Imperialismo magico e grande muro americano

Sapete tutti cosa dice il detto: “Povero Messico – troppo lontano da Dio, troppo vicino agli Stati Uniti”. Questa parte orgogliosa, bella e profonda del mondo è stata saccheggiata, devastata e umiliata per secoli, prima dagli europei (spagnoli e francesi), poi dai Norteamericanos. La volgarità e la brutalità della conquista erano spesso incredibilmente grottesche, irreali, folli, al punto che ho deciso di chiamarla “imperialismo magico” (o “colonialismo magico” se lo si desidera).

Le grandi culture create da Maya, Aztechi e altri popoli indigeni, molto più avanzate di quelle degli europei, furono schiacciate, ingannate e infine costrette alla sottomissione. Gli dei locali furono “inviati in esilio permanente” e il cattolicesimo, sotto la minaccia di morte, tortura o entrambi, fu cacciato in a gola a tutto. Sì, il colonialismo occidentale assume spesso forme veramente bizzarre, surreali. Quale esempio dovrei fornire, per illustrare “l’imperialismo magico”? Per esempio questo: a Cholula, vicino alla città di Puebla, gli spagnoli piazzarono la loro chiesa in cima alla più grande piramide sulla Terra, Tlachihualtepetl. È ancora lì seduta, anche adesso, mentre scrivo questo saggio, la chiesa è appollaiata in cima alla piramide, senza scusanti. Le autorità locali sono persino orgogliose della sua presenza, promuovendola come “importante sito turistico”. Spero che un giorno l’UNESCO lo includa nella lista “memoria dell’umanità”, come simbolo di vandalismo culturale. Incontrai la curatrice del museo locale, la signora Erica, chiedendole di questa follia. Spiegò, pazientemente: “Siamo fortemente scoraggiati dal parlare della brutalità del passato. L’atteggiamento del Messico nei confronti della propria storia è veramente schizofrenico. Da un lato sappiamo che il nostro Paese fu saccheggiato, stuprato e maltrattato dai colonizzatori spagnoli, dai francesi e poi dagli Stati Uniti. Ma noi, studiosi, insegnanti, curatori, abbiamo letteralmente l’ordine di ignorarlo, di “essere positivi”; “cercare cose buone” in ciò che ci fu fatto a noi e che abbiamo ereditato”. Chiaramente, la signora Erica ne ha avuto abbastanza. Parla apertamente, con passione: “In passato, la chiesa fu colpita e danneggiata da un fulmine, in diverse occasioni, e la popolazione locale credeva che fosse accaduta a causa dell’ira degli dei locali, che protestavano contro la profanazione del loro sito e capolavoro architettonico, la piramide. Tuttavia, la struttura fu sempre rapidamente ripristinata dalle autorità religiose e statali. La chiesa domina ancora il paesaggio, visibile fino la città di Puebla, mentre la grande piramide sembra umiliata e sminuita, come nient’altro che una collina boscosa”.

Il Messico ha sofferto per secoli e ancora soffre. È uno dei più grandi Paesi sulla Terra. In realtà, non è solo un Paese, ma un universo, non dissimile da quegli “universi” creati da altri grandi Paesi, come “l’universo cinese”, “l’universo indiano” o “l’universo russo”. Il Messico è antico e profondo e, come accennato in precedenza, ha dato vita ad alcune civiltà enormi, autosufficienti e molto più avanzate delle culture di chi venne attaccarle, saccheggiarle e schiavizzarle. Queste civiltà, tuttavia, furono derubate della loro identità dagli invasori, forzatamente cristianizzate, poi ridotte a “minoranze” nella loro stessa terra. I nativi furono costretti a lavorare in schiavitù estraendo argento e altre materie prime rapidamente spediti lontano, arricchendo prima l’Europa e poi il Nord America. In origine, tutto ciò veniva fatto dai coloni stranieri e, in seguito, dalle élite locali per conto dell’occidente. La stessa storia potrebbe essere fatta risalire in tutti gli angoli dell’America Latina; e una storia simile a così tante parti del mondo. Tutto ciò fu fatto direttamente. L’occidente non è noto per ricercare l’anima o per spasmi di colpa. Non è fu data alcuna giustificazione. Dopo tutto, c’era una croce sul Paese chiamato Messico, e un immaginario ‘stendardo della civiltà’ (quello occidentale, naturalmente). Lo chiamo “imperialismo magico”, perché la distruzione di questo mondo antico e meraviglioso fu fatta in un modo quasi “poetico”: costruito su dogmi basati su fede, teorie militari ed espansionistiche e miti della supremazia razziale, culturale e religiosa. Tutto questo avvenne nel periodo coloniale, e si svolge ora, ai tempi del “fondamentalismo del libero mercato”. “Tutto questo è buono o cattivo per il popolo messicano?” Chi se ne frega! Tali domande non sono consentite. Il popolo messicano dovrebbe ascoltare, accettare e obbedire all’occidente, semplicemente perché è la parte più illuminata del mondo, ne “sa di più”. La parola “superiore” è appena usata (poiché è “politicamente scorretta”), ma lo si sottintende.

