organizzare altri ritorni, nell’ambito del piano di recupero economico varato. Un piano che può portare un duro colpo alla guerra economica e che mira a ridimensionare fortemente il potere del dollaro, e che è la vera posta in gioco in questo nuovo, pericolosissimo attacco, al paese ricco di risorse.
Noi – ha detto Delcy Rodriguez – gli immigrati non li mettiamo nei campi per fotografarli e per speculare politicamente sulla loro pelle.
Il Venezuela ha una tradizione di accoglienza certificata lungamente negli anni, è il secondo paese del Sudamerica per numero di migranti accolti. Per questo, va respinto al mittente l’attacco dell’Alta Commissario Ue Federica Mogherini, a fronte di una vera crisi che ha portato – solo quest’anno – 1600 arrivi di migranti dal Mediterraneo: provenienti da quei paesi, dell’Africa o del Medioriente, che hanno sofferto le aggressioni imperialiste, pregresse e recenti. Una pericolosa doppia morale che rischia di stravolgere il senso del diritto internazionale se, all’Onu e all’Osa – dove Almagro ha convocato una riunione per il 5 settembre – si procederà sulla linea voluta apertamente dagli Usa: quella dell’invasione “umanitaria”, per interposta Colombia e compari del cosiddetto Gruppo di Lima.
“Al Venezuela rimangono tre amici nella regione, lo spazio intorno si sta facendo molto piccolo”, ha detto senza mezzi termini Carlos Trujillo, ambasciatore degli Stati uniti all’Osa a proposito della risoluzione di condanna contro il governo bolivariano, approvata dall’Assemblea Generale dell’organismo diretto da Luis Almagro. Un meccanismo per attivare la Carta democratica che legittimerebbe l’intervento esterno in Venezuela in quanto “stato fallito, narcotrafficante e protettore di terroristi”.
In un’intervista alla Cnn, Trujillo ha lasciato intendere che Trump non esclude nessuna opzione e che, anche nei confronti del Nicaragua, si stanno preparando nuove sanzioni che vanno nella medesima direzione: Maduro – ha affermato l’ambasciatore – non se ne andrà da solo, quindi bisognerà organizzarne la dipartita manu militari. Il consenso della popolazione? Bazzeccole, se ne può fare a meno, evidentemente, puntando su un’avventura analoga a quella compiuta in Iraq o in Siria. Un’avventura che, però, come ha ripetuto Maduro, per gli Usa potrebbe trasformarsi in un nuovo Vietnam.
E per questo – dicono i movimenti popolari, dall’America latina all’Europa, – il Venezuela è la nostra trincea. Nel secolo scorso – ha affermato Delcy Rodriguez – il nemico principale era l’Unione Sovietica, ora siamo noi.