Brasile: quando la speranza non basta

Iroel Sánchez  https://lapupilainsomne.wordpress.com

Quindi, a che serve dire la verità sul fascismo che si condanna se non si dice nulla contro il capitalismo che lo origina? Una verità di questo tipo non riporta alcuna utilità pratica.

Essere contro il fascismo senza essere contro il capitalismo, ribellarsi contro la barbarie che nasce dalla barbarie, equivale a reclamare una parte del vitello ed opporsi a sacrificarlo.

Bertolt Brecht, Le cinque difficoltà nel dire la verità

L’ampio vantaggio ottenuto dal candidato di estrema destra Jair Bolsonaro nelle elezioni brasiliane, benché insufficiente per la vittoria, che dovrà attendere al secondo turno, ha innescato l’allarme tra gli analisti politici di tutto il mondo. Il chiaro comportamento xenofobo, razzista, misogino, pro dittatura militare e neoliberale estremo del candidato in vantaggio sembrano giustificarlo.

E purtroppo internet è pieno di frasi, del quasi prossimo presidente brasiliano, che provano l’esattezza di tali qualificativi che sono stati ampiamente citati in questi giorni, a cominciare dai suoi elogi a Pinochet ed alla tortura.

Un’alleanza di banchieri, militari, giudici e media ha aperto, a Bolsonaro, la strada alla presidenza del paese più popoloso e con la più potente economia dell’America Latina. Se si guarda con attenzione sono gli stessi settori che i governi del Partito dei Lavoratori (PT) si sono impegnati a non disturbare, specialmente durante il secondo mandato di Lula, quando ha contato su un’altissima popolarità che tuttavia non ha utilizzato per realizzare una profonda riforma del sistema politico, mediatico ed economico brasiliano che è emerso intatto alla resa dei conti per lui e Dilma Rousseff dopo aver rovesciato, quest’ultima, con un colpo di stato parlamentare, quando i prezzi del petrolio e di altre materie prime hanno impedito di mantenere l’ampiezza dei programmi sociali inaugurati dal PT senza entrare in contraddizione con gli interessi della minoranza che non ha mai consegnato il vero potere.

Cosa accadrà ora? Se guardiamo alla storia recente, le elezioni dopo il colpo di stato militare in Honduras, nel 2009, non hanno permesso riportare al governo le forze progressiste, neppure è successo in Paraguay, dopo il colpo di stato parlamentare a Fernando Lugo.

Ma andiamo più indietro. La “transizione alla democrazia” in Cile o in Spagna, molti anni dopo che le dittature fecero lo sterminio fisico e spirituale sufficiente, non hanno mai permesso che ritornino al governo le “sinistre” e se si sono chiamati di “sinistra” coloro che hanno governato è stato per eseguire politiche di destra.

In Sud America, di tutti i progetti post-neoliberali che sono emersi, dalla fine del XX secolo, solo i due che hanno avuto il coraggio di modificare, in qualche modo, la portata dei poteri di fatto che stanno dietro Bolsonaro hanno potuto sopravvivere, non senza costi e sfide enormi, l’attuale assalto diretto da Washington e che è iniziato con Barack Obama: Bolivia e Venezuela. Le strutture militari, giuridiche, economiche e mediatiche di entrambi i paesi sono state impattate da trasformazioni che, senza essere totali, sì hanno permesso loro di resistere e sostenere al potere un progetto di liberazione nazionale e popolare.

Dall’inizio del fraudolento processo che ha tolto dal governo Dilma stupisce vedere come fino all’ultimo momento si è creduto, dagli stessi petisti (membri del PT), che un Congresso composto principalmente da oligarchi o dipendenti di oligarchi avrebbe proceduti contro i suoi interessi di classe. Come, allo stesso modo, ebbero fiducia che un sistema giudiziario, in gran parte proveniente dagli stessi settori che odiano Lula, gli avrebbe dato l’opportunità di presentarsi ad elezioni che, molto probabilmente, avrebbe vinto; ancor più quando gran parte di quei giudici hanno ricevuto formazione in quello che si è chiamata “nuova Scuola delle Americhe” negli USA per giudici e pubblici ministeri, che sono incaricati della giudizializzazione della politica in corso contro i dirigenti di sinistra in diversi paesi del Cono Sud.

Lula, dal carcere, ha detto che “la speranza vincerà l’odio”, ma dodici anni di mandato petista che sono serviti per togliere milioni di brasiliani dalla povertà, per creare decine di università dove avrebbero studiato coloro che in precedenza non potevano farlo e per dar salute, con il programma Mais Médicos, a coloro che prima morivano senza sapere di cosa non hanno impedito che quasi 50 milioni di brasiliani vedano la loro speranza in un uomo che agisce e parla come un fascista.

OGlobo -l’oligopolio mediatico che proviene dall’epoca dei militari- e Record, la seconda società televisiva del Brasile controllata dalla Chiesa Universale del Regno di Dio, che ha convertito Bolsonaro in “Messia”, sono la fabbrica del senso comune che ha coniato tutti i membri del PT come corrotti e colpevoli di tolleranza con i criminali e la violenza. Tra le due sembrano non lasciare spazio per altra cosa che non sia pregare ma, forse, c’è una seconda opportunità per i condannati a ‘Cento anni di solitudine’ se si riesce a mobilitare, in tre settimane, buona parte del 20% dei brasiliani che non hanno votato, insieme a quelli che hanno votato per alcune delle opzioni diverse da quelle che molti già chiamano il Trump latino e magari sia per il suo discorso estremista e non per la sua capacità di imporlo contro ogni previsione.


