Ernesto Cazal http://misionverdad.com
La “carovana migrante” sembra avere più attenzione tramite reti sociali e media corporativi rispetto alla “diaspora venezuelana”. Ciò potrebbe avere obiettivi politici, e persino elettorali all’interno degli USA, ma ciò che certamente solleva è un dibattito abbastanza nascosto nella maggior parte dei forum.
Poco si dice circa la condizione di fondo dei contingenti umani che si muovono a piedi, giorno dopo giorno, notte dopo notte, col sole e ombra, con pochi beni, molti bambini e neonati in braccio, alcuni anziani, altri troppo giovani, che si ammalano, devono nutrirsi e pulirsi, dormire in determinate condizioni che i migranti, in “carovana”, non hanno. E forse non hanno mai avuto nei loro paesi di origine.
È una condizione di espropriazione totale del migrante come soggetto di diritto civile, dove già non lo protegge un riconoscimento de jure, statale, immerso nel quarto modo in modo portatile dove può essere venduto come forza lavoro sub pagata o sussunto ad una rete di economia illegale.
In America centrale, la tratta di persone è in uno stato critico che fornisce ossigeno alle reti di traffico di stupefacenti collegate alle Maras Salvatrucha ed ai cartelli messicani, che dominano quel mercato nella regione. I famosi “coyote” di solito entrano in questo scenario, come le guide alle porte dei campi di concentramento della zona.
La mancanza di statistiche di questa situazione sottolinea il fatto che quei numeri crescono ed i contingenti umani che fanno parte della “carovana migrante”, nel suo viaggio verso il Messico e gli USA, non sono esenti da condannarsi ad una vita simile o peggiore di quella vissuta a casa.
Potrebbe essere vero, e motivo per cui dubitarlo, che la carovana partita dall’Honduras, e che comprende anche migranti guatemaltechi ed ora salvadoregni, sia strumentalizzata dai soldi di George Soros e dai suoi accoliti neoliberali per destabilizzare la campagna di Donald Trump verso le elezioni di medio termine. Le tracce del finanziere ungherese sono sulle ONG che dirigono la carovana verso i confini USA.
Ma ciò che interessa qui non è l’intera trama finanziaria della questione, ma attirare l’attenzione sull’essenza di ciò che accade con la migrazione in questo contesto di estrema violenza, pauperizzazione della condizione umana e sottomissione economica.
La relazione USA
Honduras, Guatemala ed El Salvador. Da questi tre paesi, principalmente, arrivano i migranti. Il Triangolo Nord dell’America Centrale, punti strategici del governo USA e del Pentagono. Dagli anni ’80 (era Reagan) sono paesi assorbiti dal potere USA, in linea con neoliberalizzazione delle loro società, ciò che non risulta un caso fortuito che la carovana fugga dalle condizioni che sono state imposte dal Nord del mondo.
L’assimilazione di quel triangolo è stata in tutte le sue sfaccettature il modo americano (american way). Un segno latente di questo si trova nel fatto che molti di coloro che partono, alla legge della giungla della migrazione, desiderano un lavoro negli USA, considerandolo come una terra di opportunità, come è stato venduto nel XX secolo.
È, quindi, paradossale che i centroamericani, che camminano verso i confini del Nord, si convochino per sparare deliberatamente contro se stessi, dal momento che il pianificatore delle miserie nelle loro case sono quelli a cui chiederanno un lavoro.
Da questo punto di vista, il migrante che fa parte della carovana desidera qualcosa che per definizione è vietato sul suolo USA: una qualità della vita simile a quella che ha visto nei prodotti di consumo USA. Oggi più che mai i migranti economici, della più bassa scala sociale, consumano feticci, riferendoci a quanto rivelato da Marx.
La psicologia della massa migrante in America Latina, ma soprattutto in America centrale, è intimamente legata al circuito dell’immaginario USA del consumo e del comfort metropolitano come fine. Questa condizione di colonialità è inserita nelle società che compongono la regione, senza eccezioni.
In Venezuela, ad esempio, la mentalità migrante (di tipo economico) è più legata a Miami che ad un’altra possibilità meno legata alle rappresentazioni culturali del capitalismo metropolitano. Così la destinazione sia Perù, Colombia, Cile o Messico, tutti questi paesi sono sintonizzati (non solo economicamente) sul circuito USA ed, in misura minore, europea ma sotto le condizioni del capitalismo dipendente neo-coloniale.
