L’amministrazione Trump ha emesso pochi giorni fa l’ordine esecutivo che ratifica e estende le sanzioni all’economia e alla popolazione venezuelane, sulla base della narrativa che punta solo ai funzionari del governo. Contraddicendo tale discorso, il ministro degli Esteri spagnolo Josep Borrel dichiarava che questi strumenti congelano le risorse necessarie al governo venezuelano per fornire assistenza medica e sanitaria alla popolazione.
Un altro ordine esecutivo: un nuovo episodio del blocco finanziario
Basata su strumenti di natura illegale e interventista, come la cosiddetta Legge venezuelana per la difesa dei diritti umani, pubblicata alla fine del 2014, il presidente Donald Trump emanava un decreto esecutivo contro il Venezuela, che afferma di sorgere “alla luce delle azioni del regime di Maduro e persone associate nel saccheggiare la ricchezza del Venezuela per i loro scopi corrotti, degradare le infrastrutture e l’ambiente naturale del Venezuela attraverso la cattiva gestione delle pratiche estrattive e industriali, economiche e fiscali, catalizzando una crisi migratoria regionale trascurando i bisogni primari del popolo venezuelano”. Questo “Ordine esecutivo che blocca la proprietà di altre persone che contribuiscono alla situazione in Venezuela” conferisce a due funzionari del governo degli Stati Uniti (segretari di Stato e del Tesoro) il diritto di confiscare proprietà di chi opera nel settore dell’oro venezuelano, poiché è necessario, senza accuse penali o civili. I media globali hanno riecheggiato le ragioni delle sanzioni sulle esportazioni di oro decretate in un documento di 1326 parole, che nomina solo una volta il minerale in questione. È la ratifica delle sanzioni già emesse contro i membri del governo nazionale. Il testo dell’Ordine esecutivo, divulgato dal dipartimento del Tesoro, impone anche il divieto di operare in qualsiasi altro settore che i suddetti funzionari considerino rilevante.
La “troika della tirannia” come operazione elettorale
Battezzato da Jim “Crazy Dog” Mattis “Demone Incarnato”, è John Bolton che ha gestito l’invasione dell’Iraq e invocato l’attacco a Corea democratica e Iran. Attualmente è consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump. Nel discorso alla “Freedom Tower”, edificio in cui gli immigrati cubani solidali con la dittatura di Batista furono accolti negli anni ’60, disse: “Molti di voi hanno personalmente sofferto orrori indicibili nelle mani dei regimi di Cuba, Venezuela e Nicaragua”. Promettendo anche che il governo che consigliava avrebbe preso una linea dura nei confronti di “dittatori e tiranni vicini alle nostre coste” riferendosi ai governi di Cuba, Venezuela e Nicaragua come “la troika della tirannia”. Con tale discorso, Bolton diede spettacolo di forza a una settimana dalle elezioni di medio termine negli Stati Uniti, in cui il Partito Repubblicano controllava il Congresso. In Florida, tradizionalmente Stato che definisce i risultati, è in gioco un seggio al Senato e al governatorato, quindi il consigliere presidenziale enfatizzava avvertendo che “finalmente” avranno “qualcuno che gli affronterà”, sempre istigante tra i cosiddetti “esiliati cubani” ma anche nelle “diaspore” di Venezuela e Nicaragua. Con l’annuncio di queste nuove sanzioni, Bolton cercava di mobilitare tali diaspore a favore di Trump. Una risorsa della politica estera utilizzata per ottenere voti nella congiuntura elettorale statunitense. Bolton aveva detto che il dipartimento di Stato espanderà a più di una dozzina di entità possedute o controllate dai servizi di intelligence o militari cubani con cui gli statunitensi non possono effettuare transazioni finanziarie. Inoltre, notava che fin quando non ci saranno elezioni libere in Nicaragua e la democrazia sarà ripristinata, il regime di Daniel Ortega sentirà “il pieno peso” delle sanzioni statunitensi. A proposito del Venezuela annunciava la firma dell’Ordine esecutivo in questione da parte di Trump, annunciando che impone nuove e dure sanzioni per impedire ai cittadini statunitensi di farsi coinvolgere con chi compie “transazioni fraudolente e corrotte” con l’oro venezuelano. Tra i suoi camerati c’erano capi della comunità cubano-americana e membri del Congresso come Ileana Ros-Lehtinen, Mario Díaz-Balart e Carlos Curbelo, davanti ai quali dichiarò che “gli Stati Uniti sono entusiasti partner di nazioni come Messico, Colombia, Brasile, Argentina e molti altri “allo scopo di fare “avanzare lo stato di diritto e aumentare sicurezza e prosperità nella regione per il nostro popolo”.