Ora il Messico ribolle. Ne ha abbastanza d’essere trattato come un bambino, uno schiavo, come parte inferiore del mondo. Questa volta ho viaggiato per tre settimane nel Paese, rivisitando i miei “vecchi posti”. Volevo sentire cosa pensa e dice la gente. Vissi in questo Paese per un intero anno, circa 20 anni fa. Nel profondo del mio cuore, non me ne sono mai andato. Ora, tutto sembrava familiare e allo stesso tempo estraneo. Ho parlato con persone a Città del Messico e Puebla, Guadalajara, a Tequila, Tlaxcala, Tijuana, Mérida, Oaxaca e sono entrato nella provincia. Ovunque mi trovassi, sentivo paura. Ho notato ansia, un’ansia terribile. Sì, c’era paura, ma anche determinazione a cambiare tutto e iniziare da zero. Stavo girando un documentario qui, dal titolo provvisorio: “Mexico – Year Zero”. Non era un titolo vincolante, ma mi sono abituato, era in qualche modo adatto. Il politico di sinistra Andres Manuel Lopez Obrador (noto come AMLO) ha vinto le elezioni presidenziali, ottenendo un grande sostegno in tutto il Paese, tranne due Stati. Questo può significare revisione totale, vero cambiamento, nuovo inizio, se Obrador combatte, se è deciso, se lavora per gli interessi del popolo. Oppure non significa nulla, zero, se esita, perde coraggio e si arrende all’inerzia. Ho parlato con almeno un centinaio di persone, in molte parti del Paese, forse molte di più. Nessuno, nessuno ha detto che il Paese sta bene! Questo, nonostante tutti gli indicatori economici positivi, nonostante una buona posizione sull’Indice di sviluppo umano (HDI) e il fatto che il Messico sia, dopo tutto, un paese OCSE e quindicesima economia del mondo.

