Bruno Sgarzini, Mision Verdad – http://aurorasito.altervista.org
Inedito è il processo che portava a queste elezioni, così come i risultati e il panorama dopo il primo round segnato da eventi simbolici. 48 milioni di brasiliani hanno votato per Jair Bolsonaro; 30 milioni Fernando Haddad del PT; e 13 milioni da Ciro Gómez del partito democratico laburista. Un paese dipinto nel nord del rosso ptista, e al centro-sud del verde bolsonarista, con le principali città sotto il suo rigido controllo elettorale. Queste sono alcune note di tale processo, che essendo inedite, è impossibile analizzare in modo lineare e convenzionale.
Una vittoria che riorganizza i rapporti di potere in Brasile
Due anni dopo il 2013, le proteste per la Confederations Cup divennero un movimento politico di piazza composto da settori dell’alta borghesia, fattori dell’agroindustria, richiamo al colpe militare del 1964, evangelisti di estrema destra, media corporativi come O Globo, rappresentanti di ONG affiliate alla potente oligarchia industriale statunitense della famiglia Koch, giudici e pubblici ministeri della genia di Sérgio Moro ed intransigenti di Miami e Washington. Uniti a causa dell’odio nei confronti del PT, della corruzione e dell’establishment politico del Paese, scesero in piazza per distillare la loro animosità verso Dilma Rousseff e insistendo attivamente affinché il colpo di Stato avvenisse contro di lei. Questa domenica, la massima espressione di take movimento, l’ex-capitano Jair Bolsonaro, ha incoronato da niente di più e niente meno di 48 milioni di voti con grande prestazione a Sao Paolo e Rio de Janeiro, epicentri delle mobilitazioni del 2013 e 2015. Il risultato di questa domenica è la cristallizzazione di tale processo che aveva radicalizzato tutti gli attori coinvolti nel realizzazione l’unico obiettivo: rimuovere i PT (“politici corrotti”) dal potere e isolarli come se fossero una piaga. Come sappiamo, al Congresso, il Partito della socialdemocrazia brasiliano di Aécio Neves e il Partito del Movimento democratico brasiliano di Michel Temer sono stati fondamentali nel raggiungere il primo obiettivo, mentre il giudice Sérgio Moro, insieme a Procuradoría de la República e Polizia Federale fecero il proprio arrestando Lula Da Silva, il principale autore di grandi accordi nazionali che avrebbero potuto isolare l’espressione così radicale della politica con una sorta di patto socio-politico-economico nel Paese. Tuttavia, questa domenica il candidato deputato più votato era il figlio di Jair Bolsonaro, seguito da Kim Kataguiri del Movimiento Brasil Libre, protagonista delle proteste del 2013, e Celso Russomanno, rappresentante evangelico della potente Chiesa universale, i cui legislatori furono la chiave nel licenziamento di Rousseff. Una riflessione più che eloquente sul progresso del movimento golpista promosso cinque anni fa. In tale contesto, l’equilibrio del processo, radicato nella vacua lotta alla corruzione, è la riorganizzazione della politica brasiliana in due poli: ptismo e antipismo. Da ciò deriva che il centro politico, PSDB e PMDB, scompariva in queste elezioni presidenziali, al punto che il partito di Aécio Neves passava dal 33% al 4%, dalle elezioni del 2014 a quelle del 2018. Paradossalmente: chi ritenevano che avrebbero beneficiato dal colpo di Stato contro Dilma Rousseff veniva liquidato da che lo strumentalizzò per tale scopo. Morale della storia.
La vittoria non è di Bolsonaro, ma del partito d’eccezione che rappresenta
D’altra parte, la scorsa settimana fu abbastanza rappresentativa dell’ambiente in cui si sono svolte le elezioni. La Corte Suprema si allineava alla candidatura di Bolsonaro, vietando a Lula Da Silva di rilasciare un’intervista, mentre la camera elettorale sospendeva il diritto di voto a 3,4 milioni di brasiliani nelle aree favorevoli al PT. Parallelamente, il giudice Sérgio Moro toglieva la segretezza al riassunto della confessione dell’ex-ministro delle Dinanze di Lula, Antonio Palocci, che l’accusava di aver orchestrato una rete di tangenti per una delle campagne del PT. L’obiettivo era chiaro e diretto: fermare a tutti i costi il paggaggio dei voti da Lula a Fernando Haddad. In questo senso, quasi il 30% di Haddad impallidisce davanti alle cifre dell’intenzione di voto per Lula situate a circa il 40%. Il contrasto è più che evidente tra un Lula che doveva comunicare coi seguaci per lettera, come se fossimo nel ventesimo secolo, e un Bolsonaro che non smetteva di bombardare di messaggi per la sua campagna e di notizie false attraverso più di 200 gruppi WhatsApp, con una forte penetrazione nell’elettorato brasiliano. È quasi un truismo ribadire che tutti i suddetti attori hanno avuto una dedizione speciale nell’instillare un clima favorevole alla candidatura di Bolsonaro, che ha tranquillamente incanalato su di sè tutto il voto indeciso. Mentre la mano di Steve Bannon, stratega di Donald Trump, si vedeva nell’elezione del profilo iperstandardizzato di Bolsonaro nei social network, incentrato sull’anti-statalismo, il politicamente scorretto, la lotta a corruzione ed insicurezza. Così, come nel caso di Trump, qualsiasi attacco alla sua figura ne rafforzava l’identità presso gli elettori, come successe con la marcia delle donne che ne fece crescere immediatamente l’intenzione di votare tra le donne povere evangeliche. Così, Bolsonaro si posizionava da politico antistatista quando, in realtà, come rivelava un alto ufficiale, si sa che la sua candidatura è il piano di un gruppo militare, il cui obiettivo è sradicare l’”estrema sinistra”, la lotta alla corruzione, aggiustamento fiscale dello Stato, privatizzazione delle aziende pubbliche e l’istituzionalizzazione dello Stato di emergenza con cui attualmente il Brasile viene qovernato.
