Intervista a Gustavo Borges, direttore di Mision Verdad
di Geraldina Colotti
A Bruxelles, durante la fondazione della Rete europea di solidarietà con la rivoluzione bolivariana, abbiamo intervistato Gustavo Borges, direttore del sito di inchiesta Mision Verdad, venuto a rappresentare il suo paese insieme a Pablo Sepulveda Allende, Yonata Vargas e Jimmy Laguna.
In cosa consiste il lavoro di Mision Verdad?
Il nostro collettivo redazionale è nato nel 2012, nel pieno della campagna elettorale del Comandante Chavez. Dopo un anno di rodaggio, abbiamo continuato ad approfondire l’analisi del processo politico venezuelano. Cerchiamo di fornire una radiografia del crescente assedio economico, mediatico, diplomatico e dei tentativi di aggressione militare incombenti. Cerchiamo, insomma, di dare un volto alla complicata situazione che stiamo vivendo, al tipo di guerra a cui ci stiamo confrontando. Il Venezuela è un esperimento, un laboratorio di forme inedite di intervento messe in atto da un capitalismo in crisi strutturale che, anche con il supporto delle nuove tecnologie, cerca di bloccare i propri antagonisti sia dall’esterno che dall’interno. Si mira a distruggere non solo la legittimità dello stato, ma anche la resistenza popolare, il tentativo di costruire un proprio modello alternativo. Dopo la caduta del campo socialista e l’eroica resistenza di Cuba, il Venezuela ha fatto rinascere la speranza, e questo risulta insopportabile per il capitalismo, che ha perciò affinato le armi contro il processo bolivariano. Le forme dell’attacco si vanno modificando, ma anche la resistenza interna si va approfondendo. Dopo la morte di Chavez, il popolo ha cominciato a internalizzare tutto quel che aveva immagazzinato in termini di creatività e consapevolezza, e da allora si è aperta una fase di elaborazione collettiva sia in termini di contenuti che di forme di organizzazione che prefigurano questo nostro modello inedito. A Mision Verdad cerchiamo di cogliere le chiavi, i codici e le formule impiegate per resistere, poiché si tratta di forme nuove. Se analizziamo le armi impiegate dal nemico a partire dalle cosiddette “primavere arabe”, vediamo come abbiano cercato di impiantare anche da noi lo stesso schema messo in atto dopo la caduta dell’Unione Sovietica: rivoluzioni “colorate”, manifestazioni della cosiddetta “società civile”, manipolazione di alcune organizzazioni di sinistra, distorsione di codici e linguaggi a fini eversivi, sequestro di alcune formule di rivendicazione storica della sinistra per confondere e disorientare e giustificare l’intervento esterno a favore di rivoluzioni artificiali. Purtroppo, in Europa, non si è compresa a fondo la portata dell’attacco, complesso e articolato, dispiegato contro il processo bolivariano nel 2014 e nel 2017. Un attacco al governo e al popolo e a quella strana e inedita alchimia che ne determina la relazione nel processo bolivariano. Ci sono stati molti morti e un assedio internazionale crescente. Però, insisto, si sono forgiate nuove forme di resistenza per superare l’assedio e rilanciare il nostro modello di società, e in questo il ruolo del presidente Maduro è stato determinante.
Di recente, si è discusso molto su un’affermazione del ministro Castro Soteldo in merito alla necessità di favorire lo sviluppo di una borghesia nazionale “rivoluzionaria”. Quale fase sta attraversando il Venezuela oggi?