Allo stesso modo, ogni persona della carovana migrante è cooptata da quella “scelta” di civiltà che significano gli USA, con le sue crisi esistenziali incluse e nonostante abbia un Donald Trump, un alfiere dell’anti-migrazione all’interno, nella Casa Bianca.
Condizioni di frontiera e morte
Questo stato di abbandono in cui tutto il diritto è una lettera morta, semplice pronuncia senza effetto, viene manipolata in questo momento e lo soffrono sulla loro pelle i migranti della carovana.
Le denunce di maltrattamenti, violazioni dei diritti umani fondamentali, insicurezza e impotenza da parte dei governi nei paesi in cui la carovana transita (che sono molteplici ma delimitati in un unico singolare) sorgono quotidianamente.
In Messico si parla di un’omissione umanitaria da parte delle autorità per aiutare in qualche modo la carovana, che manca di acqua ed ha poco cibo. Questa denuncia è stata corroborata e amplificata dall’Alto Commissaria ONU per i Diritti Umani.
Ad oggi, ci sono stati tre morti nel quadro della carovana migrante, uno dei quali a causa di scontri con le forze di sicurezza. È probabile che la cifra aumenti man mano che i contingenti migratori si avvicinano ai deserti di Sonora, Chihuahua e Nuevo León, in direzione Texas, New Mexico ed Arizona.
Sappiamo già che Donald Trump avrebbe ordinato un spiegamento militare al confine, che consisterebbe in 15 mila unità e costerebbe 200 milioni di dollari.
Alcuni attivisti per i diritti umani sostengono che questa minaccia è puro trambusto come campagna elettorale, dal momento che le leggi USA condannano gli spari da arma da fuoco nell’ambito militare contro i civili. Non prendono in considerazione un principio essenziale dello stato di emergenza inteso dalla eccezionalità del Destino Manifesto e dalla dottrina Monroe: “Prendo la vita che mi appartiene in cambio di profitti”.
I profitti possono essere geopolitici, economici e finanziari, anche in ragione del potere, ma portano con sé la prerogativa di decidere sulla vita e sulla morte di altri esseri, subordinati in linea di principio. La legge, nello stato di eccezione, è ciò che il sovrano detta.
Perciò il filosofo italiano Giorgio Agamben concettualizza il campo di concentramento come paradigma politica dell’Occidente: è lì dove vanno gli esseri umani per essere schiavizzati a fini economici di sfruttamento, e vengono scartati al momento in cui non servono più agli scopi del sovrano.
Se i confini sono quei territori cerniera delle economie illegali in cui sono negoziate merci di contrabbando (siano oggetti o persone), il modello del campo di concentramento s’inserisce come un modo di rapportarsi alla legge con le “esigenze di capitale” in modo cruento in quelle zone confinanti.
E’ alla frontiera dove il traffico di persone abbonda in modo più aggressivo, in cui il traffico di droga ha i suoi percorsi concordati con la connivenza corrotta delle guardie migratorie, in cui le organizzazioni criminali prendono decisioni nevralgiche per il loro business. Su ciò hanno testimoniato honduregni, guatemaltechi e salvadoregni che hanno sopravvissuto all’estrema violenza degli stati di eccezione di quelle società.
Perché sì, l’austericidio in Honduras, Guatemala ed El Salvador è il modello neoliberale del campo di concentramento, dal quale fuggono i componenti della carovana migrante. Sono gli espulsi per simbiosi da paesi sottoposti alla miseria pianificata da maggiori benefici per la grande Capitale del Nord, gli abbandonati ed esclusi da un sistema che non ha modo di includerli nella sua intermediazione lavorativa senza sacrificare profitti, plusvalore e accumulazione. La morte nell’anima, direbbe il poeta Diego Sequera.
Il soggetto neoliberale, situato nella periferia del Sud globale, è abbandonato e migra verso confini dove diventano indissolubili la nazione (come giustificazione legale) ed il territorio. Dove vengono tolti i diritti come rubano denaro gli uomini d’affari venezuelani, in questo caso per togliere la vita, affinché “la società civile globale” non giudichi lo spargimento di sangue, ma piuttosto lo assimili e applauda.
Negli USA, ci sono i civili che si organizzano, via reti sociali, per “difendere il confine” per mezzo della violenza armata perché vedono i migranti della carovana come “minacce esistenziali” al loro stile di vita, come professato dal suprematismo bianco tipico del Texas e dell’Arizona.
Ogni migrante povero corre i pericoli propri dell’autostrada transnazionale, dove le leggi non hanno alcun significato e la vita rimane indifesa davanti a coloro che la portano via a proprio vantaggio o in nome del mercato. Chiedilo all’attuale inquilino della Casa Bianca o ai suoi predecessori.