Elezioni che si traducono in un Congresso frammentato e conservatore
Secondo il summenzionato ufficiale, intervistato da Marcelo Falak, il piano dell’esercito con Bolsonaro è creare “una nuova democrazia” in Brasile basata su valori conservatori e liberali nell’economia. Forse, in tal senso, è più che rivelatore l’intervista di qualche tempo fa con Stella Calloni qui, quando notò quanto segue: Gli Stati Uniti hanno per obiettivo creare “democrazie di sicurezza” nel continente, dettata da tribunali, media, polizia ed esercito, tra gli altri attori. In tale contesto, il termine “nuova democrazia” spicca presso un gruppo di soldati addestrati alla dottrina della sicurezza nazionale, il cui massimo esponente è il vice di Bolsonaro, Hamilton Mourao, un abile generale razzista che sostiene il colpo del 1964 e propone che una Commissione di notabili riformi la Costituzione brasiliana del 1988 per istituzionalizzare il nuovo ordine nel Paese. Tuttavia, uno dei principali deficit di tale piano è l’attuale frammentazione derivante dal queste elezioni al Congresso. Si stima che 20 partiti siano rappresentati alla Camera, e 30 al Senato. In entrambi, il Partito Social-liberale di Bolsonaro non avrà una maggioranza, che lo condizionerò e adotterà ciò che caratterizza la politica parlamentare in Brasile. Un fallimento dall’origine che, paradossalmente, è ciò che indebolì il PT con Rousseff e rende i presidenti ostaggi di chi controlla il Congresso. A suo merito, nonostante la frammentazione, c’è un rinnovo del 50% del Congresso, grazie in particolare alla caduta della grazia dei capi politici tradizionali di PSDB e PMDB, e dall’ascesa di legislatori evangelici, figure dei social network conosciuti col Lava Jato e rappresentanti di banche. Quindi, tale Congresso è più conservatore e retrogrado di quello che liquidò Dilma, quindi, più permeabile all’agenda dell’ex-capitano in caso di vittoria nel secondo turno.
L’elezione del PT e dilemma politico piuttosto che elettorale
Se queste elezioni presidenziali sono contestualizzate dal principale leader politico in prigione, il partito accusato di corruzione e di tutti i mali nazionali, assediato dal potere reale dentro e fuori il paese, e con un candidato nominato pochi giorni prima, l’elezione del PT potrebbe essere positivo per aver scremato il 30% dei voti, il 14% in meno del risultato di Dilma Rousseff nel 2014. Il record ne mantiene invariata la forte presenza nel nord-est del Paese, di fronte al sud dell’agribusiness e al centro-sud del Paese e le aree urbane dalla maggiore densità abitativa, dove Bolsonaro ha prevalso. Un paese che nel quadro elettorale è completamente diviso, esattamente come nelle elezioni del 2014, tra zone tradizionalmente svantaggiate e quelle più ricche del Paese. Tuttavia, il PT sembra avere un problema di strategia, un dilemma cruciale se mira almeno a sperare in un secondo turno. Soprattutto, se si tiene conto che ha perso ampiamente nei principali distretti elettorali del Paese: Minas Gerais, San Paolo e Rio de Janeiro (nei primi due per oltre il 50%). Da un lato, nel tentativo di riorganizzare il patto col centro politico del Paese, aggiungendovi gli imprenditori interessati dalla distruzione delle proprie industrie, è necessario avere una base di potere minima che consenta di competere con Bolsonaro. Ma proprio quel bisogno è il tallone d’Achille sfruttato dall’ex-capitano, che nel primo discorso post-elettorale affermava che il PT “ha un potere enorme, oltre al controllo sociale sui media e una serie di imprenditori che gli appartengono”. In tal senso, se la candidatura di Haddad rimane bloccata nel centro politico, gli affaristi, la civiltà contro la barbarie di Bolsonaro, difficilmente potrà spezzare il clima che sfrutta presentandosi come politico che da solo affronta la dirigenza identificata nel PT. Ecco perché la mancanza d’inventiva del PT nel rispondere alle critiche della barbarie rappresentata da Bolsonaro è più che sorprendente, invece di focalizzarsi sulla sua caratterizzazione come continuazione dell’attuale governo di Michel Temer. Esempi come il secondo turno in Argentina nel 2015 mostrano che le possibilità crescono se c’è un numero enorme di persone mobilitate, diffondendo lo stesso messaggio col passaparola sulle conseguenze dell’eventuale elezione di Bolsonaro. Ma qui il PT deve agire radicalmente facendo in tre settimane quello che non ha fatto in cinque anni. Un obiettivo degno di nota con oltre 10 milioni di voti di svantaggio, ma resta da vedere se ci siano secondi passaggi che, a volte, sono l’eccezione alla regola.
Traduzione di Alessandro Lattanzio