Attacchi contro l’oro venezuelano
Per alcuni anni il governo venezuelano cercò di portare ordine nel territorio in cui si sviluppava la produzione di oro dal 1829. Il 100% della produzione di metalli preziosi è ottenuto dalla regione di Guayana (Bolívar, Amazonas e parte di Amacuro) e la società statale Minerven detengono il 55,8% della produzione dichiarata. Per riordinare questa regione strategica, fu decretato l’Arco minerario dell’Orinoco, un piano attaccato con mezzi finanziari dal magnate George Soros, Google, NED, USAID, International Centre of Journalists (ICFJ), dipartimento di Stato e Confederazione svizzera, che fu tra i i principali acquirenti di oro del Venezuela dal 2010 al 2015, prima della creazione di joint venture con partecipazione a maggioranza dello Stato venezuelano. Dal 2007 al 2015, le riserve internazionali venezuelane sono scese a 20 miliardi di dollari. Si dice che il 70% di quelle riserve fosse in oro. I prezzi dei metalli, allora in calo, aumentarono da allora fino a quest’anno, tuttavia la cosiddetta oncia troy non superava i 1400 dollari. Coi prezzi che non aumentano, la campagna contro l’Arco Minerario cercò di soffocare l’economia del Venezuela presentando l’oro venezuelano come prodotto di traffico e corruzione. Questo è il modo con cui il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti vociferava, alcuni giorni prima dell’Ordine esecutivo, che il governo venezuelano usi in modo costante ed irregolare i commercio “senza controllo ambientale o contabile” per finanziare le presunte reti di corruzione che lo supportano. Il sottosegretario al Tesoro statunitense Marshall Billingslea disse in una conferenza al Brookings Research Center di Washington che “dopo aver totalmente saccheggiato la compagnia statale Petroleos de Venezuela SA, PDVSA, dove non c’è più nulla da rubare, abbiamo visto l’attenzione di Maduro passare all’oro, la nuova risorsa che cerca”. Denunciando un presunto saccheggio delle miniere d’oro nel Venezuela meridionale disse che si “avvicinano a una situazione simile a quella dei diamanti insanguinati” in Africa. “Dovremmo esprimere altra indignazione per il danno fatto all’ambiente e alle popolazioni indigene”, aveva detto. Una settimana prima, all’incontro annuale del Fondo Monetario Internazionale (FMI) in Indonesia, il segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Steven Mnuchin, censurava in una dichiarazione “la vendita segreta di risorse del popolo venezuelano per riempire le casse degli agevolatori finanziari di Maduro”.
La criminalizzazione della vendita dell’oro in Turchia
La Turchia era il consumatore più importante del Medio Oriente degli ultimi 50 anni e negli anni ’70 questo mercato fu operato da Bayrut in Libano nell’importazione dell’oro dall’Europa. Allo stato attuale, la Turchia ha diversificato le fonti d’importazione al punto che nei primi nove mesi di quest’anno, il Venezuela esportava 23,62 tonnellate di oro nel paese, valutato per 900 milioni di dollari, secondo le cifre ufficiali turche. Ciò avvenne in alternativa alla caduta della produzione petrolifera, all’intensificazione del blocco e alla ricerca della diversificazione economica. La Banca Centrale del Venezuela (BCV) iniziò a raffinare in Turchia parte dell’oro che nell’ultimo anno fu acquistato dai minatori venezuelani, informava Víctor Cano, Ministro dello Sviluppo Minerario, aggiungendo che “è l’oro che la BCV recupera come base, in modo che possa essere raffinato”. Il funzionario spiegava che “(la certificazione) l’abbiamo fatta in Svizzera e ma ora non più, avviene nei Paesi alleati perché immagino che se l’oro viene inviato in Svizzera, con le sanzioni che minacciano, rimarrebbe lì”. Il governo svizzero, che finanzia relazioni contro l’Arco Minerario, aveva sanzionato i funzionari del governo venezuelano con misure come congelamento di beni e divieto di viaggiare. Cano aveva detto che “non c’è contrabbando in Turchia, ma accordi firmati tra BCV e Turchia, è l’oro che viene prodotto in Venezuela e certificato dal nostro registro di origine, con tutti i nostri controlli internazionali su esportazione ed importazione dell’oro già raffinato”.
Sanzioni alla Turchia?