“L’imperialismo magico” ha messo in ginocchio questa grande nazione. Tutto qui è pieno di contraddizioni. Il Messico ha una cultura e uno stile di vita molto più ampi rispetto agli Stati Uniti, ma è al servizio del Nord. Il 90% delle sue esportazioni passa direttamente al Nord America (Stati Uniti e Canada). La visione messicana del mondo è completamente modellata dalla propaganda di destra da lavaggio del cervello che inonda letteralmente il Paese da fonti come CNN en Español e FOX. Indignato dal comportamento nordamericano, il Messico è tuttavia costretto a vedere il mondo attraverso gli occhi del suo grande tormentatore. RT, CGTN, PressTV o anche Telesur sono disponibili solo su Internet. Questo deve cambiare. Tutti sanno che deve, in qualche modo. Ma come? Finora non c’è un piano. Il presidente eletto sta per farlo? E se lo fa, può sopravvivere o verrà molestato o addirittura cacciato o ucciso, come è successo a tanti altri, inclusi Chavez e Dilma? Un paese latinoamericano può ottenere la vera indipendenza dalla dittatura globale dell’occidente? Cuba l’ha fatto! O dovrei scrivere: finora, solo Cuba. E il Venezuela, in larga misura, ma pagano un prezzo orrendo.
In Messico ci sono reminiscenze del “coinvolgimento” occidentale, o dovrei dire “monumenti di barbarie”. Spesso, bisogna cercarli o persino leggere tra le righe per identificarli. La conquista spagnola, l’inquisizione, il massiccio furto di terra, risorse naturali e poi massacri, stragi, torture… Il 7 febbraio 2016, Telesur riportava: “Il Supremo Consiglio indigeno di Michoacan, in Messico, ha accusato la Chiesa cattolica di essere complice dell’uccisione di oltre 24 milioni di indigeni. Circa 30 comunità indigene di Michoacan, in Messico, hanno rilasciato una dichiarazione che chiede a Papa Francesco di scusarsi per il genocidio commesso con la complicità della Chiesa cattolica contro il loro popolo durante l’invasione spagnola delle Americhe nel XVI secolo. “Per oltre 500 anni, il popolo originario delle Americhe è stato saccheggiato, derubato, assassinato, sfruttato, discriminato e perseguitato”, ha dichiarato il Supremo Consiglio Indigeno di Michoacan nella dichiarazione”. Bene, papa Francesco, eventuali commenti; almeno qualche desiderio di parlare di giustizia?

L’invasione degli Stati Uniti e l’accaparramento di un enormi parti del territorio messicano: “… La guerra messicana fu determinante nel plasmare i confini geografici degli Stati Uniti. Alla fine di questo conflitto, gli Stati Uniti aggiunsero circa un milione di miglia quadrate di territorio, compresi quelli che oggi sono gli Stati del Texas, dell’Arizona, del Nuovo Messico e della California, nonché parti del Colorado, del Wyoming, dello Utah e del Nevada .. ” Leggendo quello che si dice, si potrebbe credere che questo resoconto sia seguito dall’espressione di orrore per ciò che costò innumerevoli vite al popolo messicano e portato al furto di un enorme territorio. Ma no; ovviamente no! Questa citazione proviene dall’introduzione scritta da John S. Brown, direttore di storia militare, in una brochure (Occupazione del Messico, maggio 1846 – luglio 1848) descritta come “prodotta per il centro di storia militare dell’esercito statunitense da Stephen A. Carney. “Invece di scuse e indignazione, la citazione prosegue: “…La guerra messicana è durata circa ventisei mesi dal primo impegno attraverso il ritiro delle truppe statunitensi. I combattimenti si svolsero per migliaia di chilometri, dal Messico settentrionale a Città del Messico e il Nuovo Messico e la California. Durante il conflitto, l’Esercito degli Stati Uniti vinse varie battaglie convenzionali decisive, tutte evidenziando il valore dei diplomati dell’Accademia Militare degli Stati Uniti che sempre spianarono la strada alle vittorie statunitensi. La guerra messicana ha ancora molto da insegnarci sulla proiezione della forza, condurre operazioni in territorio ostile con una piccola forza sminuita dalla popolazione locale, combattimento urbano, difficoltà dell’occupazione, coraggio e perseveranza dei singoli soldati .. ” Il linguaggio autocelenrativo, quasi poetico della brochure e dell’introduzione funziona davvero, come se cercasse d’inserire il realismo magico imperialista. Ma non lo è: è proprio come la storia viene insegnata negli Stati Uniti, in Europa e sfortunatamente in molti Paesi precedentemente e attualmente colonizzati. Poi i francesi massacrarono persone a Città del Messico, così come su tutto il territorio lasciato ai messicani dopo l’invasione statunitense del 1846-1848. I francesi “intervennero” in Messico in due occasioni: dal 1838 al 1839, e dal 1862 al 1867, in cui si uccisero almeno 12000 messicani. I francesi uccidevano, saccheggiavano e imponevano il loro dettato, spudoratamente e senza pietà, ma non era davvero “qualcosa di eccezionale”, poiché facevano esattamente la stessa cosa, o peggio, in Africa, Asia, Medio Oriente, Caraibi ed Oceania.