Una radiografía neoliberal de la “caravana migrante”
Ernesto Cazal
La “caravana migrante” parece que tiene más atención vía redes sociales y medios corporativos que la “diáspora venezolana”. Ese parecer pudiera tener objetivos políticos, e incluso electorales a lo interno de los Estados Unidos, pero lo que sin duda trae a colación es un debate que se encuentra bastante encubierto en la mayoría de tribunas.
Poco se dice sobre la condición de fondo de los contingentes humanos que se trasladan a pie, día a día, noche a noche, a sol y sombra, con pocos bienes, muchos niños y bebés en brazos, algunos ancianos, otros demasiado jóvenes, que enferman, deben alimentarse y asearse, dormir en ciertas condiciones que los migrantes, en “caravana”, no tienen. Y que tal vez nunca tuvieron en sus países de origen.
Es una condición de despojo total del migrante como sujeto de derecho civil, donde ya no lo ampara un reconocimiento de iure, estatal, inmerso en el cuarto mundo de manera portátil donde puede ser vendido como fuerza de trabajo subpagada o subsumido a una red de economía ilegal.
En Centroamérica, la trata de personas se encuentra en un estado crítico que da oxígeno a redes de narcotráfico ligados a las Maras Salvatruchas y los carteles mexicanos, que dominan ese mercado en la región. Los famosos “coyotes” suelen entrar en ese escenario, como los guías a las puertas de los campos de concentración de la zona.
La falta de estadística de esta situación enfatiza el hecho de que aquellos números crecen y los contingentes humanos que hacen parte de la “caravana migrante”, en su recorrido hacia México y Estados Unidos, no están exentos de condenarse a una desvida similar o peor que la experimentada en casa.
Pudiera ser cierto, y hasta por qué dudarlo, que la caravana que partió de Honduras y de la que forman parte también migrantes guatemaltecos y ahora salvadoreños, está siendo instrumentalizada por el dinero de George Soros y sus acólitos neoliberales para desestabilizar la campaña de Donald Trump camino a las elecciones de medio término. Las huellas del financiero húngaro están sobre las ONGs que dirigen la caravana hacia las fronteras estadounidenses.
Pero lo que interesa aquí no es toda la trama financiera del asunto, sino llamar la atención sobre la esencia de lo que sucede con la migración en este contexto de violencia extrema, pauperización de la condición humana y sumisión económica.
La relación estadounidense
Honduras, Guatemala y El Salvador. De esos tres países, principalmente, provienen los migrantes. El Triángulo Norte de Centroamérica, puntos estratégicos del gobierno de los Estados Unidos y el Pentágono. Desde la década de los 80 (era Reagan) son países absorbidos por el poder estadounidense, en consonancia con la neoliberalización de sus sociedades, lo que no resulta un hecho fortuito que la caravana huya de las condiciones en que fueron impuestos por el Norte global.
La asimilación de ese triángulo ha sido en todas sus facetas a la american way. Un signo latente de esto se encuentra en que muchos de quienes parten a la ley de la selva de la migración desean conseguir un trabajo en los Estados Unidos, considerándolo un país de oportunidades como fue vendido en el siglo XX.
Resulta, así, paradójico que los centroamericanos que caminan hacia las fronteras del Norte se convoquen para disparar deliberadamente contra sí mismos, pues el planificador de las miserias en sus hogares son aquellos a quienes van a pedir empleo.
Desde ese punto de vista, el migrante que forma parte de la caravana anhela algo que por definición le está vedado en tierra norteamericana: una calidad de vida similar a la que ha visto en los productos de consumo estadounidenses. Hoy más que nunca los migrantes económicos de la más baja escala social consumen fetiches, remitiéndonos a lo develado por Marx.
La psicología de la masa migrante en América Latina, pero sobre todo en Centroamérica, está íntimamente aunada al circuito del imaginario estadounidense de consumo y confort metropolitano como un fin. Esa condición de colonialidad está inserta en las sociedades que componen la región, sin excepción.
En Venezuela, por ejemplo, la mentalidad migrante (de tipo económica) está más asociada a Miami que a otra posibilidad menos conectada con las representaciones culturales del capitalismo metropolitano. Así el destino sea Perú, Colombia, Chile o México, todos esos países se encuentran sintonizados (no sólo de manera económica) con el circuito estadounidense y, en menor medida, europeo, pero bajo las condiciones de capitalismo dependiente neocoloniales.