Brasil: Cuando la esperanza no basta

Por Iroel Sánchez

Entonces, ¿de qué sirve decir la verdad sobre el fascismo que se condena si no se dice nada contra el capitalismo que lo origina? Una verdad de este género no reporta ninguna utilidad práctica.

Estar contra el fascismo sin estar contra el capitalismo, rebelarse contra la barbarie que nace de la barbarie, equivale a reclamar una parte del ternero y oponerse a sacrificarlo.

Bertolt Brecht, Las cinco dificultades para decir la verdad

La amplia ventaja obtenida por el candidato ultraderechista Jair Bolsonaro en las elecciones brasileñas, aunque insuficiente para la victoria, que deberá esperar a segunda vuelta, ha desatado las alarmas entre analistas políticos del mundo entero. El claro comportamiento xenófobo, racista, misógino, pro dictaduras militares y neoliberal extremo del candidato delantero parecen justificarlo.

Y lamentablemente la internet está repleta de frases del casi próximo Presidente brasileño que prueban la exactitud de esos calificativos que han sido profusamente citados en estos días, comenzando por sus elogios a Pinochet y a la tortura.

Una alianza de banqueros, militares, jueces y medios de comunicación le ha abierto a Bolsonaro el camino a la presidencia del país más poblado y con la economía más potente de Latinoamérica. Si se mira con atención son los mismos sectores que los gobiernos del Partido de los Trabajadores se esmeraron en no molestar, especialmente durante el segundo mandato de Lula, cuando contó con altísima popularidad que sin embargo no utilizó para realizar una reforma a fondo del sistema político, mediático y económico brasileño que emergió intacto a pasarle las cuentas a él y a Dilma Rouseff tras derrocar con un golpe parlamentario a esta última, cuando los precios del petróleo y otras materias primas impidieron mantener la amplitud de los programas sociales inaugurados por el petismo sin entrar en contradicción con los intereses de la minoría que nunca entregó el verdadero poder.

¿Qué pasará ahora? Si miramos la historia reciente, las elecciones tras el golpe militar de 2009 en Honduras no han permitido regresar al gobierno a las fuerzas progresistas, tampoco ha sucedido en Paraguay tras el golpe parlamentario a Fernando Lugo.

Pero vayamos más atrás. La “transición a la democracia” en Chile o en España, muchos años después de que las dictaduras hicieran el exterminio físico y espiritual suficiente, no han permitido nunca que regresen al gobierno las “izquierdas”y si se han llamado “de izquierda” quienes han gobernado ha sido para ejecutar políticas de derecha.

En Suramérica, de todos los proyectos postneoliberales que emergieron desde fines del Siglo XX sólo los dos que se han atrevido a modificar en algo el alcance de los poderes fácticos que están tras Bolsonaro han podido sobrevivir, no sin costos y enormes desafíos, la actual embestida dirigida desde Washington y que comenzara Barack Obama: Bolivia y Venezuela. Las estructuras militares, jurídicas, economicas y mediáticas de ambos países han sido impactadas por transformaciones que sin ser totales sí les han permitido resistir y sostener en el poder un proyecto de liberación nacional y popular.

Desde el inicio del proceso fraudulento que sacó del gobierno a Dilma asombra ver cómo hasta último momento se creyó por los propios petistas que un Congreso compuesto en su mayoría por oligarcas o empleados de oligarcas iba a proceder contra sus intereses de clase. Como mismo confiaron en que un sistema judicial en buena parte procedente de los mismos sectores que odian a Lula iba a darle la oportunidad de presentarse a unas elecciones que muy probablemente ganaría, mucho más cuando buena parte de esos jueces recibió formación en lo que se ha llamado “nueva Escuela de las Américas” en EE.UU. para jueces y fiscales, que están cargo de la judicialización de la política en marcha contra líderes de izquierda en varios países del Cono Sur.

Lula, desde la cárcel, ha dicho que “la esperanza vencerá al odio” pero doce años de mandato petista que sirvieron para sacar a millones de brasileños de la pobreza, para crear decenas de universidades donde estudiaran quienes antes no podían hacerlo y dar salud con el programa Mais Médicos a aquellos que antes morían sin saber de qué no han impedido que casi 50 millones de brasileños vea su esperanza en un hombre que actúa y habla como un fascista.

OGlobo -el oligopolio mediático que viene de la época de los militares- y Récord, la segunda empresa televisiva de Brasil controlada por la Iglesia Universal del Reino de Dios que ha convertido a Bolsonaro en “Mesías”, son la fábrica de sentido común que ha acuñado a todos los petistas como corruptos y culpables de tolerancia con los delincuentes y la violencia. Entre ambas parecieran no dejar espacio para otra cosa que no sea rezar pero tal vez haya una segunda oportunidad para los condenados a Cien años de soledad si se logra movilizar en tres semanas a buena parte del 20% de los brasileños que no votó, junto a aquellos que sufragaron por alguna de las opciones diferentes a la del que ya muchos llaman el Trump latino, y ojalá sea por su discurso extremista y no por su capacidad para imponerlo contra todo pronóstico.

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