G. Colotti www.farodiroma.it
Il discorso di Trump all’Assemblea Onu è apparso ridicolo, volgare e pericoloso. Ad accoglierlo e rilanciarlo, solo quei paesi neoliberisti dell’America Latina che stanno riportando i propri paesi e il continente nel buco nero imposto dal Fondo Monetario Internazionale. Lo stesso in cui vorrebbero gettare il Venezuela, a colpi di ingerenze e fomentando l’eversione interna. Il pazzo col ciuffo giallo lo ha ripetuto di nuovo: la “dittatura” di Maduro sarà rovesciata da un colpo di Stato militare … che USA e Colombia hanno già appoggiato una volta, consentendo l’attentato con i droni all’esplosivo, sventato il 4 agosto dalle forze di sicurezza bolivariane.
Per questo, ha detto Trump, occorre una pressione crescente, che aumenti le sanzioni economico-finanziarie già approvate (anche in Europa); occorre finanziare “l’aiuto umanitario alle frontiere” (per questo, il “benefattore” nordamericano, campione del “risparmio” sulla pelle dei migranti e dei settori popolari ha già stanziato svariati milioni di dollari); e occorre dare sempre più spago al Segretario generala dell’OSA, suo fedele “sicario”, come lo ha definito Jorge Arreaza, ministro degli Esteri venezuelano. Occorre mascherare le provocazioni alle frontiere con il Venezuela cambiando loro di segno: accusando, cioè, la Forza Armata Nazionale Bolivariana di “ammassare truppe alla frontiera” per cercare il conflitto militare. “Il mondo al contrario”, ha detto Arreaza.
A New York, il ministro degli Esteri ha volato alto, sia nel suo discorso al summit per la pace dedicato dall’Assemblea ONU a Mandela, sia nella conferenza stampa che ne è seguita, dove ha smontato punto per punto gli argomenti usati per aggredire il suo paese. La vera dittatura – ha detto il ministro bolivariano – è quella del capitale, e Trump ne rappresenta gli interessi. Quella degli Usa è una democrazia delle elite, che mai consentirebbe a un operaio di diventare presidente della repubblica, giacché per essere eletti occorre essere molto ricchi e muovere grandi interessi.
In Venezuela, invece, non solo ci si avvia verso l’elezione numero 25, il 9 dicembre, ma “è il meccanismo decisionale” a connotare la democrazia partecipata, in cui il popolo decide davvero. Aiuto umanitario? Sobrio e preciso, Arreaza ha invitato i giornalisti a studiare la storia del continente, ha spiegato in modo semplice il meccanismo e lo scopo della campagna internazionale contro il Venezuela. Il modulo dell’aggressione attuale richiama quelli precedenti.
Arreaza ha ricordato l’invasione Usa nella Repubblica Dominicana, il 28 aprile del 1965: un meccanismo già messo in atto nel Guatemala del progressista Jacobo Arbenz (nel 1954) e tentato con l’invasione della Baia dei Porci a Cuba nel 1961. Uno schema applicato con il consenso dell’OSA, giustificato con gli stessi argomenti pretestuosi: garantire la “sicurezza” e portare “aiuto umanitario” a popolazioni messe alla corda da una crisi economica provocata da sanzioni esterne e dal sabotaggio delle classi dominanti con il supporto delle gerarchie ecclesiastiche. Creano la crisi, ti “soffocano” e poi ti offrono “l’aiuto umanitario”… e dopo i convogli con i medicinali, arriva l’invasione dei marines – ha sintetizzato efficacemente Arreaza. La guerra sporca contro il Venezuela è la stessa scatenata contro Allende nel Cile del 1973, la stessa che si è dispiegata contro il Nicaragua, ieri come oggi. Proprio in questi giorni, Daniel Ortega ha denunciato le manovre dei poteri forti sull’economia nicaraguense, decantata per la sua solidità fino a che le mire geopolitiche dell’imperialismo Usa non hanno deciso che bisognava togliere di mezzo il sandinista Ortega.
Esaminare la portata delle azioni del “gendarme” nordamericano non significa negare i problemi – ha detto ancora Arreaza – ma solo inquadrarli nella loro giusta proporzione. Una proporzione che richiama sia lo scenario internazionale – la guerra commerciale in corso tra Washington e Pechino nella ridefinizione di un mondo multipolare – , sia l’effetto criminale del blocco economico-finanziario che impedisce ai paesi debitori di pagare quanto dovuto al Venezuela, impedisce ai farmaci e ai prodotti già acquistati di arrivare a destinazione. Un bloqueo simile a quello che continua a soffocare Cuba, che il Venezuela ha denunciato con forza.