Ora, proprio nella parte settentrionale dell’enorme città di Tijuana, le autorità statunitensi e i loro appaltatori costruiscono un enorme muro. In qualche modo non sembra diverso dal “perimetro” costruito da Israele, tra le alture del Golan occupate e la Siria. Ma poi, molte cose sembrano sospettosamente simili, al giorno d’oggi. Questo muro è chiara espressione della completa follia imperialista. L’intera terra apparteneva al Messico, prima dell’invasione del 1846, o la chiamava “ufficialmente” guerra messicano-nordamericana. Entrambi i Paesi fanno parte di un unico continente. Entrambi i lati del confine sono abitati essenzialmente dalle stesse persone. Ci sono milioni di messicani che vivono in California, e sono milioni i nordamericani che cercano una vita migliore a sud del confine, in Messico, nelle colonie di pensionamento o, per esempio, da studenti nelle università messicane molto più economiche e migliori, o come artisti. I nordamericani si recano in Messico per farsi riparare i denti, i messicani vanno a nord per ottenere posti di lavoro meglio retribuiti; l’area di confine è fondamentalmente una zona integrata, con sue musica, tradizioni, storia e folklore. Lo so bene, e so che aveva una sua magia e sì, anche un suo realismo. Ora è finita, completamente rovinata. Ma come in un romanzo di Gabriel Garcia Marquez, nonostante tutta quella polvere e follia, si può ancora sentire la magia. Qui, sono ancora in America Latina, ai suoi margini, sull’ultimo centimetro. E, al diavolo il muro! Grido a un contractor statunitense, attraverso le sbarre. Voglio sapere cosa pensa di tutto questo, se davvero pensa. Risponde onestamente e in modo flemmatico: “Non ho il permesso di parlarne”. Affronto una donna messicana; la cui schiena è contro il muro costruito dagli Stati Uniti. La sua casa è a un metro dal perimetro. Se infila il dito tra le sbarre, è tecnicamente negli Stati Uniti. Il suo nome è Leticia. Non le importa della politica. La sua più grande paura è che le creature che abitano in quest’area si facciano male: “Tagliano il flusso naturale di acqua in quest’area. Non finirà bene. E gli animali non possono più migrare. Questo è brutale. Sono felice dove sono, e così la mia famiglia. Da questo lato, sto bene. Ma sa, le creature sono diverse, devono muoversi…” Mi fa quasi venire le lacrime agli occhi. Un narco, un “piccolo pesce narco” che mi accompagna al muro, spiegando “la realtà del confine” e come funzionano i cartelli della droga, improvvisamente si produce in un breve e forte singhiozzo. È un latino, dopo tutto. Potrebbe essere un gangster, ma ha un cuore. Lo so, per lo più non sono i messicani che cercano di saltare la barriera. La maggior parte dei messicani è di classe media, e la classe media vive qui una vita migliore che negli Stati Uniti costantemente stressati e sovraccarichi. Sono quei disperati del Centroamerica che rischiano la vita, attraversando da Guatemala, Honduras, persone i cui governi furono rovesciati da Washington, i cui paesi sono stati distrutti. Persone che subiscono bande e narco-mafie, conseguenze dirette delle guerre civili innescate dall’occidente. Queste persone viaggiano sui mostruosi treni merci messicani chiamati “La Bestia”; si mutilano quando cadono dai tetti sui binari. Li seguo, li riprendo, parlo con loro. Si spostano, dalle città di confine del sud del Messico a nord, al confine con gli Stati Uniti. Non hanno scelta. E Washington lo sa. Gli ha tolto il socialismo, in Honduras e Guatemala. Poi li ha premiati con questo dannato muro. Imperialismo magico!