Ma non tutto è oro nelle relazioni tra Turchia e Venezuela. Il commercio bilaterale tra le due nazioni ha raggiunto gli 892,4 milioni di dollari nei primi cinque mesi del 2018, le esportazioni dalla Turchia al Venezuela erano 52,2 milioni e le importazioni 834,2 milioni. Le relazioni bilaterali si sono sviluppate rapidamente dal 2013 al 2017, e lo scambio tra i due Paesi era di 803,6 milioni di dollari. Eventuali sanzioni avrebbero cercato d’intimidire un partner come la Turchia, tuttavia, l’ascesa della domanda dell’oro nel mercato mondiale è imminente e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vuole partecipare alla gara. È anche imminente che il Venezuela certifichi 32 giacimenti d’oro nel Paese, mirando ad essere “la seconda maggiore riserva d’oro del pianeta”. Lo spiegava il Presidente Nicolás Maduro, che ribadiva la denuncia dei 1200 milioni di dollari trattenuti dalla società finanziaria internazionale Euroclear, destinati all’acquisizione di cibo e medicinali che sarebbero stati distribuiti nel Paese. Attraverso lo scambio commerciale con la Turchia, criminalizzato da Washington, vengono acquisiti quei prodotti necessari per la sopravvivenza della popolazione venezuelana. L’anno scorso la Banca centrale della Turchia acquistava 187 tonnellate di oro da diversi Paesi e divenne il secondo maggiore acquirente sovrano del mondo dopo la Russia. Come altri Paesi, la Turchia aveva una parte del proprio oro (28,7 tonnellate di metallo) depositato nella Federal Reserve degli Stati Uniti. Lo tolse collocandolo parzialmente nei depositi del Paese, mentre un’altra parte l’affidava alla Banca dei Regolamenti Internazionali in Svizzera e alla Banca Centrale d’Inghilterra. La possibilità di una possibile sanzione degli Stati Uniti contro questo Paese eurasiatico sarebbe remota, pochi giorni fa entrambi i Paesi revocavano le sanzioni reciproche contro i ministri della Giustizia e degli Interni per l’arresto del pastore statunitense Andrew Craig Brunson, che avrebbe sostenuto il fallito colpo di Stato contro Erdogan nel luglio 2016. In tal senso, approfittare del clima di relativa ricomposizione delle relazioni tra Stati Uniti e Turchia per limitare l’acquisto di oro in Venezuela è ciò che darebbe all’Ordine esecutivo efficacia oltre la carta.
Chi beneficia del caos nell’Arco Minerario?
Se l’oro funge da alternativa per l’ingresso di valuta straniera e la stabilità economica del Venezuela, il meno interessato ad esso quale spazio di dispute tra bande armate irregolari è il governo venezuelano. Tuttavia, la questione del controllo dell’Arco Minerario da parte di tali gruppi non è solo un problema sociale, ma parte dall’assedio internazionale che il Venezuela vive. La disputa sul controllo di tale zona ha paramilitari e transnazionali come terze parti, le cui pratiche nelle aree minerarie per imporre il loro stato d’eccezione attraverso terrore ed estrazione illegale sono già note in America Latina e Africa. Un esempio è l’assassinio di tre soldati della Guardia Nazionale Bolivariana il 4 novembre da parte di gruppi paramilitari nello Stato di Amazonas, al confine con la Colombia. L’attacco, che ha anche provocato il ferimento di dieci soldati, avveniva dopo la cattura di nove paramilitari colombiani nella municipalità di Atures, parrocchia Fernando Girón Tovar, Stato dell’Amazonas, sequestrando armi e sottoposti al procuratore venezuelano. Mantenere il caos nell’Arco Minerario è coerente con la politica del blocco finanziario per:
– Danneggiare ancora l’economia venezuelana incidendo sul valore dell’oro e la capacità d’esportazione dello Stato, come base del piano di risparmio dell’oro con cui recuperare il valore del risparmio e della valuta venezuelana, nel quadro del piano di ripresa economica.
– Soffocare l’ingresso di nuova valuta nel Paese, prima col diniego da parte del sistema finanziario statunitense attraverso le sanzioni, di consentire al Venezuela di utilizzare il dollaro per le transazioni commerciali e l’indebitamento.
– Intensificare l’assedio al governo venezuelano e alla popolazione intimidendo le Forze armate nazionali bolivariane (FANB) influenzando la sicurezza della nazione.
Ci si chiede se le sanzioni sull’oro venezuelano siano collegate o meno agli eventi che coinvolgono i paramilitari quando, alla fine dei primi quattro mesi del 2018, il Venezuela aumentò del 200% le esportazioni non petrolifere rispetto all’anno prima, vendendo principalmente oro in Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera, Stati Uniti, Regno Unito e in particolare Turchia. Poenendo ordine nell’arco minerario appaiono i risultati che ridurranno il contrabbando di oro e l’influenza della disputa tra garimpeiros e gruppi paramilitari, facendo prevalere lo stato di diritto e migliorando la redditività dall’attività aurifera. Questo è noto alle corporazioni dietro l’amministrazione Trump e l’Unione Europea, che hanno appena esteso le sanzioni al Venezuela, preparandosi a non impedirlo.
Traduzione di Alessandro Lattanzio