De igual manera, cada persona de la caravana migrante se encuentra cooptada por esa “elección” civilizatoria que significa Estados Unidos, con sus crisis existenciales incluidas y a pesar de tener a un Donald Trump, un abanderado de la antimigración puertas adentro, en la Casa Blanca.
Condición de frontera y muerte
Ese estado de abandono en el que ya todo derecho es letra muerta, simple pronunciación sin efecto, está siendo manipulado en estos momentos y lo sufren a piel curtida los migrantes de la caravana.
Las denuncias de maltratos, violaciones de derechos humanos fundamentales, inseguridad y desamparo por parte de los gobiernos en los países por donde transita la caravana (que son múltiples pero delimitamos en un singular unificado) surgen de manera cotidiana.
En México se habla de una omisión humanitaria por parte de las autoridades para ayudar de alguna forma a la caravana, que con escasez de agua y pocos alimentos carga. Esta denuncia fue corroborada y ampliada por la Alta Comisionada de los Derechos Humanos de la ONU.
Al día de hoy han ocurrido tres muertes en el marco de la caravana migrante, una de ellos producto de los enfrentamientos con fuerzas de seguridad. Probablemente la cifra aumente a medida que los contingentes migrantes se acerquen más hacia los desiertos de Sonora, Chihuahua y Nuevo León, en dirección a Texas, Nuevo México y Arizona.
Ya sabemos que Donald Trump ordenaría un despliegue militar en la frontera, que constaría de 15 mil unidades y costaría 200 millones de dólares.
Algunos activistas de derechos humanos argumentan que esta amenaza es pura algarabía como campaña electoral, ya que las leyes estadounidenses condenan las ofensivas por disparo de fuego en el ámbito militar contra los civiles. No toman en cuenta un principio esencial del estado de excepción entendido desde el excepcionalismo del Destino Manifiesto y la Doctrina Monroe: “Tomo la vida que me pertenece a cambio de ganancias”.
Las ganancias pueden ser geopolíticas, económicas y financieras, incluso en razones de poder, pero conlleva un sí la prerrogativa de decidir sobre la vida y la muerte de los demás seres, subordinados en principio. La ley, en el estado de excepción, es lo que dicta el soberano.
Por eso el filósofo italiano Giorgio Agamben conceptualiza el campo de concentración como paradigma político de Occidente: es allí adonde van los seres humanos a ser esclavizados con fines económicos de explotación, y son desechados a los efectos en que ya no sirvieran a los fines del soberano.
Si las fronteras son esos territorios bisagra de las economías ilegales, donde se transan las mercancías contrabandeadas (sean objetos o personas), el modelo de campo de concentración se inserta como una manera de relacionarse la ley con las “necesidades del capital” de manera cruenta en esas zonas limítrofes.
Es en las fronteras donde la trata de personas pulula de manera más agresiva, donde el narcotráfico tiene sus propias rutas acordadas con la connivencia corrompida de los guardines migratorios, donde las organizaciones criminales toman decisiones neurálgicas para sus negocios. Sobre ello han dado testimonios hondureños, guatemaltecos y salvadoreños, que han sobrevivido a la violencia extrema de los estados de excepción de esas sociedades.
Porque, sí, el austericidio en Honduras, Guatemala y El Salvador es el modelo neoliberal del campo de concentración, del cual los componentes de la carava migrante huyen. Son los expulsados por simbiosis de países sumidos en una miseria planificada de mayores beneficios para el Gran Capital del Norte, los abandonados y excluidos de un sistema que no tiene cómo incluirlos en su corretaje laboral sin sacrificar ganancias, plusvalía y acumulación. La muerte en el alma, diría el poeta Diego Sequera.
El sujeto neoliberal, situado en la periferia del Sur global, es abandonado y migra hacia confines donde se tornan indisolubles la nación (como justificación jurídica) y del territorio. Donde se quitan derechos como roban dinero los empresarios venezolanos, en este caso para quitar la vida, para que la “sociedad civil global” no juzgue el derramamiento de sangre, sino que más bien lo asimile y aplauda.
En Estados Unidos, hay civiles organizándose vía redes sociales para “defender la frontera” por medio de la violencia de las armas porque ven a los migrantes de la caravana como “amenazas existenciales” a su estilo de vida, tal como lo profesa el supremacismo blanco típico de Texas y Arizona.
Todo migrante pobre corre los peligros propios de la carretera transnacional, donde las leyes no tienen significado y la vida queda desnuda ante quien la quite en beneficio propio o en nombre del mercado. Pregúntenle al actual inquilino de la Casa Blanca o a sus predecesores.