Il tema Venezuela viene anche usato a fini di politica interna: si vuole dimostrare che il socialismo, seppure rinnovato e “umanista”, non funziona: per nascondere il fallimento del capitalismo e la faccia crudele del dio Mercato. E così, l’imprenditore Macri che sta portando l’Argentina nel baratro in base alla ricetta dell’FMI, ricevendo il ripudio dei suoi stessi elettori, si è fatto ieri portavoce del gruppetto di paesi neoliberisti – Argentina, Colombia, Cile, Paraguay e Perù – che hanno firmato una lettera per chiedere alla Corte penale internazionale di mettere sotto accusa Nicolas Maduro, per “aver violato i diritti umani”.
Il Consiglio della Corte dovrebbe decidere per fine mese se portare avanti la denuncia – inedita nei 16 anni di esistenza della CPI – oppure respingerla. Ma, intanto, va sgretolandosi anche la tenuta del cosiddetto “Tribunal Supremo in esilio”, che pretende di legiferare contro il proprio paese dalla sua sede a Bogotà per istituire un “governo di transizione”: pronto a rimettere le mani sulle straordinarie risorse naturali del Venezuela in caso di colpo di stato. Già diversi magistrati abusivi si sono dimessi, e la frenetica attività dell’ex Procuratrice generale Luisa Ortega suscita la stessa reazione di quella riservata a Trump dall’intera platea Onu quando questi si è vantato di aver realizzato risultati “storici” per gli Stati Uniti: una gigantesca risata.
Il discorso di Trump – ha spiegato Arreaza – “ha un carattere elettorale perché è in arrivo un turno elettorale nel suo Paese (…) e attaccare Venezuela e Cuba gli dà voti per vincere in Florida”. Il ministro ha poi ritenuto “davvero triste” che il capo dello Stato nordamericano “abbia sollecitato misure unilaterali all’Onu, la casa della multilateralità. Si tratta di una vera atrocità”. Infine ha sottolineato che “sarebbe una tragedia un intervento militare in Venezuela, ma che il popolo e le forze armate bolivariane saprebbero come difendersi, e l’esempio del Vietnam non sarebbe abbastanza significativo”.
Diplomazia di pace contro arroganza imperialista. Socialismo contro xenofobia. L’incontro di Nicolas Maduro con gli immigrati che hanno chiesto di diventare cittadini del Venezuela ha mostrato ieri l’incomparabile distanza tra la via xenofoba intrapresa dal governo italiano con il decreto Salvini e la via socialista alla solidarietà e all’unità fra i popoli.
Maduro ha deciso di concedere per decreto la cittadinanza a 8300 cittadini stranieri che hanno chiesto di essere naturalizzati: 5.781 colombiani, 390 peruviani, 207 ecuadoriani, 357 siriani, 117 libanesi… Ma ci sono anche degli europei: 92 portoghesi, 63 spagnoli e 56 italiani, in barba alla propaganda che enfatizza chi se ne va dal Venezuela e ignora quanti invece stanno tornando usando gli aerei messi appositamente a disposizione dal governo bolivariano dopo aver constatato quanto male si viva nei paesi capitalisti confinanti.
Il gruppo di Colombiani per la pace, che vive in Venezuela, ha spiegato ieri le proporzioni di un esodo che si ripete con il ripetersi dei massacri e delle persecuzioni, che durano dal 1948 e che obbligano alla fuga migliaia di persone. Un esodo che è anche un business economico, perché i migranti all’estero mandano rimesse e non usufruiscono di servizi sociali; perché il perpetrarsi dell’”emergenza” alimenta il commercio delle armi, della “sicurezza” e del controllo a cui gli Stati Uniti destinano fiumi di dollaro, come hanno fatto ora per l’”emergenza profughi venezuelani”.
Eccole le violazioni dei diritti umani che il partito della guerra si incarica di moltiplicare usando la parola “pace” per agevolare l’ingresso dei carri armati. Non per niente, l’ex presidente Santos, dopo aver ricevuto il Nobel per la pace ha chiesto l’ingresso del suo paese nella Nato e si è adoperato per far sì che il processo di pace diventasse la pace della tomba per ex guerriglieri, ambientalisti e dirigenti popolari. Ecco le violazioni che il “sicario dell’Osa” non si è mai sognato di sanzionare.
Ieri, Trump ha imposto sanzioni ad altri esponenti del governo bolivariano: a Cilia Flores, a Delcy e Jorge Rodriguez e al ministro della Difesa Vladimir Padrino. Una “medaglia al valore”, ha ribadito il presidente venezuelano. Il bersaglio è Maduro, ma Maduro non è un uomo solo al comando, è “un processo: un processo di indipendenza iniziato con Bolivar”, ha detto Arreaza. Un processo che non si basa sui falsi sovranismi che stanno circolando in Europa, e che mettono in competizione gli ultimi contro i penultimi della catena. Una sfida che ha reso coscienti “gli ultimi”, organizzandoli in un nuovo blocco sociale anticapitalista, e in questo modo riprende e attualizza l’antico messaggio del movimento operaio: “proletari di tutti i paesi, unitevi”.