L’America centrale è in rovina. Il Messico, potenzialmente una delle più grandi nazioni sulla Terra, è stagnante, vive nella paura, soffre di corruzione e crimine, élite servili e obbedienti (verso l’occidente). Tale casino è stato innescato dal neo-liberismo, così come l’eccessiva indulgenza egoistica nel Nord. Arriva Andres Manuel Lopez Obrador. Il Messico è stanco Non crede più in se stesso, ma ha votato, chiaramente e con orgoglio. Vuole sperare. Vuole credere. Vuole vivere. Ci prova. La gente parlava, la gente votava. Non hanno idea di cosa avverrà dopo. L’uomo che hanno votato è davvero con loro? Gli intellettuali radicali dell’UNAM non la pensano così, mi dicevano. Ma i poveri villaggi maya e aztechi, il cuore di questo Paese, sono con lui. Si fidano di lui. Sperano. Non deve fallire. “Se fallisce il povero, ci sarà la guerra civile. È la nostra ultima speranza”, mi dicevano a Tijuana. Ancora, e ancora, ricordo quello che mi fu detto da uno dei più grandi scrittori e pensatori sudamericani di tutti i tempi, Eduardo Galeano: “La speranza è tutto ciò che i poveri hanno. Ecco perché, compagni, non giocate mai con la speranza!” Se Obrador ha successo, se attua anche la metà di ciò che ha promesso, il Messico cambierà drasticamente. L’America centrale cambierà, forse l’America Latina. Questo è il più popoloso Paese di lingua spagnola, una potenza culturale e intellettuale che dorme da molti lunghi e dolorosi decenni. È qui che il realismo magico si sposa con quell’imperialismo magico importato e attuato dall’occidente. Sono atterrato qui, simbolicamente, il 14 settembre, la notte in cui il giorno dell’indipendenza messicana è storicamente celebrato. Non avevo dormito. Andai allo Zocalo, per vedere la gente. Enormi fuochi d’artificio illuminarono il cielo della città dove sono costruite le cattedrali spagnole in cima alle rovine delle grandi civiltà native. Poveri e ricchi erano in piedi, a guardare lo spettacolo colorato, una bandiera enorme. Il giorno dopo giravo presso le splendide Bellas Artes, uno dei teatri più belli della Terra. Lì, un direttore d’orchestra istruito dai sovietici guidava una brillante ‘orchestra giovanile’ consistente da ragazzi e ragazze provenienti da comunità svantaggiate. Sul palco si esibiva il leggendario balletto folcloristico del Messico; con orgogliosi temi nativi e ragazze armate di fucili, in marcia verso il rosso della rivoluzione. Il pubblico ruggiva. Persone, estranei, si abbracciavano, stringendosi la mano. C’erano lacrime; lacrime di gioia. Oh, Messico! 2018. Anno zero, dico. Sì, è così che chiamerò il mio film. Anno zero. La rivoluzione, si spera. Il nuovo inizio. L’indipendenza. Con fiducia. Sì, l’ho scritto, ovviamente l’ho fatto: “Le persone sono riluttanti, scettiche”. Ma sono riluttanti e piene di speranza. Mi fu detto a Guadalajara, da un ragioniere costretto dalle circostanze, a guidare un taxi: “Non ho votato per Obrador, perché non credo che ciò che prometteva durante la campagna possa essere realizzato. Ma spero che sia vero. Se lo vedo, lascerò tutto e dedicherò la mia vita a sostenerlo”.

Salvare il Messico significa fermare il neoliberismo, la dipendenza dall’occidente e unirsi ai Paesi che combattono la dittatura globale. Può essere fatto? Sarà fatto? Mi fido di Obrador. Non ho altra scelta. Ho viaggiato fin qui, nel Paese che amo ancora profondamente; Ho viaggiato qui per offrire il mio aiuto. Non sono uno ‘spettatore imparziale’. Non ne è il momento… Tra pochi mesi sarà deciso il destino di quegli umili villaggi dello Yucatan e del Chiapas. L’America Latina guarda. Cambiare il Messico sembra un compito impossibile. Ma va fatto. La vera rivoluzione dovrebbe mettere il popolo messicano al primo posto e porre fine a questi terribili secoli di saccheggio, umiliazione e terrore.

Al diavolo l’imperialismo magico. Al diavolo ogni imperialismo!

Andre Vltchek è filosofo, romanziere, regista e giornalista investigativo. È ideatore di Vltchek’s World in Word and Images e autore diversi libri, tra cui Ottimismo rivoluzionario, nichilismo occidentale. In esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook”.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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