Il dibattito all’interno del processo è stato sempre vivace, su vecchie e nuove questioni, ma questo è sintomo di buona salute. Discutiamo sulla crisi strutturale del capitalismo, su quella del modello e del pensiero occidentale che interessa la sinistra: una sinistra in crisi d’identità che finisce per avversare qualunque processo antimperialista che cerchi di creare un proprio modello e proprie vie per la presa del potere. In Venezuela si discute del governo territoriale – quello delle comunas – all’interno di un nuovo modello di sviluppo, di come superare il rentismo petrolifero, i suoi condizionamenti sulla produzione, sul consumo e sulle relazioni fra le comunità urbane e periferiche. Fin dal 1910 – quando l’allora presidente Juan Vicente Gomez vendette concessioni a compagnie petrolifere straniere per ridurre il debito estero e conquistarsi l’appoggio degli Usa e dell’Europa -, il Venezuela si è modellato in funzione della grande industria petrolifera statunitense e europea. Siamo passati attraverso guerre e guerriglie sempre cercando una nostra propria direzione. Quando arrivò Chavez eravamo al culmine di una crisi economica e di identità. Da allora è cominciato un percorso di recupero delle nostre radici e la produzione di un pensiero autonomo, decolonizzato, di elaborazione costante anche se frammentata per via dell’aggressione inclemente a cui abbiamo dovuto far fronte dal colpo di Stato del 2002 a oggi: a tutti i livelli. La situazione, adesso, è assai complicata. E’ cambiata la congiuntura economica che ci ha favorito per l’alto prezzo delle commodities, siamo passati per la perdita di Chavez (probabilmente un omicidio), per diversi tentativi destabilizzanti e ora ci troviamo in un momento delicato dal punto di vista geopolitico. Un quadro in cui si ripercuote la crisi degli Usa e nel quale si riaccende non solo l’offensiva contro di noi, ma contro il Medioriente e i popoli emergenti. Per capire l’oggi, per cogliere il divenire della guerra e quello della resistenza popolare, per comprendere la strana relazione esistente tra popolo e governo che poche volte si vede nei “processi rivoluzionari”, occorre tener presente questi dati. A volte, in Venezuela, facciamo dibattiti complicati. Chavez ci ha abituato a questo, ci stupiva, ci scuoteva sempre obbligandoci a dibattiti complicati. Stiamo facendo, dunque, una discussione sul modello produttivo. Il Venezuela non ha avuto un’imprenditoria nazionalista, una sua industria nazionale, sempre è stata dipendente dell’estrazione delle proprie risorse naturali, soprattutto petrolio, da parte di multinazionali petrolifere che hanno imposto il modello economico dal 1905 al 1998. Un processo che si è sviluppato secondo gli interessi della Chevron, di Exxon Mobil.
.. che hanno disegnato un paese-miniera da sfruttare e poi abbandonare lasciandolo a cavarsela con il poco che rimaneva. La discussione, ora, è se sia possibile lo sviluppo di una industria nazionale, con un attore economico che pensi prima di tutto al paese e dopo alla relazione internazionale. Un soggetto imprenditore responsabile capace di intendere che lo sviluppo dell’industria viene prima, soprattutto a fronte del crescente attacco economico-finanziario.
Dati i vizi strutturali della borghesia venezuelana, c’è chi lo considera tempo perso e anche una pericolosa trappola in cui rischia di cadere il socialismo bolivariano…
La discussione è in divenire. La situazione è complessa e va intesa come tale. Va compresa a fondo nel quadro del crescente attacco economico-finanziario, delle sanzioni che ci impediscono le transazioni in dollari, che impediscono di comprare alimenti e medicine, di vendere i nostri prodotti nazionali. Le misure adottate sono misure di guerra, contingenti, che non rappresentano un nostro piano strategico, ma una formula per spezzare l’assedio e intanto procedere a un dibattito profondo al nostro interno per trovare la strada giusta in questo mare di contraddizioni.
Una certa vulgata, che pretende situarsi a sinistra, dice che Maduro sta svendendo il paese alle multinazionali attraverso il lavoro poco trasparente dell’Assemblea Nazionale Costituente. E’ così?
Maduro è stato recentemente vittima di un tentativo di omicidio che abbiamo visto in diretta. Vi sono prove irrefutabili che volessero ammazzarlo. Prima di parlare, bisognerebbe informarsi, possibilmente non solo da fonti di opposizione, dalla stampa di destra e capitalista. Maduro è oggi la figura più attaccata a livello mondiale. Ha forgiato la sua innegabile credibilità di dirigente politico nel fuoco della guerra non convenzionale, nel complicato processo in cui abbiamo dovuto reinventare la nostra istituzionalità, governare il conflitto in un quadro di assoluta legalità, formale e sostanziale per presentarci agli organismi multilaterali che insistono nel volerci negare legittimità. L’Assemblea Nazionale Costituente è stata una misura costituzionale necessaria a cui il presidente ha fatto appello l’anno scorso, per evitare che il paese, sotto attacco delle forze reazionarie finanziate dagli USA, scivolasse nella guerra civile auspicata dagli attori che volevano un’aggressione esterna del paese. L’ANC è un organismo con facoltà di discutere i fondamenti dell’istituito. Come previsto dalla legge, Maduro ha rivolto un appello ampio alla partecipazione anche di quei settori che remano contro l’interesse nazionale e che, oltretutto, avevano in precedenza proposto a loro volta di indire un’Assemblea Nazionale Costituente. Mesi dopo si è saputo, per ammissione di Manuel Rosales, leader di Un Nuevo Tiempo, che erano stati sul punto di partecipare, avevano quasi raggiunto un accordo, ma che la pressione internazionale glielo ha impedito. E’ vero che tutti i settori hanno diritto di partecipare all’ANC, ma se infrangi la legge promuovendo la sedizione, l’assedio alle istituzioni, la violenza indiscriminata, la mattanza dei tuoi connazionali sei sottoposto, come in qualunque paese, alle sanzioni previste dalle norme vigenti. Immagina se succedesse in Europa quel che è successo da noi. Si permetterebbe di attentare alla vita di un cittadino solo per il diverso colore della pelle? Contro questo tipo di reati, da noi, la legge è molto dura. Il Venezuela ha rafforzato la sua legislazione vigente. Ha fatto i conti con quelle violenze, poi ha organizzato 4 elezioni in più: regionali, municipali e presidenziali. Alle regionali le opposizioni parteciparono e vennero sconfitte. Alle elezioni comunali hanno deciso di non partecipare perché sapevano che la sconfitta sarebbe stata ancora più netta, e anche per la pressione dell’allora segretario di Stato Rex Tillerson che fece un viaggio in America Latina proprio mentre si stava per firmare un accordo di convivenza nella Repubblica Dominicana. C’è una fotografia che riassume bene tutto questo: due cartelle sul tavolo pronte per essere firmate, e l’opposizione che cambia parere dopo la telefonata di Tillerson. La sorpresa sulla faccia del mediatore Zapatero e su quella del presidente dominicano Medina parla la sola. Da lì si stringe il cerchio internazionale intorno al nostro paese, che comunque doveva organizzare le elezioni presidenziali come previsto dalla costituzione. L’ANC ha pieno mandato costituzionale. Bisogna studiare la nostra storia e le nostre leggi prima di parlare, perché non c’è niente che sia stato fatto fuori dalla legge.
Con quale spirito hai partecipato alla fondazione della RETE di solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e cosa pensi di debba fare?
Tutte le iniziative di solidarietà vanno appoggiate con entusiasmo. Il Venezuela è usato come argomento di politica interna nei paesi che vivono profonde crisi economiche e istituzionali. Ci indicano come cattivo esempio, dicono che siamo uno stato terrorista e narcotrafficante, la quintessenza di quel che si deve evitare. Sostenere il contrario, sostenere la verità, è già di per sé un atto di coraggio. Ma occorre smontare le menzogne con un lavoro rigoroso e responsabile: promuovendo campagne comuni, cercando di recuperare il disorientamento provocato dalle narrazioni imperialiste, mostrando dati e argomenti inoppugnabili. Per questo, lo spazio aperto dalla Rete europea è molto importante. Dobbiamo, però, renderci conto, che siamo di fronte a una macchina potente contro cui, sul piano mediatico, è difficile competere. Per smettere di consumare propaganda tossica, basterebbe fare una riflessione logica: se il sistema capitalista mette così tanto impegno nell’attaccarci è perché, evidentemente, rappresentiamo un pericolo per le élite.